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“Io capitano”, quello vero: “Sfruttato e senza permesso di soggiorno, il calvario che ho vissuto in Italia è un altro film”

Mamadou Kovassi, 40 anni. La sua storia ha ispirato il film di Matteo Garrone “Io capitano”. A destra un frame del film.

Mamadou Kovassi, 40 anni. La sua storia ha ispirato il film di Matteo Garrone "Io capitano". A destra un frame del film.

Quando Mamadou Kovassi, seduto su una panchina di Piazza Vanvitelli di Caserta, finisce di raccontare la sua storia ti viene di chiedergli scusa. E’ lui “Io capitano” del film di Matteo Garrone già candidato agli Oscar 2024 e tra i favoriti per i prossimi David di Donatello. La storia del film è ispirata alla sua vera storia, quella di un ragazzo ivoriano che appena 19enne sognava di fare il calciatore. La forza di un sogno lo ha portato a fare “il viaggio della morte”, come lui stesso lo chiama e arrivare in Italia rocambolescamente, tra mille peripezie e violenze subite. Durante il film l’anima vibra ed è difficile trattenere le lacrime di fronte a un tale dramma umano. Anche alla fine del film viene voglia di chiedere scusa alle migliaia di disperati che attraversano il Mediterraneo per trovare un futuro in Italia. “Io capitano”, il film, finisce con l’arrivo in Italia, con la Guardia Costiera che soccorre il barcone dei migranti in balia delle onde. “E’ qui che inizia un altro film: quello che succede da quando ti pescano in mare in poi”, dice Mamadou. Questo altro film, Mamadou ce lo racconta. Ed è un film dell’orrore. “Uno pensa che il dramma è solo il viaggio, ma non è così. Quando sono arrivato in Italia mi sono successe tantissime cose”, spiega Mamadou.

La storia di Mamadou Kovassi Idris: Il viaggio verso l’Italia

“Il novanta per cento della mia storia, del mio viaggio, è stato raccontato nel film di Matteo Garrone – continua Mamadou – è stato un viaggio terribile, tutto vero”. Mamadou racconta di essere partito a 19 anni dalla Costa d’Avorio insieme a suo cugino. Era un ragazzo e aveva una miriade di sogni nel cassetto. “Mi avevano detto che il viaggio sarebbe stato durissimo ma noi ci siamo buttati: io sognavo di diventare un calciatore. Poi quando sono arrivato in Italia per un po’ ho giocato ma senza permesso di soggiorno non ci sono sogni”. “Questi viaggi costano tra i duemila e i cinquemila euro, ma può succedere di perdere tutti i soldi: magari hai pagato poi per qualche motivo la nave non parte e nessuno te li restituisce. Io ad esempio ci ho provato due volte ad arrivare in Italia. La prima, gli arabi si sono presi i soldi, la seconda anche e io sono rimasto a lavorare per i libici finchè non sono riuscito a guadagnare abbastanza per ritentare il viaggio. Ci ho messo sei mesi prima di riuscirci”.

Mamadou ha vissuto ogni tipo di violenza nei lager libici dove è finito per quattro volte. “Lì ci hanno picchiati, torturati. Per tre anni ho cercato di sopravvivere perché la Libia non è un paese sicuro, è un luogo senza diritti. L’unica salvezza era andare via dalla Libia altrimenti sarei morto. Per questo motivo molti di noi salgono sulle barche anche se può essere molto pericoloso. Dopo tre giorni di navigazione il gommone si è spaccato ma per fortuna abbiamo incontrato i pescatori di Mazara del Vallo che hanno chiamato la capitaneria di porto di Lampedusa e ci hanno salvato. Tre persone che erano sul gommone con noi sono morte. Noi siamo salvi per miracolo. Arrivati in Italia ci scambiano per scafisti ma i veri scafisti sono i libici che trattano i migranti come me come schiavi.

