La sinistra e la pace. Un rapporto travagliato, un tema di stringente attualità. L’Unità ne discute con Massimiliano Smeriglio, europarlamentare tra i più impegnati su questo fronte come su quello, non meno impervio, del garantismo.
Sabato 9 marzo. Il popolo pacifista si ritrova a Roma in una grande manifestazione sulla Palestina. Una piazza “disertata” dal gruppo dirigente del Pd.
È stata una bellissima manifestazione, con una importante presa di posizione della Cgil e la sua conseguente mobilitazione. Un grande corteo, variegato, combattivo senza scivolature e semplificazioni. È un peccato che il Pd non sia stato presente a questa manifestazione e nelle diverse mobilitazioni che chiedono il cessate il fuoco immediato a Gaza e nel resto della Palestina. Un errore politico grave perché vi è, nel sottrarsi, la rinuncia a svolgere la funzione di ponte e di ricerca costante di un negoziato di pace. E un evidente rimosso: il massacro a cui è sottoposto il popolo palestinese a Gaza e anche in Cisgiordania. Senza scomodare Pertini, basterebbe ricordare la politica estera italiana dal dopoguerra in poi (Berlinguer, Craxi, Moro) per inquadrare l’ingiustizia storica e l’occupazione illegale dei territori palestinesi da parte di Israele. Che non giustifica in nessun modo la mattanza antiebraica del 7 ottobre. Ma quello che ha messo in piedi il governo di estrema destra suprematista di Netanyahu è un salto senza ritorno nell’orrore della carneficina quotidiana. Chi non denuncia e non si mobilita adeguatamente per fermare la caccia ai civili, ai bambini, alla popolazione stremata da paura e fame è complice. La guerra cambia tutto perché produce una economia di guerra, un approvvigionamento energetico ed alimentare soggiogato dalle priorità del conflitto e persino una modificazione della qualità del dibattito pubblico imbavagliato e a volte censurato.
Silenzio anche sulle considerazioni di Papa Francesco sulla guerra in Ucraina. Una sinistra silente o balbettante su questi temi può ancora essere definita tale?
Francesco è una personalità mondiale combattiva e generosa che cerca di frapporsi, mettere in mezzo tra aguzzini e vittime la Chiesa cattolica. La pace però non è un tema esclusivamente etico, ma una opzione politica. Il negoziato, la descalation, il sottrarre vittime innocenti alla follia della guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali, dovrebbe essere una urgenza della politica europea. In particolare, dei progressisti. Invece nulla, anche dal campo democratico si alimenta una spirale pericolosa che potrebbe incendiare ulteriormente il continente. Una sinistra che non combatte per fermare le armi no non può dirsi sinistra. Basterebbe ricordare come la seconda internazionale si sia infranta sul voto dei crediti di guerra da parte dei socialisti tedeschi alla vigilia della Prima guerra mondiale. Se vince il nazionalismo vince la destra e la guerra. L’Europa in fondo nasce dalla necessità di tenere a bada il mostro guerrafondaio che le nazioni si portano in grembo.
Di Europa ed elezioni si discute solo in termini di liste, di Schlein capolista sì o no. E i contenuti, le priorità?
Si discute in maniera provinciale utilizzando le europee come termometro dei rapporti di forza tra coalizioni nazionali e nelle coalizioni. Quasi mai esiste il merito.
Nel mentre l’asse europeo scivola drammaticamente a destra, svuotando quanto di buono fatto in questi anni sul Green new deal per caricare priorità e risorse sul riarmo, sulle industrie che producono armi. I francesi e gli italiani producono armi, le parole belliciste di Macron dovrebbero fare paura, come fa paura il riarmo per 100 miliardi di euro della Germania, dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale e la Shoah. Tutto questo avviene con il silenzio assenso o a volte il supporto dei democratici. Uno scenario gravissimo, una Europa sempre meno autonoma e sempre più subordinata all’agenda atlantica dove le carte le danno gli americani e i britannici. Di queste cose dovremmo discutere, non di figurine per riempire le liste. Giovedì a Strasburgo è stato bocciato, anche con i voti della delegazione Pd, un emendamento di the Left che chiedeva di respingere il rafforzamento delle dotazioni di bilancio destinate alla militarizzazione. Se si è per la pace si vota per il cessate il fuoco a Gaza e ci si batte per fermare la corsa alle armi, all’economia di guerra. Il resto sono chiacchiere. Diffidate di quelli che dicono “siamo tutti per la pace ma…”, sono come quelli che dicono “non sono razzista ma…”.
