Il nuovo libro
Spiegare il carcere ai ragazzi affinché da grandi dicano: mai più
“Il carcere è un mondo di carta” di Valentina Calderone e Marica Fantauzzi è un libro coraggioso, che attraverso la formula dell’abbecedario guida i giovani lettori (ma non solo) attraverso la dura realtà della detenzione
Giustizia - di Angela Stella
Il carcere è un mondo di carta di Valentina Calderone e Marica Fantauzzi (Momo Edizioni, pag. 160, euro 15), illustrato da Ginevra Vacalebre, con postfazione di Luigi Manconi e prefazione di Giusi Palomba, è un libro per bambini e ragazzi, ma che parla ai lettori di tutte le età, e che invita a riflettere e a immaginare un futuro in cui la detenzione diventi un mezzo rieducativo, non punitivo.
Un’opera letteraria sicuramente coraggiosa, in un momento in cui il carcere vive sempre di più nell’oblio politico e della società civile. Tramite la forma dell’abbecedario le due autrici – Valentina Calderone, Garante per i diritti delle persone private della libertà di Roma, e Marica Fantauzzi, ricercatrice per l’Ass. A Buon Diritto nell’ambito dei diritti umani – guidano magistralmente i lettori e le lettrici attraverso il racconto della dura realtà del carcere, mettendo in evidenza le ingiustizie e aprendo gli occhi sulla società che ha creato questo sistema e chiedendo ai giovani di essere agenti del cambiamento.
Come scrive il sociologo dei fenomeni politici Luigi Manconi “Di carcere si deve poter parlare e questo libro lo fa, nella speranza che i ragazzi siano abbastanza maturi e liberi dai pregiudizi da poter immaginare e realizzare un sistema delle pene che, a differenza di quello attuale, non mortifichi e umili la dignità della persona”.
Dalla A di Ambiente, passando per B di bandito, Cella, Diritti e doveri, Ergastolo ma anche Famiglia, Lavoro, Povertà, fino alla Z di Zero Carcere: con queste e tante altre parole le due autrici ci conducono in un viaggio dove scopriremo che il carcere è il sintomo di una malattia della società intera.
“Esisterebbe il carcere se la possibilità di condurre una vita degna fosse un sogno accessibile per chiunque?” ci si chiede nella prefazione. Mentre noi ci siamo chiesti perché quel titolo. Lo spiegano le autrici nel primo capitolo: “All’interno degli istituti penitenziari qualsiasi domanda, richiesta o esigenza passa attraverso dei foglietti scritti, e le persone spesso aspettano giorni o settimane per avere delle risposte ed essere autorizzate a fare qualsiasi cosa. In un mondo in cui grazie alla tecnologia siamo sempre connessi e otteniamo risposte immediate alle nostre domande, entrare in carcere significa fare un viaggio nel tempo in un’altra epoca. Anche per questo è importante sapere cosa accade tra quelle mura, conoscere chi è rinchiuso dietro le sbarre, capire quali conseguenze ha tenere uomini e donne imprigionati e domandarsi se, come collettività, una parte di responsabilità l’abbiamo anche noi. Spesso le persone che commettono crimini non hanno istruzione, sono povere, straniere, malate”.
Per invitarvi a leggere il libro abbiamo scelto la lettera H di Hotel: “Un po’ di anni fa – scrivono le autrici – un ministro della Giustizia da poco nominato andò a fare una visita in un istituto penitenziario e ne uscì molto sorpreso: nelle stanze avevano addirittura la televisione a colori! Questa constatazione gli fece dichiarare una cosa un po’ buffa, e cioè che le carceri sono degli ‘hotel a cinque stelle’”.
Si può davvero dire questo. Per chi come le autrici ha visitato molte carceri, e lo conferma chi firma questo articolo, quell’affermazione dell’ex Guardasigilli è davvero imbarazzante. “A volte letto e gabinetto sono pericolosamente vicini, ma immaginatevi che in questo spazio così ristretto le persone detenute ricavano anche il posto per creare con metodi molto fantasiosi una specie di cucina, con il fornelletto a gas e le pentole attaccate a delle cordicelle che pendono dal muro”.
Tuttavia “nelle stanze non ci sono i frigoriferi, e spesso non ci sono nemmeno le prese della corrente! Questo vuol dire che quando fa molto caldo o molto freddo, non puoi avere nemmeno un ventilatore o una stufetta, e d’estate a volte i rubinetti dei lavandini delle stanze rimangono aperti per cercare di rinfrescare le bottiglie dell’acqua da bere (può succedere infatti che in carcere non ci sia acqua potabile)”.
Tutto il contrario di quello che accade in Norvegia dove, ad esempio, c’è un carcere costruito “su una piccola isola, in cui le sezioni detentive sono delle vere e proprie case, e dove si vive come in un piccolo paese con le stalle per gli animali, le officine per lavorare e le sale musica e hobby per passare insieme il tempo libero. La Norvegia, infatti, è uno dei pochi paesi che hanno lavorato molto sull’idea di abolizionismo, tanto che nel suo codice penale – un libro in cui sono scritti tutti i reati e la sanzione che spetta a chi li compie – è stato abolito l’ergastolo e il massimo della pena prevista è di ventuno anni di carcere”, pena a cui è stato condannato Anders Behring Breivik, il terrorista della strage dell’isola di Utoya.
In Italia sarebbe mai possibile accettare una cosa del genere? Al momento assolutamente no, ma se non si inizia con la cultura, e quindi iniziando a seminare il germe della legalità e dello Stato di Diritto nei ragazzi grazie a questo libro, tutto resterà una utopia.