Crolla il muro di omertà
Francesco “Sandokan” Schiavone si pente, dopo 26 anni di carcere il boss dei Casalesi collabora con la giustizia
Cronaca - di Carmine Di Niro
Dopo 26 anni di omertà, un muro dietro il quale si era trincerato a seguito dell’arresto nel 1998, Francesco Schiavone ha deciso di pentirsi e parlare con i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli.
Il boss 70enne del clan dei Casalesi, noto come “Sandokan”, ha iniziato a collaborare con la giustizia. A riferirlo oggi è il quotidiano locale ‘Cronache di Caserta’: di un possibile pentimento del capoclan, arrestato nel 1998, erano emerse voci già da alcuni giorni a seguito del trasferimento dal carcere di Parma a quello dell’Aquila, sempre in regime di 41bis, a causa delle sue condizioni di salute precarie. Come Matteo Messina Denaro, l’ex capoclan di Castelvetrano morto per una grave forma di tumore il 25 settembre scorso, anche Schiavone starebbe ricevendo cure specialistiche all’ospedale San Salvatore.
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In questi giorni le forze dell’ordine si sono recate a Casal di Principe per proporre ai parenti del capoclan, tra cui il figlio Ivahnoe, di entrare nel programma di protezione, a conferma della volontà di Sandokan di collaborare con la Dda di Napoli.
Francesco Schiavone: l’arresto, le condanne, la carriera criminale
Arrestato l’11 luglio del 1998, quando fu scovato in un bunker costruito all’interno di una abitazione al centro di Casal di Principe, in via Salerno, assieme con la moglie Giuseppina Nappa, le figlie e il cugino Mario, Francesco “Sandokan” Schiavone è stato condannato all’ergastolo nel processo Spartacus per diversi omicidi di camorra.
Nel 2018 il primogenito Nicola, che aveva assunto le redini del clan, è stato il primo degli Schiavone a collaborare con la giustizia, una scelta che è stata seguita dal fratello Walter nel 2021.
“Sandokan” iniziò la sua carriera criminale come autista e guardia spalle di Umberto Ammaturo, venendo arrestato per la prima volta nel 1972, appena 18enne, per detenzione e porto abusivo di arma da fuoco. La sua scalata al vertice della criminalità organizzata la si deve ad Antonio Bardellino, storico capoclan contro il quale Schiavone si rivoltò assieme agli altri capi dei clan Casalesi, ottenendo per sé e l’alleato Iovine il controllo dell’organizzazione.
La collaborazione di Francesco Schiavone, è la speranza dei magistrati, potrebbe far luce su alcuni misteri irrisolti, come l’uccisione in Brasile nel 1988 del fondatore del clan Antonio Bardellino, o sugli intrecci tra camorra e politica.
Chi sono i boss “irriducibili”
Con la scelta di “Sandokan” Schiavone di iniziare una collaborazione con i magistrati, ad oggi restano irriducibili nella loro volontà di non abbattere il muro di omertà l’altro storico capo del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, noto come “Cicciotto e Mezzanotte”, in carcere dal 1993, e Michele Zagaria, catturato il 7 dicembre 2011 dopo sedici anni di latitanza.
Prima di Schiavone aveva fatto scalpore invece la mossa di collaborare con la giustizia di Antonio Iovine, detto “o ninno”, arrestato nel 2010 dopo 15 anni di latitanza.