La fabbrica del diritto penale è al centro di un quartiere che incita il legislatore al massimo sforzo produttivo. Da mihi crimina dabo tibi suffragium.
Voglio dirlo in modo pop, parafrasando De Gregori, anche se corro il rischio del sociologismo: la fabbrica del diritto penale siamo noi, oggi più che mai nell’epoca delle passioni tristi e – tra queste – della passione punitiva, come ci ha insegnato l’omonimo libro di Didier Fassin.
È una situazione che non consente di indulgere all’ottimismo per – tra le altre – due ragioni complementari. La Fabbrica del diritto penale è davvero una singolare struttura produttiva. Manca del tutto il controllo di qualità a monte e a valle.
Manca il controllo a monte, la catena di montaggio sforna senza sosta prodotti difettosi/difettosissimi, ma la produzione prosegue a pieno regime.
Si è rivelata – e non ci voleva molto a presagirlo – una pericolosa illusione (il tornello del)la riserva di codice, che non ha minimamente rallentato il flusso della “nomorrea”.
Anzi – osservo per inciso – ho l’impressione che l’effetto sia stato persino opposto. Manca il controllo a valle. Il difetto solo raramente viene corretto e ancora più sporadicamente i prodotti difettosi vengono richiamati.
I percolati penalistici delle emergenze perenni o meno si stratificano nel sistema. Al massimo, si assiste a un cambiamento casacca. Il prodotto difettoso sveste i panni del penale e assume quelli dell’illecito punitivo amministrativo.
Ma questa è un’operazione che la società della passione punitiva guarda con sospetto; ne contraddice l’imperativo categorico: ius poenale nostra unica salus.
Voglio ricordare un recente persino eclatante esempio, citato da Alessandro Bondi, in un articolo emblematicamente intitolato “Il passo del gambero”: il 2 febbraio del 2021, un decreto legislativo abroga la disciplina sanzionatoria in materia alimentare prevista dalla legge 30 aprile 1962 (art. 18 d. lgs. 27/2021).
Il 22 marzo 2021, un decreto-legge sottolinea la «straordinaria necessità e urgenza di modificare, prima della sua entrata in vigore, la disciplina delle abrogazioni introdotta con il predetto decreto legislativo n. 27 del 2021, al fine di evitare che rilevanti settori relativi alla produzione e alla vendita delle sostanze alimentari e bevande restino privi di tutela sanzionatoria penale e amministrativa con pregiudizio della salute dei consumatori» (d.l. 42/2021). Ius poenale nostra unica salus.
E veniamo alla seconda ragione ancora più radicale di pessimismo. Non credo che sia esagerato o semplicistico affermare che solo una è la strada per eradicare la fabbrica del diritto penale dalla nostra psicologia del profondo, dalle nostre emozioni.
È la lettura costituzionale del diritto penale liberale. Per questo, vorrei ricordare tra le altre iniziative orientate in questa direzione lo straordinario viaggio nelle carceri della Corte costituzionale e la convenzione tra Miur e Unione delle camere penali che sta portando in tutte le scuole italiane le ragioni spesso controintuitive – come ha scritto Vittorio Manes – delle “garanzie”.
Ma anche su questo versante dobbiamo registrare inquietanti elementi di criticità, perché, persino i giovani, i minori sono entrati nello schema del “nemico” da combattere.
Senza intenzioni polemiche e con la consapevolezza di quanto rozza sia l’approssimazione delle frasi che vorrebbero essere ad effetto, lo slogan potrebbe essere che la cultura contro la devianza recede nei confronti della cultura della pena.
Pensiamo al c.d. decreto Caivano, all’endemico inasprimento del diritto/sistema penale minorile, alla previsione di provvedimenti comunque sanzionatori che colpiscono persino i dodicenni.
Pensiamo al nuovo articolo 570-ter c.p. che – ennesimo caso di “ripescaggio” – subentra all’abrogato art. 731 c.p.. Un raro esempio di sciatteria legislativa.
Pensiamo al delitto contro il c.d. Rave party; pensiamo ancora alla proposta di ulteriore incremento delle sanzioni del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, già art. 341 ora art. 341-bis; un delitto che costituisce quasi un compendio dell’assenza di controlli a valle e a monte del sistema penale oltre che un altro icastico esempio di resurrezione penalistica di un reato abrogato, peraltro, all’esito di una lunga vicenda costituzionale; pensiamo alla proposta di sussunzione alla qualificazione penalistica del blocco stradale.
Sono proposte o soluzioni di politica penale che possono colpire, colpire più gravemente, per esempio anche con l’arresto, le manifestazioni del dissenso giovanile gestibili e finora gestite, spesso molto bene, con un uso accorto e professionale della “forza pubblica”, con il dialogo, il confronto tra le parti, senza scorciatoie sanzionatorie.
Alla fabbrica del penale tutto questo non piace, nella tragica illusione, che il diritto penale renda sicuri, anzi, permettetemi di essere scandaloso, “che il diritto penale renda liberi”.
*Professore ordinario di diritto penale Università di Bari