Dall’arrivo in Italia in poi: il “secondo film” sulla storia di Mamadou

Il film finisce con il protagonista che tende le braccia verso la Guardia Costiera e grida “Io capitano”. Ed è qui che nella realtà inizia il “secondo film” sul viaggio di Mamadou, questa volta in Italia. “Da Lampedusa siamo stati portati a Roma e smistati nei vari centri di accoglienza straordinari. E così è iniziato un altro calvario”. E anche questa è una storia che si ripete e che accomuna tanti tra quelli che sopravvivono alla traversata e mettono piede in Italia. “Resti in un centro d’accoglienza dove non parli la lingua e dove dopo alcuni mesi ti dicono che è finito il tuo percorso e devi lasciare il centro d’accoglienza – continua il racconto – Così mi sono trovato per le strade di Roma, senza un posto dove andare a dormire. Poi la Caritas mi ha dato un posto dove dormire. Ho iniziato a lavorare come bracciante. Nella provincia di Caserta ci mettevamo sulle rotonde e aspettavamo che qualcuno ci prendesse per lavorare. Da Caserta mi sono spostato a Reggio Calabria e poi ancora in Puglia per raccogliere i pomodori. Sono stati anni di sfruttamento, di lavoro per 12 o 15 ore per 20 euro al giorno. Sono stato anche a Rosarno quando c’è stata la ‘caccia all’uomo nero’. E’ stata davvero dura. Ci ho messo 5 anni per avere un permesso di soggiorno, il primo strumento per gli immigrati per poter attivare un percorso di integrazione. Ci sono persone che vivono in Italia da 20 anni e ancora non riescono ad averlo”.

Il permesso di soggiorno apre il terzo capitolo della vita di Mamadou, una storia che racconta di integrazione e lotta per i diritti di tutti. A Caserta ha studiato l’italiano, ha incontrato tanti che lo hanno aiutato per come potevano, anche un gruppo di ragazzi scout che lo hanno aiutato con l’italiano. E poi gli attivisti del Centro Sociale di Caserta che portano avanti battaglie per i più fragili. “Da allora non ho mai smesso di lottare per i diritti di tutti e di lavorare per l’integrazione”, dice Mamadou con orgoglio. Parla 12 lingue, lavora come mediatore culturale e interprete, ha 40 anni e vive a Caserta da 15. “Aiuto i miei fratelli che arrivano sul territorio casertano e cerco di favorire i loro percorsi di integrazione. Cerco di aiutare queste persone che hanno fatto un viaggio difficile e di speranza ad avere successo. Vorrei rompere le barriere e i pregiudizi e far capire che se i migranti sono integrati nel tessuto sociale possono essere una grande risorsa per tutto il Paese”.

“Io capitano” dalla telefonata di Garrone agli Oscar

“Matteo Garrone ha avuto il mio numero da Annalisa Camilli– racconta Mamadou – Ero andato a Roma per parlare dello sfruttamento dei migranti delle campagne di Rosarno. Lì le ho raccontato la mia storia e lei mi ha messo in contatto con Matteo Garrone che stava scrivendo il film. E così abbiamo iniziato a lavorare insieme alla sceneggiatura. Sento di aver avuto il privilegio di raccontare la mia storia che è la storia di tanto migranti che muoiono nel silenzio”. Così la storia di mamadou è diventata il film di Matteo Garrone. Poi l’esordio nei cinema, il successo del pubblico. E poi i red carpet. Al Festival di Venezia ha vinto 2 premi: Il Premio Leone d’argento, Premio speciale per la regia a Matteo Garrone e Premio Marcello Mastroianni miglior attore o attrice esordiente a Seydou Sarr. E poi le nomination agli European Film Awards e Golden Globe – 2024.

A Los Angeles la Notte degli Oscar

E infine gli Oscar dove il film è stato nominato come miglior film in lingua straniera. Non ha vinto ma per Mamadou tutto è stato una vittoria incredibile perché la storia sua e di tanti altri è stata raccontata ed è arrivata a tanti. Ha scosso le coscienze ed è questo che conta veramente in un momento in cui il Mediterraneo è sempre più una tomba nell’indifferenza generale. “E’ stato un traguardo importante, una esperienza unica. Ci ha permesso di raccontare la storia di tanti che cercano un futuro, persone che sognano una vita migliore”, ha detto appena rientrato da quella notte magica a cui ha partecipato con Garrone e gli altri attori.

