L'alleanza lucana
Perché Calenda e Renzi in Basilicata appoggiano Bardi: da cosa nasce l’alleanza con il centrodestra
Il leader di Azione ufficializza lo strappo col centrosinistra: “Vi auguro buona strada con Conte”. Che in Piemonte non vuole il candidato Pd
Politica - di David Romoli
La notizia non ha stupito nessuno: era nell’aria già da qualche giorno, degna confusione del disastro combinato dal Campo in Basilicata. Ma la prevedibilità non inficia nemmeno un po’ la portata del fatto: Azione va col centrodestra in Basilicata, proprio come l’Italia viva di Renzi.
In Piemonte la situazione non è ancora definita ma tutto lascia credere che si replicherà il medesimo schieramento. Le regionali non sono le elezioni politiche, certo, ma non sono nemmeno a questo punto una circostanza eccezionale e irripetibile.
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Al contrario, gli elementi perché la disposizione si allarghi sino ad abbracciare il quadro nazionale ci sono. Tajani aspetta a braccia aperte. È stato il primo a ventilare una “alleanza più larga” in Lucania, ha lanciato un’opa esplicita sui centristi dell’altra sponda approfittando del loro vagare in cerca di collocazione.
Nella politica di oggi gli aspetti caratteriali pesano molto più di quanto non si verificasse nella prima Repubblica e forse persino negli anni del berlusconismo. Che leader come Calenda o Renzi riescano a far parte del centrodestra senza perdere le staffe in poco tempo è improbabile. Ma con l’elettorato il discorso è diverso.
Tajani è riuscito sinora nell’impresa, che quasi tutti ritenevano impossibile, di fare dalla Fi orfana dello straripante Silvio una fisionomia nuova, diversa da quella trionfante del passato ma in compenso adeguata alla situazione politica attuale: una fisionomia centrista, moderata, rassicurante per una fascia di elettorato non irrilevante che teme tanto Conte e il Pd di Elly Schlein, che reputa troppo simile e troppo subordinata a Conte, quanto le intemperanze di Salvini e la doppia faccia di Giorgia Meloni.
A quella fascia di elettorato sognavano di rivolgersi Calenda e Renzi ma il miraggio è sfumato quando quel centro orientato a sinistra, a differenza di quello organico al centrodestra di Tajani, si è dimostrato inesistente.
La sfida per sostituire i 5S come alleato privilegiato del Pd era in buona parte persa in partenza, a maggior ragione dopo i colpi di testa di Calenda nelle elezioni del 2022. Si è dissolta completamente dopo il divorzio fra Renzi e Calenda e la decisione ormai palese della leader del Pd di privilegiare sempre e comunque la necessità di tenersi stretti i 5S.
Il post tagliente, anzi avvelenato diffuso ieri da Calenda sembra dire in modo quasi definitivo che quella decisione della leader del Pd taglia fuori una volta per tutto i centristi all’opposizione: “Vi auguro buona strada sotto la guida del ‘grande punto di riferimento dei progressisti’ Giuseppe Conte”.
Dunque l’eventualità che le schegge centriste siano attratte nell’orbita di una Fi comunque molto più strutturata o che comunque quella scelta facciano gli elettori è a questo punto tutt’altro che fantascientifica.
La sterzata definitiva della segretaria del Pd è comprensibile. Schlein ha capito che oscillare e proseguire la navigazione con una rotta incerta avrebbe avuto esiti esiziali. Meglio una scelta netta, anche pagandone i costi e in Basilicata, dove Azione ha una base reale e la famiglia Pittella è potente quel prezzo sarà probabilmente la Regione.
Il governo domani val bene la Basilicata oggi ma l’aspetto rischioso è che anche con i 5S le cose non sono affatto facili. In Piemonte le alleanze non sono ancora definite ma si può stare certi che i 5S, come Conte ha già annunciato, non appoggeranno Gianna Pentenero, l’assessora messa in campo come candidata dal Pd.
In Piemonte la situazione è resa particolarmente difficile dai rapporti molto aspri tra l’ex sindaca di Torino Appendino, ras del movimentismo pentastellato nella regione, e il gruppo dirigente del Pd.
Non è neppure escluso, inoltre, che di qui al 9 giugno, quando si voterà in Piemonte nell’Election Day, il Pd ci ripensi e provi a giocare un’altra carta. Ma dopo il disastro lucano l’ipotesi è poco praticabile.
Ma per quanto la situazione locale possa aver peggiorato le cose, il nodo nei rapporti tra i due partiti entrambi fondamentali per dar vita a un campo, largo e stretto che sia, è generale. In sintesi, Conte può allearsi con il Pd senza perdere per strada buona parte del suo elettorato solo se riesce a imporre la sua volontà agli alleati.
Non è precisamente la disposizione migliore per avviare una coalizione credibile. Elly rischia di perdere per sempre fette di elettorato centrista per offrire in cambio una coalizione rissosa con un leader arrogante. Non sono le carte migliori per vincere le elezioni, né quelle regionali né quelle politiche.