Il caso di Pioltello
Gli stranieri secondo Salvini: indesiderati e sottomessi, il caso Pioltello è la conferma del suo atteggiamento xenofobo
L’episodio della scuola di Pioltello è l’ennesima conferma di un atteggiamento xenofobo che fa a pugni con la Costituzione: a nessuno possono essere imposte le nostre abitudini culturali
Editoriali - di Salvatore Curreri
Per quanto si tratti di “un singolo episodio di modesto rilievo” (Mattarella dixit), la decisione unanime del Consiglio d’Istituto della scuola di Pioltello di sospendere le attività il prossimo 10 aprile, in occasione della festa per la fine del Ramadan, per “scelta didattica e non religiosa” nonché le accese polemiche politiche che l’hanno preceduta e seguita, sono a loro modo paradigmatiche.
Esse, infatti, ci dicono molto del modo con cui intendiamo la presenza in Italia degli stranieri, soprattutto quando di tradizioni culturali e religiose diverse dalla nostra, anche se – come nel caso specifico – si tratta di ragazzi musulmani che frequentano le nostre scuole.
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C’è infatti chi ritiene – e non sono ahimè pochi – che costoro sono ospiti più o meno indesiderati, che devono sottostare – attenzione – non alle nostre leggi (i reati, ancorché culturalmente motivati, restano e devono restare reati) ma alla nostra cultura.
La loro quindi è una posizione di sostanziale inferiorità per cui non possono pretendere eguali diritti, pena altrimenti un cedimento della nostra identità nazionale cristiana. Anche perché – come certo non poteva mancare di rilevare il ministro dell’Interno Salvini – non si comprende il motivo per cui noi dobbiamo rispettare la cultura e la religione di stranieri provenienti da Stati che al contrario non rispettano la nostra.
Del resto, non è forse scritto che “lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizioni di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali” (art. 16 c.d. preleggi)?
Allo straniero, dunque, spettano solo i diritti che il suo Stato riconosce a noi cittadini italiani. E dunque, se a noi italiani non fanno festeggiare la Pasqua nei Paesi musulmani, sarebbe sacrosanto che noi non facciamo loro festeggiare il Ramadan.
Eppure basterebbe che il nostro ministro facesse un giro per Roma per accorgersi che nella Città Santa è stata costruita una Moschea con il beneplacito della Santa Sede (a meno che, e non è da escludere, egli voglia insegnare al Papa come si fa il Papa); oppure che leggesse con maggiore attenzione la Costituzione cui ha giurato di essere fedele.
Vi troverebbe scritto che il nostro è uno Stato plurinazionale, in cui le minoranze, financo quelle che parlano una lingua diversa dall’italiano, sono protette e anzi considerate fattore d’arricchimento; che vi sono diritti inviolabili che spettano ad ogni persona in nome della sua dignità di essere umano; e che tra questi vi è la libertà di professare liberamente la propria fede religiosa in forma non solo privata ma anche pubblica.
La nostra Costituzione, dunque, supera la logica vetero-testamentaria dell’“occhio per occhio, dente per dente”, in nome della superiorità della nostra civiltà giuridica rispetto a quelle che invece negano l’universalità dei diritti umani.
Se così è, la scelta della scuola di Pioltello, a seguito dei rilievi dell’Ufficio scolastico lombardo e del ministro Valditara, di ritornare sulla precedente delibera (del maggio 2023 su cui finora nessuno aveva avuto modo di ridire), motivando la chiusura per esigenze didattiche anziché religiose, onde evitare le prevedibili numerose assenze degli studenti arabi e pakistani di religione islamica, è solo un modo per evitare uno scontro certo interessante sotto il profilo giuridico (si voleva unilateralmente istituire una nuova festività oppure più modestamente, come sembra, sfruttare uno dei cinque giorni che come tutti i genitori sanno le scuole, in nome della loro autonomia, possono prendere durante l’anno per motivi spesso correlati ad esigenze specifiche del territorio?), ma che avrebbe comunque costituito un motivo di incomprensione, se non di divisione in una comunità, scolastica e territoriale, finora caratterizzata da spirito d’inclusione e di rispetto reciproco, come dimostra peraltro la lettera di sostegno alla scelta della scuola dei tre parroci della cittadina lombarda.
È tale spirito la strada indicata dalla Costituzione, anche ai fini del mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica. Al contrario, come è stato fatto in questi ultimi anni, escludere gli stranieri – ad esempio non facendoli più accedere al sistema di seconda accoglienza quando richiedenti asilo, privandoli della possibilità di acquisire la cittadinanza prima della maggiore età e revocandola in presenza di gravi reati, negando loro l’esercizio di diritti fondamentali – significa farli sentire estranei e indesiderati.
E ciò è tanto più grave quando si tratta di giovani. Lo ha detto come sempre impeccabilmente il presidente Mattarella (che non a caso il suddetto ministro dell’Interno voleva scambiare con mezzo Putin), volando come al solito sopra le basse polemiche politiche.
Rispondendo alla lettera della Vicepreside di quella scuola, il Presidente ha voluto manifestare il proprio apprezzamento per il prezioso compito svolto dai docenti. Risposta che fa il paio con quella alla domanda di una ragazza, peraltro italo-argentina, che si era lamentata degli inviti rivolti a tornare al suo Paese perché rubava posti che non le appartenevano.
Gli italiani, ha detto il Presidente, non sono solo quelli che ereditano tale status dai loro genitori (e che magari di italiano, vivendo all’estero da più generazioni, non hanno più nulla, a cominciare dalla lingua) ma anche coloro che scelgono di vivere in Italia “perché il nostro Paese è fatto da voi, da qualunque parte si venga, convinti di doversi impegnare insieme per avere un futuro migliore. Questo è quello che rende conforme allo spirito della nostra Costituzione, quindi pienamente dentro la nostra Repubblica”.
Un richiamo del massimo custode dei valori costituzionali affinché si preservi il quantomai oggi prezioso clima di civiltà e di rispetto reciproco. Così come i cattolici hanno il diritto di celebrare pubblicamente le loro più importanti ricorrenze, lo stesso diritto va riconosciuto anche a quanti cattolici non sono. E questo vale sia per coloro che si professano cattolici, sia per i laicisti che vorrebbero bandire dallo spazio pubblico la dimensione religiosa.
Rispetto a chi per speculazione politica soffia sulle paure da invasione e si erge a difensore (anche dei simboli) della fede cristiana (salvo magari non praticarla), la strada che ci indica la Costituzione è un’altra: quella del rispetto, della convivenza e dell’integrazione.
Certo più lunga e difficile ma anche alla fine più efficace. Percorrerla specie nei confronti dei ragazzi stranieri che frequentano le nostre scuole e che saranno gli italiani di domani è il miglior investimento per il nostro futuro.