Gli chiediamo com’è stata quella esperienza e lui ha tirato un sospiro e con gli occhi pieni di gioia ha detto: “E’ stata una esperienza incredibile. Diventare icona delle persone che non ce l’hanno fatta. Essere un protagonista a livello internazionale, parlare in prima persona a livello nazionale, europea e internazionale dell’immigrazione, poter raccontare cosa serve per cambiare le leggi per l’immigrazione. E’ questa la vittoria. Questo film ci ha aiutato anche a entrare nelle scuole, raccontare la storia e far si che possano comprendere questa ingiustizia vissuta da tante persone”.

“Io capitano” e il paradosso del film: la storia dei protagonisti commuove ma il governo li arresta

Il film di Matteo Garrone ha creato un corto circuito. Se da una parte la storia del ragazzo che ha intrapreso il viaggio della speranza ha commosso tutti, dall’altro nella realtà all’epoca del governo Meloni lo stesso sarebbe arrestato appena messo piede su suolo italiano o quasi. “E’ un paradosso ma io credo che raccontare la storia in prima persona ha aiutato anche la politica europea a capire veramente chi sono i veri scafisti perché chi sta sulla barca è una persona che cerca veramente la vita. E’ una persona fuggita dalle torture in Libia. O Sali sulla barca o ti sparano, sono persone che cercano di sopravvivere, non sono quelli i veri scafisti. I veri scafisti sono i libici che ci sparano e ci maltrattano. In questo senso il film può dare un punto di vista diverso ai governi, di aprire loro gli occhi. Spero che il film aiuti il Governo italiano a capire che la Libia non è un paese sicuro e non lo sarà mai. E che comprenda l’importanza di cambiare le leggi sull’immigrazione”.

“Le leggi sull’immigrazione vanno cambiate”

“Per me è stata una grande emozione poter rappresentare la mia storia e la storia di tanti e diventare il simbolo anche delle persone che non ce l’hanno fatta. Essere protagonista a livello internazionale per parlare di immigrazione e far capire cosa serve per cambiare le leggi sull’immigrazione”. E dice quali sono per lui le priorità: “Dare la possibilità alle persone di viaggiare liberamente per stroncare il traffico di esseri umani. Finchè paesi come la Libia verranno finanziati dagli altri paesi sarà un disastro. Poi c’è bisogno di dare alle persone che arrivano il permesso di soggiorno, accoglierle e far sì che vengano indirizzate verso percorsi che siano veramente di integrazione. Oggi ci sono ancora persone in Italia da anni con le loro famiglie e senza permesso di soggiorno. Queste persone sono dimenticate dalla politica. E’ il momento di cambiare rotta, non possiamo accettare che ogni giorno muoiono circa 18 persone nel Mediterraneo, in Libia o nel deserto. Dobbiamo dire basta”.

L’esperienza di integrazione della città di Caserta

C’è un altro punto che Mamadou tiene a raccontare: “Questo film mi ha aiutato a portare la città di Caserta a livello internazionale, di come i cittadini hanno creduto a una collaborazione sull’integrazione, in progetti come il ‘piedibus’ per accompagnare a scuola i bambini a piedi, fare sport come la squadra di basket antirazzista (la Tam Tam Basketball di Castel Volturno, ndr), e altro. A Caserta sono diventato un cittadino presente a tutte le lotte, anche nello sport: ho vissuto l’integrazione vera nella città di Caserta. Racconta dell’esperienza di Caserta dove è stata creata una sinergia tra associazioni per lavorare insieme per garantire i diritti e la dignità a tutti e soprattutto realizzare l’integrazione per chi arriva dopo i viaggi estenuanti come quello che ha fatto lui. “Lavoriamo insieme, italiani e immigrati, ed è molto bello – racconta Mamadou – c’è uno scambio culturale continuo, una condivisione bilaterale che a Caserta si fa da anni e che è stato un esempio a livello nazionale. Qui abbiamo fatto un lavoro grandioso: far si che gli immigrati facciano un percorso di integrazione, che non siano semplicemente assistiti, ma che possano sentirsi utili nella città in cui queste persone vivono”.