La testimonianza
Chi sono le 335 vittime della strage delle Fosse Ardeatine: il racconto di Mirella Acconciamessa
"I tedeschi nascosero tutto, ma a dare l’allarme furono i salesiani. C’era un enorme trambusto di camion, i tedeschi stavano portando 335 italiani a morire, come bestie da macello"
Interviste - di Graziella Balestrieri
Dieci per uno. Dieci italiani per un tedesco. È il 1944, il 24 Marzo del 1944, ed in poche ore l’Italia conoscerà una ferocia che stenta ad avere dell’umano, per rapidità di esecuzione e brutalità. Per capire il senso brutale della vendetta e la ferocia di quello che accadrà il 24 Marzo, dobbiamo tornare indietro di poche ore però: appena il giorno prima, il 23 Marzo del 1944 e precisamente a Via Rasella, viene compiuto un attentato contro il battaglione tedesco Bozen, da parte dei partigiani del Gap (Gruppi di azione patriottica) che lottavano per la liberazione del nostro paese dal nazifascismo.
Sono 33 i nazisti a perdere la vita. Nel giro di poche ore viene ordinato che per ogni tedesco ucciso ne vengano uccisi dieci italiani. Il 24 Marzo del 1944 sarà il giorno in cui avverrà quello che oggi si ricorda come la giornata delle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Tra Via Rasella, i partigiani del Gap, le prigioni e le barbarie perpetrate dai nazisti fino alla memoria delle fosse Ardeatine ci accompagna la memoria lucida e la voce ancora carica di dolore di Mirella Acconciamessa, firma storica dell’Unità, e moglie di Aggeo Savioli partigiano e giornalista poi, e cognata di Arminio Savioli, partigiano che aderì al Gap di Franco Calamandrei a Roma, che riuscì a liberare Alfredo Reichlin in seguito alla cattura eseguita da due fascisti.
Arminio combatté come volontario nell’Esercito Cobelligerante italiano, fu membro del Pci e redattore dell’Unità, nel 1961 fu il primo italiano ad intervistare Fidel Castro dopo la Rivoluzione cubana. Mirella racconta di un dolore fatto di silenzio quasi assoluto nel corso degli anni: tutti sapevano cosa era successo, per quelle strade, in mezzo a quel dolore ma nessuno sembrava voler raccontare. Un enorme silenzio che sembrerebbe scontrarsi con la volontà e il dovere di ricordare quelle giornate.
“Le Fosse ardeatine furono qualcosa di orribile…io l’ho vissuta anche dopo – sussurra Miarella – quasi per riflesso, perché avevo sposato Aggeo ed ero quindi diventata la cognata di Arminio. Ho vissuto quel silenzio carico di dolore. E poi negli anni ho conosciuto e lavorato con tante persone che erano state diciamo così protagoniste a Via Rasella, da Franca Capponi ad Alfredo Balsamo. Balsamo non mi ha mai detto una parola su quanto accadde”.
Partiamo da Via Rasella e da suo cognato Arminio…
Arminio non aveva partecipato a Via Rasella, ma aveva partecipato ad un’azione precedente, quella che avvenne all’Hotel Flora, sede del comando e di un tribunale tedeschi in via Veneto: avevano messo degli esplosivi sulle finestre del pianterreno. Siccome Erminio aveva partecipato a questa azione, gli organizzatori del Gap, i capi, decisero di non usare gli stessi uomini di quella precedente azione, che infatti non presero parte all’azione di Via Rasella. Arminio era restio a parlare di questi avvenimenti, evidentemente per lui dolorosissimi. La storia di Arminio che ha ucciso il tedesco, Arminio a me non l’ha mai raccontata, mai! Io l’ho saputa da Aggeo, da mio marito, perché suo fratello una volta, e ripeto una sola volta gliel’aveva raccontata. A me l’hanno raccontata a pezzi e bocconi… Si diceva che a Via Rasella mio cognato fosse stato messo di rinforzo nel caso qualcosa fosse andato storto ma non posso confermarlo perché non ne parlavamo mai, entrambi i fratelli non hanno mai parlato di quel periodo. In 50 anni e passa di vita coniugale, e familiare, io e Aggeo non ne parlavano mai. Sono stati dei fatti e dei dolori talmente personali, talmente intimi, che non potevano essere ridotti a parole. Solo una volta Erminio mi raccontò del salvataggio di Reichlin, ma a “grandi linee” e fu solo una volta, poi non ne parlò mai più.
