L'esplosione a Suviana
Esplosione alla centrale idroelettrica di Suviana, continuano le stragi sul lavoro
Non basta il lutto il giorno dopo. Non bastano retorica e lacrime. Non basta scrivere le norme, bisogna farle funzionare. E basta con gli appalti
Cronaca - di Chiara Gribaudo
Un’altra strage. In queste ore è doveroso esprimere il cordoglio, dopo l’esplosione che ha colpito ieri la centrale idroelettrica di Suviana e finché non vi sarà chiarezza sulla dinamica dei fatti le parole vanno sempre pesate. Però diventa insostenibile pensare che collaudare una turbina dopo un precedente lavoro di manutenzione abbia un costo di vite umane, nel 2024. Lo sgomento sale, sale ogni volta che si verifica un incidente mortale, se ne parla molto “a caldo” ma rimangono le questioni di fondo rinviate o non affrontate con la fermezza che servirebbe.
Lo dico a malincuore perché in questo paese serve una scossa sui temi della sicurezza nei luoghi di lavoro. Come avvenne dopo i tragici fatti della Thyssen Krupp di Torino. Da lì è nato il testo unico della sicurezza, nel 2008, un testo all’avanguardia ancora oggi ma un testo che come sempre, se non attuato rimane ineccepibile sulla carta ma concretamente lettera morta nella sua attuazione. Sono davvero troppe le morti sul lavoro in Italia, e così gli infortuni, ma il tempo passa, l’indignazione cresce, le contromisure languono. Se nelle dichiarazioni e nei comunicati che commentano vicende come quelle di Suviana, Firenze, Brandizzo, solo per stare alle ultime tre stragi più grandi avvenute nel giro di pochi mesi, le richieste risuonano sempre le stesse, vuol dire che i conti politici, sociali e umani non tornano.
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C’è troppo squilibrio tra il ripetersi di fatti luttuosi che non dovrebbero succedere e la verifica che nulla cambia nelle situazioni concrete, e anche le risposte del governo sono insufficienti, tardive, non risolutive. Certo, ci sono contratti collettivi ricchi di norme per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori e l’attività di controllo pubblico è stata negli anni affinata: Ma permane una cronica mancanza di personale che possa pressare le aziende ad avere comportamenti virtuosi. E poi c’è un tema gigante: parlano i sindacati, la politica, le tante realtà associazionistiche che si sono create e sensibilizzate negli anni, ma abbiamo bisogno che questo sia un tema affrontato e sostenuto anche dalla rappresentanza datoriale.
Non può essere un tema “solo” di alcuni, serve un salto di qualità nella dialettica del Paese, serve che si dica con forza che la sicurezza non può essere un costo, deve essere un investimento, come si dovrebbe investire in ricerca e sviluppo nel 2024, serve investire per limitare il più possibile gli incidenti sul lavoro. Nel “mettere a terra ” finalmente la parte mai resa attuativa dei decreti del dlgs81, la cosiddetta patente a punti poteva risultare un importante novità, un traguardo sperato da tanti che invece attualmente rimane vanificato da una mancanza di confronto e da una impostazione che rischia di avere l’effetto contrario a quello previsto dalla norma originaria, addirittura creando distorsioni ed un fenomeno che abbiamo visto nelle ultime stragi: ovvero la presenza sui cantieri e nei subappalti di lavoratori autonomi. Persone che dovrebbero essere inquadrate come lavoratori dipendenti e che invece lavorano a partita iva.
Queste distorsioni non possono essere accettate: qui non si tratta di flessibilità contrattuale, qui si tratta proprio di sbagliare e rendere spuri i modelli di gestione del lavoro. È ora non di indignarsi il giorno dopo ma di fermarsi, controllar tutto ciò che non va, piccolo o grande che sia, correggere burocrazia, pratiche che sulla carta accertano sicurezza e nella pratica non la attuano. E’ ora di prendersi cura di tutta la “filiera della sicurezza” che tenga insieme un aumento quantitativo e qualitativo del personale che si occupa non solo di fare il lavoro ispettivo. Servono medici del lavoro, formatori, personale della giustizia amministrativo e non. Solo mettendo a sistema la filiera si può iniziare a fermare la strage. E poi naturalmente non possiamo non vedere l’elefante nella stanza: il subappalto a cascata in Italia non funziona. Dobbiamo dircelo. In un Paese in cui gli stipendi medi già sono bassi, la catena è dunque la “filiera cattiva” dei subappalti a cascata reintrodotti da questo Governo. Fa male al Paese perché non fa che deteriore ancor di più la situazione già drammatica di formazione sui temi della sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici.
A Suviana come a Brandizzi, una partecipata pubblica (in questo caso ENEL) ricorre al subappalti, sfilacciando la linea rossa della prevenzione dei controlli e lo considero più grave proprio perché lì vi sono anche molti soldi pubblici. Questo meccanismo, figlio del modello di sviluppo estremizzato che prevede solo e sempre minor costi e maggior produttività, senza le adeguate attenzioni non può che crear queste storture. Allora, serve, a maggior ragione nel pubblico, che vi sia un rilancio vero della questione legata alla qualifica degli appaltatori dei controlli e serve integrare il processo di verifica dell’idoneità tecnico professionale che ad oggi, è solo abbozzata a livello superficiale.
Non possiamo non rilevare come gli appalti rimangano una situazione di potenziale rischio, (amplificato dalla normativa dei subappalti) vuoi per il livello di competenza che richiedono, vuoi per la cattiva prassi del “terziarizzare il rischio”. Nonostante questo, la sicurezza non trova spazio nei processi di affidamento degli incarichi negli appalti non edili, come in questo caso. Non è accettabile che basti fornire il certificato di iscrizione alla Camera di Commercio e un’autocertificazione. È necessario portare a compimento quanto era previsto nell’articolo 27 prima della modifica introdotta con il Decreto PNRR. I committenti e lo Stato devono riconoscere alle aziende virtuose dei privilegi nell’assegnazione degli appalti, nella concessione di finanziamenti. La sicurezza deve essere un fattore distintivo che renda palese la differenza tra chi mette impegno e risorse e chi fa, quando va bene, il minimo necessario.