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La verità di Giosuè Ruotolo: “Ecco perché non ho ucciso io Teresa e Trifone, all’ergastolo sono morto anche io”

A sinistra Giosuè Ruotolo (frame da Rai). A destra Teresa Costanza, 30 anni e Trifone Ragone

A sinistra Giosuè Ruotolo (frame da Rai). A destra Teresa Costanza, 30 anni e Trifone Ragone

“Come puoi immaginare ho il morale a pezzi per quello che mi è stato fatto”. Inizia così la lettera che Giosuè Ruotolo scrive a L’Unità dal carcere di Padova dove sta scontando l’ergastolo, accusato del duplice omicidio di Teresa Costanza, 30 anni e Trifone Ragone, di 28, uccisi a Pordenone il 17 marzo 2015. Giosuè, ex militare di Somma Vesuviana, provincia di Napoli, aveva 26 anni all’epoca dei fatti. Sono passati 9 anni da allora e Giosuè non ha mai smesso di gridare la sua innocenza. All’epoca dei fatti il caso divenne immediatamente molto mediatico. Giosuè è stato condannato all’ergastolo, pena confermata anche dalla Cassazione.

Secondo il suo legale, Danilo Iacobacci, che lo difende da un paio di anni, ci sono alcune ombre sul caso e domande rimaste senza risposta. “C’è un ragazzo, che leggendo gli atti non appare colpevole al di là del ragionevole dubbio, all’ergastolo e con una vita rovinata (che si somma a due ragazzi la cui vita è stata tolta)”. C’è forse un uomo, un ragazzo che oggi ha 34 anni, all’ergastolo da innocente? Non sarebbe la prima volta che succede in Italia. “Sai, ogni mattina mi sveglio e spero sempre che la guardia penitenziaria mi dica: ‘si sono sbagliati, puoi uscire”.

Il delitto di Pordenone, chi ha ucciso Trifone e Teresa? I dubbi su Giosuè Ruotolo condannato all’ergastolo in Cassazione

L’omicidio di Teresa e Trifone, come detto, risale al 17 marzo 2015. I due fidanzati furono uccisi a colpi di arma da fuoco tra cui alla nuca mentre stavano nella loro auto nel parcheggio del palasport di Pordenone. Lì i fidanzati, e anche Giosuè Ruotolo, andavano ad allenarsi. Tutto si consumò in una manciata di secondi. Giosuè fu accusato di aver sparato. Ma secondo Iacobacci le prove che ‘incastrarono’ Giosuè non erano convincenti. Ma il processo andò avanti fino all’ultimo grado. Dall’ultimo rigetto della Cassazione al ricorso straordinario proposto dall’avvocato sono emersi errori giudiziari fatti che metterebbero in dubbio la solidità della condanna. Iacobacci sta cercando “una prova nuova”, nuovi elementi, per chiedere la riapertura del caso.

“Mi sono accorto di una serie di atti che portavano alla prova della sua innocenza – ha detto Iacobacci all’Unità – i quali, però, abbiamo potuto, per ora, utilizzare solo con i rimedi del ricorso straordinario e della Cedu. Pur consapevoli che non erano i rimedi adatti, ed attendendo una ‘prova nuova’ per la revisione, abbiamo interessato quelle alte Corti che ci hanno detto sostanzialmente che, pur non essendo l’errore giudiziario di loro competenza, non è possibile negare l’esistenza di quanto sostenevamo, ossia che dalle analisi tecniche dei RIS, dalle dichiarazioni di una montagna di testi e persino di due ‘pentiti’, emergeva una diversa autorìa degli omicidi”. Giosuè ha deciso di scrivere a L’Unità per raccontare la sua verità su quanto accaduto. Riportiamo integralmente le sue parole.

La lettera di Giosuè Ruotolo dal carcere: “All’ergastolo sono morto anche io”

“Devi sapere che dei carabinieri mi hanno preso un’impronta palmare per tre volte. Dicevano che era molto importante perché era presente sulla vettura di Teresa e Trifone, ma dai rilievi hanno visto che non era mia e ancora oggi non si sa di chi è. E lo stesso vale anche per il Dna. Hanno trovato un Dna su un bossolo e avevano visto che non era mio ma ancora oggi quel Dna non si sa di chi è…ma tutto questo ai giornali e in Tv non è mai stato detto.

In appello poi si ha dell’incredibile: i miei difensori di allora, portarono in Aula un elemento nuovo. Confrontando l’orologio della palestra, tre persone quando escono da lì sentono degli spari ma li sentono in 3 momenti diversi. E quando sentono questi spari risulta che io non c’ero nel parcheggio dove è stato commesso l’evento atroce a Teresa e Trifone. Il giudice, come leggo dalla sentenza, si arrabbia, perché tutto questo doveva essere detto in primo grado. Poi spiega non in maniera chiara la vicenda. Rimane questo punto grigio su cui nessuno ha fatto una perizia. Ma se le cose stessero come dicevano gli avvocati, i giudici hanno la prova certa che quando è avvenuto l’atroce delitto, io non ero proprio presente. Come confermano le analisi del Ris.