Suo marito Aggeo era reticente a parlare anche della sua prigionia?
Sì. Aggeo non amava parlare della sua prigionia alla pensione Iaccarino, a Roma. Della pensione mi raccontava ogni tanto che questo militare, Pietro Koch, uno dei più famosi per brutalità, diciamo così, a quei tempi, lo prendeva, gli faceva male e premeva il suo dito sul petto. Mio marito era uno scricciolo, pesava al massimo 45 chili. Koch gli premeva il dito sul petto e gli ripeteva: “domani ti ammazziamo, domani ti ammazziamo”. Mio marito aveva solo sedici anni! A parte questo racconto non andava però mai oltre, non so gli altri, ma io non ho conosciuto mai uno che raccontasse di queste cose. Erano cose che loro hanno vissuto con talmente tanta partecipazione e talmente tanto dolore che non ne parlavano. Mio marito non stava a Via Tasso, ma alla pensione Iaccarino. Aggeo, a quei tempi, frequentava la seconda Liceo al Tasso e distribuiva manifesti, i volantini… Una sera i tedeschi erano alla ricerca del fratello Erminio ma non lo trovarono, e alla fine andarono a casa e presero Aggeo. Lo presero di forza, non so dove lo portarono, lo interrogarono e lo riportarono a casa. Lui tornò a casa, perché alla fine dove sarebbe potuto andare? Anche lui, infatti, se lo domandava “dove andavo? Da chi andavo? Alla fine, avevo 16 anni”. Insomma, tornò a casa e il giorno dopo lo ripresero. Lo ripresero e lo portarono alla pensione Iaccarino, una succursale di Via Tasso, con la differenza che Via Tasso era tutta sotto il comando dei tedeschi, mentre la Pensione Iaccarino era sotto il comando di questo Koch, e c’erano anche gli italiani fascisti, questa era la differenza: era una via Tasso italiana. Lui stava in una cella insieme ad altri. Poi devo raccontarti – e qui c’è tutto il delirio dei nazisti – che una mattina gli dissero che lui era un minorenne e siccome i tedeschi ci tenevano all’ordine (ci scherza su, Mirella) erano precisi sai, lo salvarono, perché lo mandarono al carcere minorile, in mezzo ai delinquenti comuni. Di quel carcere Aggeo scrisse dopo poesie meravigliose, drammaticamente meravigliose. Quando poi arrivarono gli americani, i capi se la squagliarono, molti scapparono dalla prigione. Aggeo non scappò nemmeno, si sdraiò su un pagliericcio e aspettò che la mattina dopo lo andassero a prendere suo padre e suo fratello con una bella pistola alla cinta, da fieri partigiani del Gap. Appena uscito da lì fu salutato con molto rispetto: era stato un prigioniero politico a soli 17 anni.
Come ha saputo delle Fosse Ardeatine?
Sapevo che una mia amica, la sua famiglia insomma, teneva delle persone nascoste in casa, una cosa molto comune allora ma per ovvie ragioni non si diceva apertamente. Lei era molto informata, molto più di altri. Ed è stata proprio questa mia amica che aveva all’incirca due anni più di me, (Mirella aveva 15 anni, ndr) che venne a dirmi di quanto stava accadendo ed era accaduto. Ma in realtà furono i salesiani che diedero “l’allarme” per Roma, stavano lì vicino e si accorsero del trambusto dei camion. Dovete riflettere su questa cosa: il trambusto dei camion che trasportavano le persone come bestie da macello. Non furono le raffiche dei fucili, ma i camion, il rumore dei camion, perché 300 persone da caricare, furono tante persone e il rumore dei camion diede l’allarme dell’atrocità che stava avvenendo. E poi lo trovo ancora terribile, mi vengono i brividi a ricordare questa cosa, ovvero il fatto che ai tedeschi mancavano ancora delle persone per raggiungere il numero degli italiani da uccidere e ne andarono perciò a caricare altri. Anche gli abitanti di quella zona avevano sentito tutta quella baraonda, si sparse immediatamente la voce per tutta Roma, e arrivò anche ai Parioli, e così scoprimmo di questo momento orribile. In questo gruppo di ragazzi del muretto, che io frequentavo, ce ne era uno un pochino più grande di me, di noi. Suo cognato era un tenente, un giovane ufficiale che era stato arrestato ed ammazzato alle Fosse Ardeatine. Fu un periodo molto nero, un