Le stragi di migranti
Come muoiono i migranti che non annegano: l’agonia tra fame, sete e ustioni
Quelli che non annegano muoiono di stenti: fame, sete, caldo, freddo, ustioni. È la verità nascosta dietro la fredda conta dei decessi. E che dovrebbe perseguitarci
Cronaca - di Iuri Maria Prado
Nei giorni scorsi, dopo l’ultima strage di migranti di cui diffusamente e ripetutamente ha scritto l’Unità, faceva capolino sulle prime pagine di alcuni giornali una verità plateale quanto normalmente accantonata.
E cioè che chi scappa dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni, se non è salvato non muore soltanto: muore di stenti. Dice: e che cosa cambia? Cambia eccome, per la responsabilità di chi non li salva.
Sarebbe infatti già abbastanza se soltanto morissero. Ma oltretutto non muoiono in uno schianto, non muoiono come si muore investiti da un’automobile, o presi da un infarto, o da una pallottola. Quando non muoiono affogati, muoiono di sete e di fame, o per le ustioni del sole, o assiderati.
È abbastanza tranquillizzante denunciare che su quel gommone ne sono morti venti, su quella tinozza ne sono morti trenta, su quella zattera quaranta, e via così. La realtà è che la morte li ha sottratti a un’agonia lunga chissà quanto. La realtà è che non salvarli significa affidarli a quell’agonia.
La realtà è che non salvarli non significa farli morire, come siamo disposti ad accettare: significa farli morire di ciò che muoiono, la sete, la fame, l’accanirsi del sole, il durare letale del freddo nell’assenza dei soccorsi.
Il realismo che descrive il puro annientamento di quelle vite in una fredda contabilità necrologica è insufficiente a restituire la verità, che anzi è coperta dai neutri resoconti sui numeri delle vittime.
La parte non narrata è quella che dovrebbe perseguitarci: la corruzione della carne e l’affaticamento del fiato di quelle persone, la mortificazione dei sensi, della fisionomia, dello sguardo, della capacità di movimento di quei corpi, lo svenimento dei muscoli e dell’efficienza dei nervi di quei moribondi, i tremori delle membra debilitate e la pelle deturpata di quei derelitti.
Non meritiamo la tranquillità che ci dà la notizia che sono morti e basta.