Una tema che ti ha visto particolarmente impegnato a Bruxelles è quello del garantismo, vedi il cosiddetto “Qatargate”. Scrive Sansonetti: “Il garantismo non è solo la religione delle anime belle. È la chiave del futuro, della modernità…”
Sul garantismo c’è stato un fraintendimento, dovuto alla narrazione berlusconiana degli ultimi trenta anni, per me si tratta di stato di diritto, giusto processo, tutela dell’indagato e presa in carico del condannato eventuale. Non un lascia passare per élite spericolate. Il garantismo dovrebbe essere la cifra della civiltà, della proposta della sinistra democratica e progressista. E il garantismo non riguarda appunto le élite, le furbate alla Nordio su di un garantismo per soli ricchi. La condizione carceraria, la depenalizzazione dei reati minori, la legalizzazione della cannabis, l’organizzazione di luoghi alternativi al cercare per affrontare le dipendenze così come la salvaguardia delle prerogative parlamentari, del principio di non subordinazione del potere politico a quello giudiziario. Questo è il garantismo, una cosa seria. Che ha a che fare con la tutela della povera gente con scarse relazioni e poche risorse per difendersi. Che ha a che fare con lo stato di diritto. Non la barzelletta di certa destra che aizza e chiede galera per qualsiasi reato, per gli adolescenti che vanno ai rave, per i migranti, per i consumatori di erba, per tutti insomma tranne che per i propri amici quando incappano in vicende giudiziarie. Come Santanché o altri. Bisogna fare le persone serie. Una destra patriottica a corrente alternata che non muove un dito per portare a casa la cittadina italiana Ilaria Salis, detenuta in condizioni estreme in un Paese illiberale come l’Ungheria e che rischia venti anni perché accusata di aver dato una spinta a un neonazista (spinta che Ilaria nega di aver dato) non c’entra nulla con il garantismo. Tutti noi dovremmo sapere che costruire ghigliottine non è un buon investimento, spesso va a finire che ci finisce anche la testa di chi le ha fortemente volute. Senza ricorrere a Robespierre il caso ultimo di un autorevole magistrato giustizialista è lampante. Come diceva Nenni c’è sempre un puro più puro che ti epura.
Un vento di destra continua a spirare forte in Europa. È inarrestabile?
La destra è forte perché dispone di una ideologia unificante in tutto il mondo. Da Trump a Modi, dalla Turchia all’Ungheria, dalla Francia alla Germania, dal Portogallo delle ultime elezioni all’Italia di Meloni. La destra semplificando un po’ è liberista, autoritaria, nostalgica, guerrafondaia, negazionista sul clima, proibizionista, giustizialista, nazionalista, razzista, patriarcale e maschilista. Fornisce alle persone in difficoltà materiale ed esistenziale degli appigli e dei nemici immaginari contro cui scagliarsi. Noi dovremmo avere il coraggio di sollevare bandiere del tutto opposte e costruire una contro narrazione che dia voce a tutti coloro che si battono ogni giorno nella loro specifica trincea senza trovare un luogo che sappia ricomporre un fronte comune. La destra interpreta lo spirito del tempo, noi non possiamo rispondere con il buon senso tecnocratico dei salotti altamente scolarizzati, ma ingaggiare una battaglia nel gorgo della società italiana dando rappresentanza e coagulando una minoranza non più dispersa ma compatta e consapevole. Una minoranza attiva pronta a battersi per la giustizia climatica, sociale, di genere e per disarmare il continente e persino il linguaggio. Questa la sfida campale delle prossime Europee, in questo senso darò il mio contributo per far crescere l’Alleanza Verdi e Sinistra. Nel campo largo serve, è necessario un gancio solido, valoriale che tenga ancorata l’alleanza su valori e punti programmatici radicali, capaci di modificare il modello di sviluppo, favorendo la transizione ecologica, e dare una missione ambiziosa e sovrana al continente. La pace, un continente potenza di pace e dialogo, autorevole, capace di dialogare e realizzare negoziati con lo sguardo al dopo guerra e alla ricostruzione, con il cuore a Gaza al fianco delle vittime. In fondo questo saranno le elezioni europee, un referendum su in quale Europa intendiamo vivere. Quella rancorosa e chiusa della destra, armata fino ai denti, o un continente aperto, democratico fondato sulle libertà e lo stato di diritto. L’Europa minima delle nazioni o il progetto originario delle istituzioni comunitarie determinate dal voto popolare.
La partita europea è ancora aperta?
La destra non è imbattibile, come hanno dimostrato Psoe, Sumar e indipendentisti in Spagna. Ma c’è bisogno di un bagno di umiltà, di superare la pigrizia delle formulette, e di avviare un cammino rifondativo delle categorie, i linguaggi, dei gruppi dirigenti diffusi e dei blocchi sociali a cui vogliamo dare forza e rappresentanza. Senza paternalismo, ma innescando processi democratici veri in cui il campo si mescola e si conta, dove uno vale uno. Magari smettendola di nascondere le primarie, un ottimo strumento per decidere sindaci e presidenti di Regione; saranno state un poco approssimative, ma certamente evitavano le brutte figure di queste ore. E poi chiamare la nostra gente a votare e scegliere non è mai un errore. Lo sa bene Schlein che è arrivata alla segreteria del Pd grazie a questo strumento. O no?