Lo strappo con l'Ecowas

Mali, Niger e Burkina Faso: l’occidente preoccupato dalle decisioni delle giunte militari

Alla fine di gennaio le giunte militari giunte al potere con colpi di stato hanno annunciato il ritiro Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale. Sale la preoccupazione internazionale

Esteri - di Marco Perduca - 22 Marzo 2024

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Mali, Niger e Burkina Faso: l’occidente preoccupato dalle decisioni delle giunte militari

Il 19 marzo scorso, nel corso dell’audizione alla Camera delle commissioni Esteri e Difesa sulle missioni internazionali, il Ministro Crosetto ha fatto sapere che “l’Italia lavora per portare avanti la cooperazione con il Niger anche dopo il colpo di Stato di luglio, come già aveva fatto proseguendo le attività di costruzione della base aeroportuale di Niamey”. Le motivazioni sarebbero il controllo del traffico di esseri umani.

Peccato che alla fine di gennaio le giunte militari di Niger, Mali e Burkina Faso hanno annunciato il loro ritiro dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (in inglese ECOWAS) a causa delle sanzioni imposte dall’organizzazione in risposta ai colpi di stato che le hanno portate al potere dal 2020.

L’ECOWAS comprende un’area di 5,2 milioni di chilometri quadrati (metà degli USA) ne facevano parte Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea Bissau, Liberia, Mali, Niger, Nigeria, Sierra Leone, Senegal e Togo.

Si stima che la popolazione sia di 424.34 milioni, quasi come quella dell’Unione europea. Il PIL congiunto dei 15 paesi è di 734,8 miliardi di dollari (quello dell’UE nel 2021 era 14500 miliardi di euro). Nel 2007 il Segretariato dell’ECOWAS è stato trasformato in una Commissione con tanto di Presidente e Vice e 13 Commissari per favorire una “integrazione regionale a più livelli”.

L’improvvisa ascesa delle giunte militari in Mali, Niger e Burkina è stata caratterizzata da una retorica tardo “terzomondista” con affermazioni di liberazione definitiva del giogo degli sfruttamenti neo-coloniali da parte della Francia, e in parte degli USA.

Nella loro guerra a gruppi jihadisti nel Sahel, americani ed europei avevano progressivamente rafforzato la presenza militare in aree strategiche per controllare, o tentare di contrastare, il passaggio di gruppi affiliati all’islam fondamentalista di varia matrice.

Le situazioni nazionali dei tre paesi sono diverse tra loro, ma con tratti in comune: l’assenza di sbocchi sul mare, il passato coloniale francese restato presente con il famigerato “franco centrafricano” (o CFA), la presenza militare di Parigi per motivi di sicurezza regionale e le relazioni pericolose con la Russia.

Il 20 marzo il Dipartimento di Stato ha avviato i negoziati con il Niger per non smobilitare la propria presenza militare con il fine di evitare che l’uranio locale finisca in Iran. La presenza militare franco-americana, con piccoli contingenti di altri paesi europei Italia compresa, non ha mai portato a un salto di qualità nelle relazioni politico-diplomatiche coi tre paesi.

Queste “incomprensioni” hanno favorito l’apertura di dialogo con attori noti per altri interessi e condotte che, senza troppe precondizioni, hanno reso possibile il riconoscimento e rafforzamento delle giunte “anti-colonialiste” – e poco importa se si tratta dei regimi autoritari di Mosca o Pechino o delle petro-monarachie del Golfo.

Ad aprile del 2023, dopo anni di acceso dibattito, che qualche anno fa arrivò perfino in Italia grazie alle strumentalizzazioni del Movimento 5 Stelle, si era tenuta una riunione ministeriale tra ECOWAS e Francia per discutere il tema del CFA.

Da parte francese la garanzia fornita alla moneta regionale e l’assicurazione della sua convertibilità, è, o era, percepita come un motivo di stabilità economica per la regione; i recenti sviluppi non fanno ben sperare circa la riforma della cooperazione monetaria in Centrafrica.

Unioni monetarie a parte, l’uscita delle tre giunte militari dall’ECOWAS aumenta le preoccupazioni continentali e internazionali per quanto sta accadendo in Africa occidentale. Dal golpe nigerino, le tre giunte hanno annunciato di concertare le decisioni per contrastare la chiusura delle frontiere terrestri e aeree che li circondano, l’imposizione di una no-fly zone per i voli commerciali, la sospensione delle transazioni finanziarie e il congelamento di beni che questi detenevano nelle banche centrali dell’ECOWAS.

