La guerra in Ucraina

Intervista a Marcello Flores: “Ecco perché Putin non vuole negoziare sulla fine della guerra”

"Solo la resa permetterebbe a Putin di fare i negoziati. Perché Putin non vuole nessun negoziato. Chi sostiene altrimenti, mente sapendo di mentire. Putin vuol fare un negoziato se l’avversario dice mi arrendo".

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

23 Marzo 2024 alle 13:30

Condividi l'articolo

Intervista a Marcello Flores: “Ecco perché Putin non vuole negoziare sulla fine della guerra”

“Bandiera bianca” in Ucraina? L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli storici italiani: Marcello Flores. Il professor Flores ha insegnato Storia comparata e Storia dei diritti umani nell’Università di Siena, dove ha diretto anche il Master europeo in Human Rights and Genocide Studies. Tra i suoi libri più recenti, ricordiamo Il genocidio (Il Mulino, 2021).

Le considerazioni di Papa Francesco sulla “bandiera bianca”, in rapporto alla guerra in Ucraina, hanno scatenato polemiche e letture indignate. “I negoziati non sono mai una resa”, ha rimarcato Bergoglio. Per poi aggiungere “È il coraggio di non portare un Paese al suicidio”. Professor Flores, quali considerazioni le ispirano le parole di Bergoglio?
La prima considerazione che mi viene da fare è che la preoccupazione del Papa è quella di pensare alla propria dottrina e non alla realtà. La realtà è un fatto secondario, la cosa principale è la dottrina. E la dottrina è quella che lui porta avanti con molta chiarezza, per la quale non esiste più una guerra giusta, che era stata per secoli la dottrina della Chiesa, da San Tommaso in poi e che era stata una prima volta annunciata da Giovanni XXIII°, ma in riferimento soltanto alla guerra nucleare, mentre adesso sembra, in discorsi ripetuti non solo dal Papa ma dai suoi più stretti collaboratori, che non si possa parlare in nessun caso di guerra giusta.

Con quali conseguenze?
La realtà viene vista attraverso gli occhi dell’ideologia o, se si vuole, della dottrina. Noi abbiamo una realtà che è costituita da una guerra di aggressione, illegittima sul piano del diritto internazionale, che ha provocato e continua a provocare crimini pressoché quotidiani. Mi sembra che le posizioni presenti in chi dice, in buona sostanza, che bisogna accettare la forza del più forte e quindi spingere l’Ucraina ad alzare bandiera bianca e ad arrendersi…

Arrendersi?
Sì. Perché solo in questo modo si permetterebbe a Putin di fare i negoziati. Perché Putin non vuole nessun negoziato. Chi sostiene altrimenti, mente sapendo di mentire. Putin vuol fare un negoziato se l’avversario dice mi arrendo.

L’alternativa?
Si tratta di capire come difendere l’Ucraina, ovviamente cercando, da una parte, di evitare che si possa arrivare alla guerra, che c’è già, ma a una guerra di tipo nucleare, che sarebbe catastrofi ca per l’intera umanità, e dall’altra capire quali spazi possano esserci per la diplomazia. Spazi che, però, non mi sembra che esistano, a meno che si diano per buone le notizie che tira fuori Putin e ripetutamente rilanciate da alcuni esperti di geopolitica e teorici del realismo politico, secondo cui c’era già un accordo e Zelensky non l’ha voluto accettare. Ma questa è mera propaganda di tipo putiniano. Questa mi sembra la realtà da discutere. D’altro canto, credo che nessuno di quelli che sui giornali scrivono della guerra, sa cosa fanno le diplomazie effettivamente

