La premier al Senato
Meloni condanna l’omicidio di Navalny e il voto farsa in Russia, tensione col filo-putiniano Salvini
Meloni condanna l’omicidio di Navalny e prende le distanze dall’alleato filo-putiniano. Tajani ribadisce: “A Mosca elezioni viziate”. Poi la capriola: “No all’escalation ma pieno sostegno a Kiev”
Politica - di David Romoli
Per prendere le distanze da Salvini senza che nessuno possa parlare di divisioni nella maggioranza, un tabù sempre e più che mai con dietro l’angolo una tornata elettorale sia pur limitata a una regione non popolosa, Giorgia Meloni, minacciata con le dita a pistola da un imberbe sedicenne e oggetto per questo di corale solidarietà, sceglie una formula che avrebbe riempito d’orgoglio i vecchi democristiani: “Ribadiamo la nostra condanna allo svolgimento di elezioni farsa in territori ucraini (occupati dalla Russia, ndr) e alle vicende e che hanno portato al decesso in carcere di Alexei Navalny. Il suo sacrificio in nome della libertà non sarà dimenticato”.
Sulle elezioni in Russia, invece, la premier tace. Non per paura di scontentare Putin ma per evitare i titoloni sui punti di vista opposti suo e del vicepremier Salvini, che nell’aula del Senato dove si discute del prossimo Consiglio europeo ha scelto a sorpresa di non esserci. Chi non la manda a dire invece è Tajani, l’altro vice: “Sono state elezioni viziate”.
Però anche lui di divisioni non vuol sentir parlare: “Quando votiamo, votiamo tutti alla stessa maniera”. L’importante, come non smette di ripetere la premier, è solo questo. Per la verità qualcosa sulla Russia la dice anche lei ed è un’ulteriore strada obliqua per smentire Salvini senza farlo apertamente. È l’omaggio a Navalny, il cui nome è “simbolo del sacrificio per la libertà” e dunque “non sarà dimenticato”.
Dove invece non c’è diplomazia di maggioranza che tenga è sull’Ucraina. Sostegno pieno, senza un attimo di ripensamento, almeno in via ufficiale, rispetto alla strategia adottata dalla Ue negli ultimi due anni.
Sostegno ribadito nei fatti con la visita a Kiev, poi con l’accordo di “cooperazione a 360 gradi” con l’Ucraina e “stupisce che chi chiede la pace sia contrario”, infine con l’impegno italiano a favore dell’ingresso di Kiev nell’Unione.
Un approdo da festeggiare così come quello, già avvenuto, dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Le truppe europee però no. La proposta di Macron viene respinta senza perifrasi e in coro. Lo fa la premier in aula: “Sarebbe foriera di una escalation pericolosa, da evitare a ogni costo”.
Lo fanno con altrettanta fermezza Tajani e il titolare della Difesa Crosetto, in commissione. E’ un passo che la stessa opposizione non può che approvare. Solo che la premier ne aggiunge un altro, nella migliore delle ipotesi contraddittorio: “Come ci si può sedere a un tavolo delle trattative con la Russia che non ha mai rispettato gli impegni assunti?”. Quale sia la strada, oltre a inviare armi a valanga e sperare che bastino, non è dunque chiaro.
È una Meloni che piacerà senza dubbio a Bruxelles quella che ha presentato ieri al Senato le posizioni che assumerà l’Italia nel Consiglio. Schieratissima con l’Ucraina ma senza tentennamenti sulla partecipazione alla guerra.
Equilibrata, pur se meno critica di altri Paesi con Israele, su Gaza: “Non possiamo dimenticare che a iniziare questo conflitto è stata Hamas e lo ribadisco perché la reticenza tradisce un antisemitismo dilagante”.
Con Israele, con il suo diritto a difendersi, però contro la “reazione sproporzionata” e contro l’attacco annunciato a Rafah, a favore della soluzione “due popoli, due stati” e pronti a salutare con piena soddisfazione il cambio della guardia ai vertici dell’Anp.
In realtà la posizione italiana resta nettamente sbilanciata a favore di Israele, e lo si percepisce tanto nelle parole della premier quanto in quelle di Tajani. Non solo perché il ministro degli Esteri boccia senza appello la proposta spagnola e irlandese di interrompere il “dialogo politico” con Israele, quello era scontato in partenza, ma perché riafferma che l’Italia, per ora, non riprenderà gli aiuti economici all’Unrwa, l’agenzia per i rifugiati palestinesi: “Aspettiamo la conclusione delle indagini, poi decideremo”.
La guerra, anzi le guerre fanno la parte del leone nell’informativa al Senato come lo faranno in sede di Consiglio europeo. Il contorno fisso è l’immigrazione, con una difesa a spada tratta dell’accordo con l’Egitto, che per Meloni non significa affatto abbandonare la ricerca della verità su Regeni.
Eppure il vero passaggio strategico è un altro, anche se sempre alla guerra rimanda. L’orizzonte del governo in carica è il riarmo: “La Nato deve essere composta da due colonne di pari peso, una Usa e una Ue”.
E’ fondamentale se si vuole che la propria parola sia incisiva quanto quella degli americani, che invece al momento si sobbarcano il grosso delle spese vertiginose che ogni anno finiscono alla Nato. Perché “la libertà ha un costo, la sovranità ha un costo e non credete a chi vi dice che tutto ciò può essere concesso gratuitamente”. No, non sarà gratuito e si sa già chi pagherà la nuova parola d’ordine: “Più cannoni, meno burro”.