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Intervista a Marina Sereni: “Un campo largo per difendere la sanità pubblica”

Intervista a Marina Sereni: “Un campo largo per difendere la sanità pubblica”

Il Pd e le sfide elettorali, dalle amministrative alle europee. In un mondo in guerra. L’Unità ne discute con Marina Sereni, responsabile Salute e Sanità nella segreteria nazionale del Partito democratico, già Vice ministra degli Esteri e Vice presidente della Camera dei deputati.

Nel centrosinistra, e nel Pd, torna centrale, se mai aveva smesso di essere tale, il tema delle alleanze. Quello su cui insistere è l’asse Pd-5Stelle?
Per descrivere il nostro atteggiamento Elly Schlein ha usato spesso un’espressione che condivido: siamo “testardamente unitari”. Ma per fare alleanze bisogna che esistano reciprocità e rispetto. Per questo abbiamo reagito con fermezza di fronte allo strappo di Conte su Bari che è incomprensibile e grave. Più in generale credo sia necessario uscire dalle metafore e dalle formule astratte. Le faccio un esempio concreto, partendo dalla mia esperienza di questi mesi nella Segreteria Nazionale del Pd. C’è una emergenza serissima che riguarda la salute, e l’equità nell’accesso ai servizi da parte dei cittadini. Liste d’attesa lunghissime, milioni di persone costrette a rinunciare a curarsi, nuovi tagli da parte del Governo al Fondo Sanitario Nazionale mentre la spesa privata dei cittadini per la sanità supera ormai i 40 miliardi. Prestazioni che sulla carta dovrebbero essere garantite a tutti ma che nella realtà sono negate, con diseguaglianze crescenti e inaccettabili sia tra ricchi e poveri sia tra territori, tra Nord e Sud ma anche tra centri urbani e aree interne. Di fronte a questo quadro, drammaticamente preoccupante, il Pd, grazie all’impulso della Segretaria, ha sviluppato una mobilitazione in tutta Italia, confrontandosi con sindacati, ordini professionali, associazioni, amministratori locali. Noi abbiamo presentato una proposta di legge a prima firma Elly Schlein su tre punti molto semplici: portare la spesa sanitaria del nostro Paese alla media europea (7,5% del Pil); abolire il tetto di spesa per il personale per poter programmare un piano straordinario di assunzioni nel SSN; aggredire finalmente il problema delle liste d’attesa affrontando i nodi strutturali e le criticità che si scaricano sui più fragili. A questi obiettivi ci ha richiamato nei giorni scorsi l’appello firmato da un gruppo di importanti scienziati italiani che dobbiamo ringraziare per aver speso la loro autorevolezza e aver voluto accendere un riflettore sulla necessità urgente di maggiori investimenti sulla sanità pubblica. Sulla difesa del diritto alla salute e della sanità pubblica è stato ed è possibile trovare molti punti di incontro tra le opposizioni. Lo abbiamo fatto durante la discussione sull’ultima legge di Bilancio, sono sicura che lo faremo con ancora maggiore determinazione nei prossimi mesi. Così si costruisce un’alternativa seria e forte al Governo Meloni, sulle idee e sulle proposte. I nostri elettori, ma credo anche quelli del M5S e delle altre opposizioni, si aspettano questo dai leader.

Non c’è il rischio che in questo estenuante gioco dell’oca della politica, si torni alla casella iniziale, discutendo, litigando, sulle alleanze perdendo di vista, penso in particolare al Pd che del centrosinistra è la forza più grande, la questione cruciale dell’identità, del progetto, delle priorità programmatiche?
Il Pd ha fatto un congresso poco più di un anno fa e ha vinto una piattaforma che ha indicato chiaramente la necessità di un cambiamento: la lotta alle diseguaglianze, la sostenibilità sociale e ambientale dello sviluppo, la difesa dei diritti e della costituzione sono il nostro orizzonte. Non è un cambiamento che si fa con uno schiocco di dita, significa ricucire strappi, riallacciare un dialogo con mondi che ci hanno percepito distanti e poco attenti ai loro bisogni e alle loro aspettative, rinnovare anche la forma del partito e le sue classi dirigenti. Lavoro, salute, casa, istruzione pubblica, transizione ecologica, diritti sociali e civili: sono queste le priorità su cui il Pd sta lavorando per rendere più chiara la sua identità, più netto il suo profilo ideale e programmatico. Con l’ambizione di unire il Paese, di colmare le distanze tra generi, generazioni, territori, di parlare al mondo delle imprese e dell’innovazione accanto a quello del lavoro nelle sue diverse articolazioni.

Si è detto che la tornata elettorale del 2024, amministrative e le europee di giugno, sia un severo banco di prova, e di tenuta, del nuovo corso di Elly Schlein. È di questo avviso?
Vorrei ricordare che dopo il congresso si è scelta la strada di una gestione unitaria, con l’elezione di Stefano Bonaccini a Presidente dell’Assemblea del Pd e con la composizione di una Segreteria in cui siedono anche esponenti della minoranza con importanti responsabilità. Finora questo meccanismo mi sembra abbia dato buoni frutti, si è lavorato insieme senza particolari frizioni o tensioni e senza rinunciare agli obiettivi di rinnovamento che il congresso ci ha consegnato. Elly Schlein non si è risparmiata, ha girato tutta l’Italia, ha partecipato a centinaia e centinaia di manifestazioni e iniziative sui temi che ricordavo prima, ha guidato insieme ai capigruppo parlamentari l’opposizione al Governo Meloni con capacità e determinazione, ha fatto sentire il sostegno del Pd nazionale ai candidati e alle candidate del nostro partito e delle coalizioni progressiste nelle elezioni regionali e locali che si sono svolte in questi mesi. Ovunque il Pd – di cui prima del congresso qualche commentatore preconizzava lo scioglimento – ha avuto risultati positivi. La prossima tornata elettorale è ovviamente molto importante e sono convinta che anche a giugno il Pd dimostrerà di essere un partito in buona salute. In ogni caso considero folle che qualcuno possa pensare le prossime elezioni europee come un referendum sulla leadership.

