Carcere e sistema penale
Quali sono le alternative alla pena
È evidente che è giunta l’ora di immaginare una seria alternativa alla giustizia Penale, e di imparare il dovuto rispetto per chi, anche in un Sistema Giustizia rinnovato, potrà dire di non avere più debiti con la Giustizia
Giustizia - di Diego Mazzola
Da qualche tempo continuo a domandarmi perché mai dovrei insistere con le mie riflessioni sul Sistema Penale e sul carcere, se a qualcuno importa ciò che osservo e che continuo a chiedere sia reso pubblico.
In sostanza mi chiedo se abbia senso sperare che abbia fine la società carceraria. Devo aggiungere che sto cercando di non perdere nemmeno una occasione di incontro con uno dei Laboratori “Spes contra spem” che Nessuno tocchi Caino porta avanti, ad esempio, nel carcere di Opera. Il motivo di ciò è presto detto: quell’impegno mi rende migliore.
Ebbene: molto tempo prima della morte di Marco Pannella avevo sentito la necessità di continuare a indagare sui motivi che inducono a compiere uno dei tanti “fatti/problemi” di cui ogni giorno sentiamo parlare nei giornali e alla televisione.
Aveva senso continuare a pensare che il mostro esista e che fosse “giusto” pretendere che “pagasse” per ciò che aveva commesso ed “espiasse” per il tempo che altri esseri umani avevano deciso sulla sua pelle? E poi: perché tanta disparità di giudizio?
A dirla tutta mi aveva stupito anche un’affermazione di Louk Hulsman – fu docente di diritto penale e diede il via alla più profonda riforma del Sistema Penale che l’Olanda avesse mai realizzato – secondo il quale «le alternative al sistema della Giustizia penale non sono utopie lontane ma fanno parte della vita quotidiana incessantemente inventata dagli attori sociali».
Egli non crede all’opzione “reato” e ne dimostra le ragioni. Dichiara, tra l’altro, che «dal punto di vista della comunità, o del legislatore, lo stesso comportamento richiama altre opzioni. Quel che è certo è che l’opzione “reato” non è mai feconda».
Sto cercando di riassumere al meglio delle mie capacità le ragioni del mio entusiasmo per l’abolizionismo di Hulsman. E lo faccio a maggior ragione sapendo che l’idea di “reato” può essere molto diversa da Stato a Stato, da religione a religione, da consuetudine ad altre consuetudini.
Poco oltre, di fronte ad alcune domande di Jacqueline Bernat durante l’intervista che diede l’ossatura al libro “Pene Perdute”, egli afferma che: «Mi sono accorto che il sistema penale, eccetto casi eccezionali, non funziona mai come richiedono gli stessi principi che pretendono di legittimarlo. Quando parliamo di alternative alla giustizia penale, non parliamo di sanzioni alternative, ma di alternative ai processi della giustizia penale. Queste alternative possono essere di natura prevalentemente legale o prevalentemente non-legale. Cercare alternative alla giustizia penale, è in primo luogo cercare delle definizioni alternative agli eventi che rischiano di scatenare i processi di penalizzazione. La risposta data in alternativa alla giustizia penale è quindi una risposta ad una situazione che ha una “forma” e delle “dinamiche” diverse dagli eventi come appaiono nel contesto della giustizia penale».
Egli, in sostanza, dà molto peso alla prevenzione, di cui può farsi parte attiva la società civile, non al giudizio di un tribunale che si dà a fatto/reato avvenuto.
Come negare le differenze, anche davvero notevoli, che intercorrono tra un sistema penale e l’altro (magari anche dello Stato vicino). Basta vedere il “pienone” che è seguito alla scelta della Francia di mettere in Costituzione il diritto di aborto.
E se questo dovesse essere visto come un aspetto dello scontro di civiltà, non vedo perché non ricordare gli sforzi che comporta la fine della pena di morte o il taglio della mano destra a chi si è reso responsabile di un furto nei Paesi di stretta fede Islamica. In quei casi risulta evidente che nulla è stato fatto da quelle società per la conoscenza dei motivi che a quei fatti/problemi conducono.
La legge penale e la pratica dei sistemi della giustizia penale non possono essere usati come standard di autorità ultima per giudicare se un comportamento è giusto o sbagliato.
Continuo a domandarmi a quali manifestazioni di indubbia crudeltà d’animo abbia dovuto assistere il Cardinal Martini durante le sue visite nelle carceri nostrane, tanto da indurlo ad affermare che «Qualsiasi pena [afflittiva] ha la distretta della pena di morte e della tortura, e che già il pensiero di affliggere un altro essere umano è intollerabile e perverso».
È evidente che è giunta l’ora di immaginare una seria alternativa alla giustizia Penale, e di imparare il dovuto rispetto per chi, anche in un Sistema Giustizia rinnovato, potrà dire di non avere più debiti con la Giustizia.
Se i miei concittadini sapessero quanto sono “come noi” i detenuti che partecipano agli incontri “Spes contra spem” di Nessuno tocchi Caino, certamente smetterebbero di pensare di “far marcire in galera” quelle persone e si vergognerebbero davvero di fronte a ciò che può condurre la loro smania di punire.