A proposito di Putin. Qual è la sua lettura del plebiscito delle recenti presidenziali a suo favore?
I plebisciti presidenziali negli Stati autoritari e totalitari ci sono sempre stati. Sono sempre proseguiti nel modo più pervasivo man mano che sia andava avanti. L’abbiamo visto col fascismo, ancor più col nazismo. Lo abbiamo visto con tutti i regimi comunisti che hanno sempre avuto dei plebisciti attorno al 90%. Putin voleva superare i grossi successi ottenuti in passato e per questo aveva dato l’obiettivo che poi il regime ha sancito. Noi non abbiamo una minima verifica indipendente di quanti siano realmente andati a votare e cosa abbiano votato, perché nessuno può saperlo. Abbiamo solo delle immagini di uomini in divisa con il mitra che andavano a controllare i votanti. Secondo rappresentanti di stampa indipendenti, sarebbero addirittura 30 milioni le persone che non sarebbero andate a votare, rispetto ai dati ufficiali che sono stati forniti. Quello non lo possiamo sapere. Sappiamo sicuramente che tutta l’architettura politico-mediatica dispiegata dal regime, ha fatto sì, perché convinti o perché terrorizzati o perché pensano che non vi sia altra alternativa, che la stragrande maggioranza dei russi di fatto accetti il potere di Putin. Questa è la realtà. Che può essere incrinata se c’è una forte azione di sostegno degli oppositori, al rafforzamento di una informazione libera e indipendente. Un’azione che mi sembra ormai quasi del tutto abbandonata da molte forze occidentali e in Italia in modo particolare

Con uno sguardo più generale, allargando l’orizzonte, si può dire che il disordine mondiale si stia sempre più trasformando in quella che Papa Francesco ha definito “una guerra mondiale a pezzi”?
A me non piace questa definizione, perché non capisco bene cosa significhi. Seppure fosse a pezzi, ci dovrebbe essere una guerra mondiale. Invece, la stragrande maggioranza dei territori e dei paesi non è coinvolta in alcuna guerra e pensa di non esserlo almeno nel futuro prossimo. Ci sono dei conflitti che hanno reso più difficile quel precario equilibrio internazionale che si era andato costruendo. Certamente in modo contraddittorio, per responsabilità molteplici, potremmo fare un elenco mettendoci se si vuole gli Stati Uniti per primi, come maggiori responsabili. Comunque sia, quel pur precario equilibrio era sorto dalle ceneri della Guerra fredda. Un equilibrio che, nei migliori auspici, avrebbe dovuto portare ad una governance mondiale multipolare molto forte. Cosa che non è avvenuta, ma di cui c’è assolutamente bisogno. Ma per potere almeno porre quell’obiettivo all’attenzione, bisogna che ci sia un accordo di base quanto al rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale, primo fra tutti quello che non si può aggredire un Paese vicino perché si considera che è proprio, senza legittimità di alcun tipo, né storica, né politica né culturale, come è avvenuto nel caso della Russia con l’Ucraina.

Questo discorso vale anche per l’altro teatro di guerra: Gaza?
In una situazione di conflitto che c’è dal ’48 – insieme a quello nel Kashmir, il conflitto israelo-palestinese è il più antico di quello che si riscontra nella storia mondiale- l’azione di Hamas del 7 ottobre scorso ha messo in moto un meccanismo di tipo nuovo, sconvolgente. Così come di tipo nuovo è l’azione stessa di Hamas, che non rientrava in quelli che erano stati i canoni precedenti della resistenza armata, del terrorismo, delle azioni dei palestinesi contro Israele. Così come la reazione in corso d’Israele è senza paragoni rispetto al passato. Pensiamo, ad esempio, all’operazione Piombo Fuso che c’era stata a Gaza una decina di anni fa. C’è un dato nuovo che dal punto di vista dei rapporti internazionali mi sembra evidenzi la difficoltà di tutti gli attori principali – gli Stati Uniti da una parte, gli Stati arabi dall’altra – a esercitare un controllo sui rispettivi alleati, Netanyahu da una parte, Hamas dall’altra. E questa è la testimonianza di una realtà estremamente complicata, che per motivi politici, geopolitici, tecnologici etc, rende difficile quella costruzione di un nuovo equilibrio internazionale che è di vitale importanza e impellenza e che deve tener conto del fatto che oggi anche potenze medie o gruppi armati, pensiamo agli Houthi nel Mar Rosso, rischiano di mettere in discussione la pace, la convivenza. Occorre ricercare strategie che non possono più essere quelle del passato per farvi fronte.

