Conte l’altra sera ha rotto le relazioni con il Pd e ha deciso – non so se su richiesta – di consegnare Bari alla destra. Per quale ragione lo ha fatto? Ci sono due ipotesi.
La prima è che essendo Conte una persona del tutto estranea alla politica – Conte è un funzionario dell’establishment che considera la politica nient’altro che una delle strade possibili per l’accesso al potere – abbia pensato di poter trarre qualche vantaggio elettorale da questo gesto, e dunque abbia calcolato che mettendo su un piatto della bilancia gli interessi di una città e nell’altro piatto la possibilità di un beneficio elettorale, il piatto pesante è il secondo.
È un ragionamento lineare. Che potrebbe essere smontato solo mettendo su un terzo piatto, di una strana bilancia, le idee di fondo di uno schieramento politico. Ma Conte, sfortunatamente, non ha mai avuto idee politiche, forse ignora persino cosa siano, e quindi il terzo piatto per lui non c’è. Lui continua ad essere un avvocato d’affari.
Poi invece c’è una seconda ipotesi. Più generosa e forse anche più giusta. Conte ha scelto di rompere col Pd perché il Pd, specialmente dopo l’insediamento della Schlein, ha alcune accentuate caratteristiche di partito di sinistra. E Conte non ha mai sopportato la sinistra. Chiunque un po’ lo conosce sa bene che Conte è essenzialmente un reazionario.
Ieri sul Corriere della Sera è uscito un bell’articolo di Tommaso Labate, nel quale si racconta come e perché la simpatia tra Conte e Salvini non si è mai interrotta, nonostante il Papeete. Non si è interrotta perché Conte ha una evidente simpatia per Salvini.
Io non ho mai capito bene quali siano le differenze tra loro, in termini di aspirazioni politiche. Conte è un giustizialista. Salvini (tranne che per i processi che lo riguardano) è un giustizialista. Salvini è un nemico dell’immigrazione, e Conte è del partito che ha inventato la polemica dei “taxi del mare”.
Salvini ritiene che la sicurezza e le politiche cosiddette “securitarie” siano il problema principale di uno Stato moderno, e Conte lo segue. A Salvini piace Trump (e un po’ Putin) e Orban. A Conte piace Trump, e Orban (e un po’ Putin).
Dunque, qual è la differenza? L’unica differenza che vedo è che Salvini si rivolge essenzialmente all’elettorato del Nord e Conte all’elettorato del Sud. L’equivoco che in tutti questi anni ha sviato gran parte dei politologi e anche ampi settori della politica, è quello del populismo. Ogni volta che si parla di Conte si parla di leader “populista”. Non è così.
La categoria politica alla quale appartiene Conte è una categoria molto più grezza ma anche più complicata: il qualunquismo. Qualunquismo e populismo sono cose molto diverse. Il populismo sicuramente è un fenomeno e una “para-ideologia” che ha al suo interno forti componenti ribellistiche e di sinistra.
Il populismo spesso contagia i piccoli partiti di estrema sinistra e certamente è stato un elemento fondamentale del grillismo, e ancora lo è del Movimento Cinque Stelle. Penetrò largamente anche nel Pci e nel partito di Pannella.
Ma il populismo si fonda su sentimenti, emozioni e convinzioni profonde. Quasi sempre, a mio parere, sbagliate, ma robuste e radicate. Il qualunquismo è un’altra cosa. È la negazione di ogni principio, la certezza che la politica sia solo un mezzo per acquisire potere, è l’uso strumentale di alcuni elementi del populismo (diciamo: della demagogia) per conquistare consensi che sono considerati essenzialmente materia prima da trasformare in potere.
Il qualunquismo non si riferisce mai a una comunità. O a una classe. O a una concezione dello stato e della società. Con il populismo ha un solo punto in comune: il rifiuto della politica. Che è il punto debole del populismo. La differenza tra populismo e socialismo è sempre stata questo: amore per la politica o rifiuto della politica.
L’M5s è un movimento populista. Conte è esclusivamente un rappresentante del qualunquismo. Che in passato, in Italia, ha riguardato quasi esclusivamente la destra reazionaria. Anche infiltrandosi pesantemente in partiti come il Msi. E tuttavia ha esercitato qualche fascino anche a sinistra.
Il più celebre e dotato leader qualunquista fu Guglielmo Giannini, subito dopo la guerra, e lo stesso Togliatti in una certa fase pensò alla possibilità di un’intesa o di un accordo con Giannini. Togliatti era un leader molto spregiudicato, del resto fu lui, negli anni Trenta, a scrivere l’appello ai fratelli in camicia nera.
Il Pd e il suo gruppo dirigente sono pienamente consapevoli, io credo, delle caratteristiche e dell’inaffidabilità di Conte. Perché allora ci fanno gli accordi (talvolta anche con successo, vedi Sardegna)?
Per una ragione semplice e molto comprensibile. Per come sono state combinate in questi anni le leggi elettorali (sfregiando la democrazia politica) le alleanze sono obbligatorie. Perché regni una incertezza sui risultati elettorali, i partiti più grandi devono scegliere dei compagni di viaggio.
E il Pd si è trovato a dover scegliere tra l’andare da solo, o con i piccoli partiti alla sua destra e alla sua sinistra (coi quali difficilmente, oggi, può superare il 30 per cento dei consensi), oppure accettare l’alleanza con il diavolo.
Non so cosa sceglierà il Pd nelle prossime settimane e mesi. La mia opinione è che con Conte mai. Che nessuna sinistra, seppure fosse una sinistra moderata, può convivere con un leader reazionario.
Che la strada maestra sia quella di prendere atto che ora si sta all’opposizione, e si fa seriamente l’opposizione. Verrà il tempo per essere maggioranza, sicuramente verrà, ma non è questo il tempo. E non si aggira la realtà fingendo che un modesto avvocato reazionario sia un leader di sinistra.