periodo oscuro, drammatico. E anche se i diretti protagonisti, almeno quelli da me conosciuti direttamente sono stati restii a raccontare le loro azioni, la storia che poi è venuta fuori è un patrimonio assoluto che dobbiamo preservare con la memoria. L’eccidio delle Fosse Ardeatine è fondamentale per la storia del nostro paese: ripeto, fondamentali. Ricordare le Fosse ardeatine è fondamentale, perché sono la testimonianza del potere occulto, sono la testimonianza del potere oscuro del Nazismo e del Fascismo. Della loro ferocia, della loro brutalità nell’essere accecati dal senso di vendetta. Alla fine è stato così: hanno preso dei poveracci che stavano in galera e li hanno trucidati per rappresaglia. E questa è una cosa che va ricordata sempre: dieci italiani per un tedesco. Venne presa tanta gente, fucilata e buttata nelle fosse, legata a due a tre, gente che non c’entrava nulla, antifascisti o meno, gente che non c’entrava nulla! Le Fosse Ardeatine sono state una cosa orribile, una cosa che l’umanità non può concepire. E la cosa che più lascia senza parole è la rapidità, sottolineo, la rapidità con cui è stata fatta questa vendetta, tutto nel giro di poche ore, nemmeno 24 ore. Fu un massacro rapidissimo.
Sei mai stata in visita alle Fosse Ardeatine?
Io ci andai anni dopo, prima che venisse costruita la stanza con tutti i nomi delle vittime…ci sono stata quando ancora diciamo non era stato costruito il mausoleo, appena è stato possibile ci andammo con un gruppo di amici. Quello che vidi ancora ce l’ho negli occhi. C’erano i segni per terra. Non ci sono voluta tornare mai più.
Mirella, mi ha ripetuto più volte che è molto doloroso parlarne…posso chiederle però che cosa ha visto lì, cosa ha sentito?
Beh, la disperazione, il pianto, il dolore, lo stravolgimento. Quando sono andata alle Fosse ardeatine ero molto giovane. Lì ho percepito, si percepiva il senso della malvagità dell’uomo: è un posto terribile, terribile. Se ci penso ce l’ho ancora negli occhi quel giorno, uscì da lì stravolta, piangendo. Non puoi entrare in un posto così e non piangere, sei un mostro se non piangi. Poi oggi non so come vengono vissute e ricordate le Fosse ardeatine…beh ci va il Presidente della Repubblica e poi? Non lo so, con la destra al governo, non so se si riesce a dargli il significato, ripeto fondamentale che questo luogo ha per la nostra storia. Oggi ormai è un museo. Ma niente è come le Fosse Ardeatine. E ancora di recente ci sono stati quelli che hanno speculato sui fatti di Via Rasella, definendola un’azione “tutt’altro che nobile”. Via Rasella fu solo una normalissima azione di guerra organizzata, per rompere quella situazione drammatica dell’occupazione. La rappresaglia è stata una cosa orribile, fuori da ogni umana concezione.
Ricordare è importante. Soprattutto di questi tempi, in cui si sta imponendo il revisionismo del governo di estrema destra a colpi di fake news. Come spiegare allora questa reticenza nel raccontare i fatti che lo videro protagonista, da parte di suo cognato Arminio e di suo marito Aggeo?
Devi capire che ai figli di Erminio la storia del padre l’ho raccontata io, in un viaggio verso Londra. Loro non ne sapevano nulla…non so spiegarlo ma da parte di mio cognato, di mio marito, c’era un silenzio che ti faceva capire quanto le loro vite non erano più state le stesse dopo quelle vicende e quanto avessero sofferto, quanto fosse intimo quel dolore.
Dunque più c’è silenzio più grande è il dolore?
Proprio così! Le Fosse ardeatine sono state per il nostro paese l’orrore, qualcosa di inumano per brutalità e voglia accecante di vendetta da parte dei nazisti, una furia che non ha risparmiato nessuno.
Un po’ come sta accadendo oggi in Palestina?
Sai, tempo fa ho fatto un viaggio in Israele e in Palestina. La luce che ho visto a Gerusalemme, anche a detta di molte altre persone che sono state lì, beh la luce che c’è a Gerusalemme ti posso assicurare che non c’è in nessun altro posto del mondo. Ma quella luce oggi è offuscata dalla furia cieca di Netanyahu.