Tornando alla vicenda russo-ucraina. Lei ha scritto libri importanti sull’Unione Sovietica e sulla fascinazione di un certo mito socialista. Che fascinazione può avere oggi il nazionalismo russo, nella versione putiniana, in Europa?
Non dovrebbe averne nessuna. Purtroppo, ce l’ha, ma non perché c’è qualcuno che in buona fede creda che la Russia di Putin stia costruendo qualcosa di mirabile per cui varrebbe la pena andarci a vivere, come invece si pensava ai tempi dell’Unione Sovietica. Il fatto è che Putin rappresenta in questo momento la punta più avanzata dell’antioccidentalismo, dell’anti NATO, dell’anti Stati Uniti. Una parte della sinistra occidentale, europea, nonostante sia finita la Guerra fredda, continua a vivere, a parole, in un vocabolario politico privo di senso dal punto di vista pratico, contro l’Occidente, contro l’imperialismo, il capitalismo, senza cercare di analizzare che tipo di mondo nuovo è sorto o sta sorgendo, in modo complicato e contraddittorio, dopo la fine della Guerra fredda. Tutto questo è un retaggio antico che però purtroppo colpisce anche molti giovani.

Perché, professor Flores?
Direi soprattutto per la sua semplificazione, per il suo apparente radicalismo, che impedisce di fare tentativi seri di ragionamento sulla realtà.

In ballo c’è anche il futuro dell’Europa. Che Europa è quella che si è manifestata nei due anni di guerra in Ucraina e anche rispetto agli altri conflitti, come quello di Gaza?
Una Europa estremamente debole, che è riuscita a trovare una comunanza su alcuni aspetti minimi, che se non fossero stati raggiunti avrebbero rappresentato una indecenza morale e politica, cioè l’appoggio del paese aggredito, l’Ucraina, ma che poi però non riesce ad andare avanti non solo nelle misure da prendere, che continuano ad essere discusse, sottoposte a estenuanti mediazioni, presentate e poi ritirate. Qualcosa alla fine si fa, ma non basta. Non basta soprattutto nella prospettiva di una Europa più politica, più unita da un punto di vista, ad esempio, militare, che sarebbe una necessità immediata ma che invece viene rinviata, perché non si riescono a trovare degli accordi che vadano oltre la paura che si possa perdere quel tipo di unità molto debole che però ha fatto vivere in questi vent’anni l’Europa come una realtà importante ma che di fronte alle sfide che stanno insorgendo non può continuare così, col rischio di perdere sempre di più un ruolo attivo, non subalterno, nello scenario internazionale.

Professor Flores, è anche questione di statura delle leadership?
Indubbiamente questo problema esiste. Lo definirei un deficit di lungimiranza e di coraggio politico. Nel senso che l’attenzione di tutti i leader, medi o piccoli che siano, è rivolta soprattutto al proprio interno. Tutti i leader, in ogni Paese, hanno a che fare con opposizioni interne, lo verificheremo nelle imminenti elezioni europee, che non si erano mai viste nella forma di una opposizione di destra radicale così come si manifestano oggi. Questo è un pericolo per l’esistenza stessa dell’Europa. Comprendo la natura difensiva di tutte le azioni e le strategie che i leader europei pongono, ma proprio per questo ritengo che occorrerebbe uno sforzo per andare avanti. Sarebbe l’unico modo per combattere apertamente contro queste nuove forze revansciste e di destra, sconfiggendole con una Europa più unita politicamente, militarmente e fiscalmente.

23 Marzo 2024

Condividi l'articolo