Piero De Luca, parlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito democratico. Nel centrosinistra, e nel PD, torna centrale, se mai aveva smesso di essere tale, il tema delle alleanze. Al di là delle metafore agrarie – campo largo, giusto, accidentato etc. – il punto è: quello su cui insistere è l’asse PD-5Stelle?
Mi verrebbe da dire che la questione è politica, ma anche matematica. A destra c’è un’aggregazione di partiti che pur essendo divisi su temi decisivi di politica nazionale ed internazionale si ricompattano per logiche di potere in occasione delle elezioni. Per essere competitivi, è necessario strutturare anche nel centro sinistra un sistema di alleanze ampio e possibilmente più stabile, all’altezza della sfida che abbiamo, costruire un’alternativa di governo per liberare il Paese da questa destra pericolosa. Il nostro obiettivo, dunque, quello a cui “testardamente” come sottolinea la segretaria Schlein, dobbiamo lavorare con convinzione e generosità, è fare sintesi ed unità. Dobbiamo cucire la trama di un’intesa politica vera tra le forze che oggi sono all’opposizione del governo. Per realizzare questo obiettivo, il PD, quale prima forza politica del centro sinistra, ha l’onere e la responsabilità di essere punto di equilibrio di un’alleanza progressista, da costruire consolidando sempre più il rapporto con il M5S ma senza escludere nessuno, senza porre veti sulle forze c.d. moderate, per non regalare pezzi di rappresentanza del Paese alla destra e per essere competitivi in ogni area d’Italia, da Nord a Sud. Del resto, non è bene partire dalla fine ma dall’inizio e l’inizio, in politica, si chiama progetto, che dobbiamo realizzare unendoci su valori comuni più che sulle sigle dei partiti, partendo dalle battaglie che ci accomunano sul salario minimo, su sanità e scuola pubblica. Abbiamo il dovere di costruire un argine e offrire una speranza di cambiamento del Paese. Un Paese che paga i fallimenti del governo sui temi economici, sulle risposte alla precarietà del lavoro, alle condizioni di vita delle famiglie, sull’attuazione del Pnrr, sul ruolo in Europa, e che vive una stagione di politiche reazionarie messe in atto dalla destra: dall’attacco allo Stato sociale, all’unità d’Italia con l’autonomia differenziata o all’attuale assetto istituzionale con la riforma sul premierato che mette in discussione la figura del Capo dello Stato e il ruolo del Parlamento, fino ad un revisionismo strisciante della storia repubblicana. Per non parlare di un pericoloso utilizzo politico delle istituzioni.
A cosa si riferisce?
Ha iniziato la Presidente Meloni insieme Fitto, utilizzando una logica politica da bancomat elettorale per sottoscrivere gli accordi di coesione con le Regioni legati alle risorse FSC. Come se questi fondi fossero soldi privati per alcune regioni o una gentile concessione del governo per altre. Da ultimo a Bari, stiamo assistendo ad un pericoloso uso politico e strumentale di procedure che dovrebbero essere utilizzate con rigore dal Ministro dell’interno, non su richiesta di parlamentari o membri del Governo. Un fatto gravissimo, per le modalità e la tempistica, che rappresenta un precedente grave per la nostra democrazia. Il sindaco De Caro, cui va il mio sostegno, si batte da anni contro la mafia e la criminalità organizzata.
Non ritiene che in politica uno più uno non faccia sempre due? Fuor di metafora matematica, allargare la coalizione, come è avvenuto in Abruzzo, non porta ad una sottrazione piuttosto che ad una moltiplicazione dei voti?
Può essere un rischio, certo. Io dico che la somma aggiunge e non sottrae se le forze che si uniscono si presentano agli elettori coese e credibili, alimentando energia e passione. Questo accade anzitutto se si mette in campo un candidato riconosciuto e autorevole. Vorrei essere chiaro. Io ritengo decisivo presentarsi alle varie elezioni con la figura più carismatica e forte, non con accordi al ribasso per veti incrociati o logiche di piccolo cabotaggio. Bisogna ricordarsi che il candidato o la candidata devono essere votati dagli elettori, non basta sceglierli tra gruppi dirigenti. Poi è necessario elaborare un programma condiviso fondato su idee e progetti – come dicevo – per non apparire un semplice cartello elettorale o una fusione a freddo. L’unità non basta proclamarla, magari una manciata di giorni prima dell’apertura delle urne. Va praticata con costanza e pazienza, anche con più rispetto politico tra di noi. Per riprendere le parole del Presidente Prodi, bisogna coltivare, coltivare direi il sogno e l’ambizione di un’alleanza progressista che diventi forza di governo. Del resto, questo lavoro paga, come dimostrano i risultati delle ultime regionali che vedono il PD prima forza politica del centrosinistra.
Che fine ha fatto la discussione nel PD su identità, progetto, priorità programmatiche?
In realtà a me pare che lavoriamo ogni giorno per rafforzare il nostro profilo identitario mediante confronti nei gruppi e nel Partito ma anche con parti sociali, associazioni, attori economici. Il primo obiettivo su cui lavorare è proprio quello di recuperare sempre più il rapporto e il contatto con la società, con la carne viva del Paese. In questa prospettiva, poi, è fondamentale impegnarsi a mio avviso per un PD che mantenga una vocazione maggioritaria, che sia in grado di parlare e rappresentare tutta la società italiana, salvaguardando il pluralismo, che è la sua ricchezza, la sua forza e il suo profilo costitutivo. La funzione storica del PD, infatti, è la capacità di tenere insieme culture socialiste, progressiste, riformiste, liberali, cattolico democratiche. Bisogna lavorare per essere dunque riferimento anche per il mondo cattolico e moderato, così come per il mondo dinamico e produttivo, settori che possono e devono trovare spazi di rappresentanza all’interno della nostra comunità
Le europee bussano alla porta ma anche qui a dominare sono le candidature.