In una dichiarazione congiunta a fine gennaio Mali, Burkina e Niger hanno accusato gli ex-soci di “tradire i principi fondativi” dell’ECOWAS affermando che l’organizzazione è “diventata una minaccia per i suoi Stati membri e i loro popoli”.

Eppure il raggruppamento dei paesi dell’Africa occidentale è sempre stato un esempio di unione di stati sovrani che, partendo da questioni economiche, ha rafforzato i legami politici tra paesi vicini, ivi compresa la cooperazione militare o l’intervento in casi di conflitti interni.

L’articolo 3 del Trattato ECOWAS del 1975 nega quanto affermato dai golpisti, chiarendo che l’organizzazione persegue, tra le altre cose la “uguaglianza e interdipendenza degli Stati membri, la cooperazione interstatale, l’armonizzazione delle politiche, il mantenimento della pace, della stabilità e della sicurezza regionale attraverso la promozione e il rafforzamento del buon vicinato oltre che la risoluzione pacifica delle controversie tra gli Stati membri”.

In Mali da una dozzina di anni la situazione politico-securitaria è andata peggiorando con violente incursioni di gruppi jihadisti a nord che hanno progressivamente sottratto al governo centrale il controllo di intere regioni.

L’intervento delle forze francesi a sostegno dell’esercito maliano già una decina di anni fa non sempre ha sortito gli effetti desiderati dando luogo a scontri con le comunità “difese”. Dal colpo di stato del 2020 l’insofferenza maliana nei confronti dell’ex potenza coloniale ha fatto sì che Bamako si sia rivolta a servizi di sicurezza privati, come la russa Wagner, ritenuti più efficaci.

Se già le truppe francesi non andavano troppo per il sottile, i mercenari di Prigozhin si sono caratterizzati per massacri di centinaia di persone con torture e stupri di massa. Il Burkina Faso, che negli anni ‘80 era famoso per uno dei più originali festival del cinema nella capitale Ouagadougou, oggi ha il drammatico record di due colpi di stato nello stesso anno (gennaio e settembre 2022).

In Niger, a fine luglio del 2023, una giunta militare sostenuta da una “piazza” anti-francese, ha arrestato il Presidente della Repubblica instaurandosi al potere e esigendo che la presenza militare straniera se ne andasse. Dopo le prime opposizioni diplomatiche, la Francia ha capitolato, gli USA hanno invece fatto buon viso a cattivo gioco.

Mali e Niger hanno sterminati e incontrollati, anche perché incontrollabili, confini con paesi che non fanno parte dell’ECOWAS; è ragionevole ipotizzare che Mauritania, Algeria, Libia e Ciad escogiteranno modi “informali” di cooperare coi tre stati paria per difendere i propri interessi.

Una prova di questo nuovo ruolo indipendente in chiave anti-europee è la riapertura del campo di Agadez in Niger. Istituito dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni 10 anni fa per dissuadere il viaggio illegale di decine di migliaia di persone verso il Mediterraneo, il centro era stato chiuso dopo il golpe.

Dal 2014 al luglio 2023, l’Unione europea aveva donato quasi 1 miliardo di euro in aiuti al Niger, in aggiunta alle centinaia di milioni spesi dai singoli paesi europei. L’estate scorsa l’Ue aveva anche promesso di sopperire alla mancate entrate legate alla lotta al traffico di migranti, ma ad Agadez solo circa 900 delle 6.500 persone coinvolte nel business dell’immigrazione ne hanno beneficiato.

Non è ancora chiaro come tre paesi senza capacità tecnologiche di sfruttamento delle proprie risorse minerarie e senza accesso alle vie di comunicazione marittima possano aiutarsi e rafforzarsi a vicenda, ma aprire a Russia e Cina lo può far immaginare.

La morte di Prigozhin e lo smantellamento, almeno formale, della Wagner hanno fatto entrare in campo una nuova formazione che Putin ha chiamato “Africa Corps” – lo stesso nome usato da Hitler per le truppe africane durante la seconda guerra mondiale.

Si stima che solo negli ultimi due anni la presenza russa abbia consentito, tra le altre cose, l’esportazione di 2,5 miliardi di oro in circonvenzione delle sanzioni internazionali. Questa presenza, inizialmente invitata per fornire sicurezza alle nuove leadership, oggi non solo gestisce la logistica pesante ma fomenta anche l’odio contro l’Occidente con manifestazioni di piazza e forte uso di internet. Se Europa e USA non possono abbandonare la regione devono esser pronte a fare i conti con problemi ben maggiori del “traffico di esseri umani”.

22 Marzo 2024

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