Come pensarlo allora?
È piuttosto un passaggio cruciale per il futuro del progetto europeo: la posta in gioco è altissima. La competizione tra conservatori e progressisti sul piano delle politiche dell’Unione è tra chi pensa di tornare all’austerità e che invece vuole sviluppare l’esperienza importante del Next Generation Eu; tra chi frena sulla transizione ecologica e chi invece vuole maggiori investimenti green per tutelare imprese e lavoratori e promuovere nuove opportunità di sviluppo e buona occupazione; tra chi vuole tornare indietro sui diritti e chi invece vuole difendere i diritti delle donne, delle comunità lgbtqia+, delle minoranze; tra chi vuole alzare i muri e chi invece vuole che l’Europa condivida la responsabilità di una politica comune su asilo e migrazioni, salvando le persone in mare e riformando il Trattato di Dublino per non lasciare soli i Paesi di primo ingresso come l’Italia. Ma nelle prossime elezioni europee si giocherà anche un’altra partita, ed è quella tra sovranisti e europeisti, tra chi crede che il progetto di integrazione europea debba andare avanti e rafforzarsi e chi invece vuole un’Unione sempre più debole, poco più che un condominio di Stati nazionali. In Italia il Pd è oggettivamente chiamato a fare da argine all’avanzata delle forze della destra nazionalista e sovranista. E per questo abbiamo bisogno di liste forti, competitive e plurali, capaci di rappresentare la ricchezza e le tante competenze della società civile e del nostro partito.

Pace e lavoro sembrano slogan d’altri tempi. Ma una sinistra che cerca di riconnettersi con mondi vitali non dovrebbe ripartire da qui?
Non si tratta di “riscoprire” slogan del passato. La sinistra non può che avere il mondo del lavoro – forse sarebbe meglio dire “dei lavori”– come suo principale riferimento. E noi lo stiamo facendo come dimostrano le iniziative sul salario minimo, sulla parità salariale tra uomini e donne, sulla difesa dei lavoratori delle piattaforme. Quanto alla pace, nel mondo di oggi – carico di tensioni e conflitti guerreggiati – è certamente un valore che ci appartiene, come Pd e come famiglia socialista europea.

Il mondo è dentro quella che Papa Francesco ha definito, da tempo, la “terza guerra mondiale a pezzi”. Dall’Ucraina al Medio Oriente, passando per la strage di Mosca rivendicata dall’Isis, con il rischio di un conflitto nucleare sempre più imminente. Ma la politica italiana sembra pensare ad altro. Siamo fuori dal mondo?
La politica è alle prese con uno dei periodi più difficili del quadro internazionale che io ricordi. Guerre, fame, emergenza climatica, terrorismo affliggono tanta parte dell’umanità. L’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina ha provocato una rottura profonda nelle regole del diritto internazionale e ha messo in luce la crisi delle principali Organizzazioni Internazionali. In questo momento è necessario sostenere l’Ucraina, anche sotto il profilo della sua capacità di difendersi, se non vogliamo accettare l’idea – pericolosissima per la pace e contraria al diritto internazionale – che si possano modificare i confini con la forza militare. Al tempo stesso non possiamo rinunciare a ricercare le vie per la pace e il dialogo. In particolare l’Europa dovrebbe essere più attiva sotto il profilo diplomatico verso quei Paesi che alle Nazioni Unite non hanno pienamente condiviso la condanna della Russia. Non possiamo cedere alla narrazione di una guerra “Occidente contro il Resto del mondo”, ma questo richiede un’Europa più forte, capace di parlare con una voce sola in politica estera e della sicurezza. Lo stesso vale per il Medio Oriente. La guerra a Gaza, dopo l’orrendo attentato di Hamas di ottobre, ha provocato un numero inaccettabile di vittime civili, tra cui moltissimi bambini. Ha suscitato indignazione l’uccisione degli operatori umanitari della ong World Kitchen ma ricordo che i volontari uccisi sono centinaia e che persino le Agenzie delle Nazioni Unite hanno dichiarato di non poter operare in quelle condizioni. La catastrofe umanitaria a Gaza è enorme, solo il cessate il fuoco immediato può porre fine ad una situazione che viola i più elementari diritti umani di un’intera popolazione, consentire la liberazione degli ostaggi israeliani, fermare i rischi di escalation molto evidenti in un’area attraversata da numerosi fattori di crisi. Chiediamo che il governo italiano faccia di più, sul piano umanitario riprendendo la cooperazione verso i Palestinesi e sul piano politico stimolando un’iniziativa europea per una Conferenza di Pace in Medio Oriente.