Sono state fatte delle simulazioni anche su un runner. La Procura ha messo dei suoi periti che dicevano che ero presente sul luogo del delitto, ma i nostri periti (di parte, ndr) dicevano che addirittura 10.000 simulazioni confermavano che io non ero presente all’interno del parcheggio quando è avvenuto l’atroce delitto. La Corte ha solo preso in considerazione quella dell’accusa, non è mai stata fatta una perizia di parte loro.

Non c’era alcuna ragione per un simile evento delittuoso. Hanno detto pure che io avevo litigato con Trifone e non avevo buoni rapporti con lui. Mi accusano sulla base a dei messaggi su Facebook di un anno prima di quella atroce vicenda. Ma io ho dei messaggi tutti scritti in maniera cordiale con Trifone, che risalgono addirittura a 5 -6 giorni prima del tragico evento. Ma questi ultimi, che avevo sul mio cellulare, sui giornali e in Tv non sono mai apparsi.

Sono stato condannato su una dichiarazione di un pesista di Pordenone. Pensa, è stato l’ultimo ad aver visto Teresa e Trifone. Nella sua dichiarazione ai carabinieri dice che quando è uscito dalla palestra insieme a loro, li saluta e posa il borsone nel bagagliaio. Sale nella sua auto e sente gli spari… aveva anche lui un’Audi A3… in auto si avvicina lentamente alla macchina di Teresa e Trifone e mentre va via nota un’Audi A3 Sportback (versione 5 porte), con a bordo una donna di mezza età vicino alla macchina dei due ragazzi. Poi vengo indagato io e ai carabinieri cambia versione dicendo che all’interno di quella macchina poteva anche esserci un uomo e l’auto poteva anche essere un’Audi normale a tre porte. Gli avvocati in Aula giustamente gli chiesero: “Come fai a dire e a descrivere che hai visto una donna di mezza età e poi un uomo?”. Non mi spiego come mai ha cambiato versione. Per me potrebbe essere stato minacciato poiché anche lui sarebbe stato attenzionato.

Poi figurati, su 8 persone o più presenti quella sera nel parcheggio, che hanno sentito gli spari, nessuno parla della mia presenza in quel momento (anche perché ti assicuro che non c’ero). Lo hanno confermato anche in Aula. E i giudici cosa fanno? Credono all’unico che ha cambiato versione e mi condannano in base alla sua versione cambiata. Assurdo.

Poi, la vergogna è stata quando in Aula il Pm alla Corte di Udine ha detto: “Vabbè non ci dimentichiamo che Ruotolo è di Napoli…”. Come se essere di Napoli, a prescindere, è già una colpa. Come se una persona come il pesista di Pordenone, non poteva fare quel gesto, mentre una persona di Napoli si. Nessuno della Corte ha detto niente. Non so se il processo fosse stato fatto a Napoli o in qualche città ‘neutra’ come sarebbe finita.

Ci sono stati collaboratori di Giustizia che hanno riferito che sono state altre persone a commettere questo omicidio. Ma non so come mai, nonostante uno di loro fosse ritenuto attendibile in altri processi, su questa vicenda non è stato creduto. E un altro che in aula riferisce di essere stato commissionato e pagato per commettere questo duplice omicidio, facendo anche dei sopralluoghi vicino alla palestra insieme a un complice, ma alla fine dopo aver preso un anticipo si sarebbe tirato indietro… Addirittura si mise poi a disposizione per far arrestare il presunto mandante facendosi mettere delle microspie, ma i Pm non avrebbero voluto perseguire questa pista.

In sostanza, a parer mio, in questo processo si è cercato di trovare un colpevole che giustificasse il lavoro svolto durante le indagini e di colmare il dolore delle famiglie. Senza nulla togliere al loro dolore, il lavoro svolto dalle autorità ha ucciso un’altra famiglia: la mia. Ha creato una morte emotiva fatta di ingiustizie, notti insonni a pensare e ripensare sempre alle stesse cose, discutere e litigare in famiglia su come si è arrivati a questo punto e cosa si poteva fare di più, fino ad arrivare alla conclusione che ormai è troppo tardi perché si accettano solo nuove prove. Questo continua a logorarmi dentro, giorno dopo giorno, con costanti situazioni di malessere mentale.

La differenza, secondo me, sta proprio in questo punto: le autorità non intervengono nel riparare i propri errori, un processo che ha preso in considerazione degli indizi, ma non a trovare a chi fossero attribuite le prove certe (Dna sul bossolo, impronte sulla macchina dei due ragazzi,…). Credo che questo sia uno dei pochi processi italiani dove si è processato un ragazzo senza prove e le stesse prove non hanno escluso l’innocenza del ragazzo stesso. Per non considerare le piste alternative legate alla criminalità organizzata, steroidi, regolamenti di conti, scambi di persona come riferito dai collaboratori di giustizia ecc.

La domanda che mi sorge spontanea è: come faccio a trovare io delle prove nuove se una Procura non c’è riuscita o addirittura quelle già trovate non sono riuscite a collocarle o a trovare a chi appartenessero?”