Le candidature sono importanti ovviamente. Ma lo è ancor più il confronto sui contenuti e a me pare che nel PD la discussione sui temi e sul ruolo nostro, della famiglia socialista nell’Europa che vogliamo stia andando avanti e non da ieri. Abbiamo svolto diverse iniziative e celebrato, proprio a Roma, il congresso del Pse. La posta in gioco è altissima. Dobbiamo far comprendere agli elettori la distanza siderale tra le nostre proposte, le nostre idee per l’Europa del futuro e quelle di una destra che sta soltanto isolando l’Italia. Noi riteniamo fondamentale rafforzare, non indebolire, l’Unione nei prossimi anni per difendere al meglio gli interessi dei nostri cittadini. È necessario avanzare ad esempio sulla politica estera e di sicurezza comune, su una difesa comune, se vogliamo salvaguardare i diritti fondamentali e i nostri valori di pace, libertà e democrazia, che non sono garantiti per sempre. Dobbiamo costruire un’Europa più efficace nella governance economica, nella crescita sostenibile, nella transizione ambientale e digitale, più solidale ed equa nel lavoro, nelle politiche sociali e migratorie. Tanto è stato fatto negli ultimi anni grazie anche al contributo di Paolo Gentiloni e di Nicolas Schmit, che hanno ottenuto risultati straordinari come Sure ed il Next Generation Eu. Tanto dobbiamo ancora fare.
Perché per quell’area del PD di cui lei fa parte, e con responsabilità di primo piano, è così importante strappare un terzo mandato per i presidenti di Regione? Un certo fuoco amico tira in ballo Bonaccini e anche suo padre…
L’area riformista sta lavorando con responsabilità e generosità per consolidare e rafforzare il partito difendendo quel profilo plurale proprio della comunità democratica ed anche il rapporto per noi decisivo con gli amministratori locali, che rappresentano un motore propulsivo, una ricchezza, per il contatto quotidiano con i territori, e non una zavorra. Quella sul terzo mandato è una richiesta che arriva in modo unanime proprio dagli amministratori ed è stata oggetto di discussione in direzione nazionale e nei gruppi. Abbiamo rigettato la proposta della Lega sbagliata per tempi e modi, preferendo presentare un ordine del giorno che invitasse il Governo ad affrontare il tema di una revisione del numero dei mandati nel quadro di una riforma organica degli enti locali che preveda anche un bilanciamento rispetto ad alcune prerogative dei consigli. Nel merito, ad ogni modo, io trovo del tutto legittimo e condivisibile dare la parola ai cittadini e consentire agli elettori di scegliere il Sindaco o il Presidente di Regione anche per un terzo mandato, in un sistema Paese in cui peraltro i tempi di realizzazione di opere pubbliche e di azioni di trasformazione vera della realtà richiedono una continuità amministrativa quasi sempre superiore ai due mandati. Lasciamo che siano i cittadini a decidere
E tutto questo avviene mentre il mondo è dentro quella che Papa Francesco ha definito, da tempo, la “terza guerra mondiale a pezzi”. Dall’Ucraina al Medio Oriente, e ora il massacro di Mosca a firma Isis, con lo spettro di un conflitto nucleare che aleggia sinistramente. Ma la politica nel fu Belpaese sembra pensare ad altro. Siamo fuori dal mondo?
Non mi sembra che il dibattito pubblico dimentichi o sottovaluti quanto sta avvenendo intorno a noi. Nei giorni scorsi sono intervenuto alla Camera in vista del Consiglio europeo, affrontando proprio i temi drammatici del nostro tempo chiedendo alla Premier Meloni più impegno e credibilità proprio sull’inaccettabile aggressione russa dell’Ucraina e rispetto alla tensione in Medio Oriente dopo il barbaro attacco di Hamas lo scorso 7 ottobre. Il rischio di un allargamento dei conflitti è elevatissimo. L’attentato terroristico rivendicato dall’Isis in Russia, che pure va condannato con fermezza, ne è una riprova. Pur con opinioni e posture diverse credo e auspico dunque che ogni forza politica abbia piena percezione dei drammi umanitari che coinvolgono le vite delle vittime dirette e indirette di queste guerre. Ciò non toglie che secondo noi il governo, anche a causa delle divisioni interne, penso all’imbarazzante propaganda di Salvini per Putin, si stia rivelando incapace di svolgere un ruolo da protagonista. L’Italia è la copia sbiadita di quella autorevole guidata da Draghi. Appare incapace di incidere davvero sulla strada del cessate il fuoco, dello stop alle violenze in Ucraina ed a quelle nella striscia di Gaza, come richiesto finalmente anche dall’Onu, ed assente nel lavoro verso una de-escalation, che consenta di avviare un negoziato per una soluzione diplomatica che possa condurre ad una pace giusta e sicura in Ucraina e ad una pace in Medio Oriente che ponga fi ne al conflitto israelo-palestinese, attraverso la soluzione politica dei “due popoli, due Stati”.