La strage di Cutro
Così hanno smantellato il soccorso in mare, la mail scoperta dalla trasmissione di Marco Damilano
Su un edificio lesionato o su un territorio invaso dalle fiamme nessuno sognerebbe di mandare in campo altri che i vigili del fuoco, gli unici in grado di cogliere la portata degli eventi e di affrontarne il pericolo. Non è così per il soccorso il mare. Di più: in spregio del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione, non è così per il soccorso rivolto ai migranti.
Editoriali - di Ammiraglio Vittorio Alessandro
Lo sapevamo già, ma questa volta lo afferma, nero su bianco, il documento di una fonte istituzionale. Reperito da Peppe Ciulla per la trasmissione RaiTre di Marco Damilano Il Cavallo e la Torre, è firmato dall’allora capo della Centrale operativa della Guardia costiera, l’ente nazionale che coordina i soccorsi in mare.
Indirizzata ai responsabili operativi delle sedi periferiche, l’email – datata 27 giugno 2022, pochi mesi prima del naufragio di Cutro – impartisce disposizioni sulle misure da adottare in occasione di “eventi connessi al fenomeno migratorio”, in conformità alle “direttive impartite dal livello politico” (il governo era quello di Mario Draghi, al ministero dell’Interno sedeva Luciana Lamorgese).
Le misure introdotte sono molto più di quelle che il documento definisce “disposizioni tattiche” e costituiscono, in sostanza, la smobilitazione del sistema di soccorso scolpito da leggi e convenzioni internazionali che assegnano alla Guardia costiera il coordinamento degli interventi per il salvataggio della vita umana in mare: il compito, cioè, di valutare ogni notizia di pericolo e di intervenire poi direttamente o con l’ausilio di ogni possibile unità.
Il “livello politico” evocato dal documento ha cancellato tale ruolo istituzionale quando si tratti di migranti, trasferendo coordinamento e interventi alla Guardia di Finanza (priva di competenza istituzionale e di mezzi adeguati alle situazioni estreme), salvo il pericolo conclamato che spesso scocca quando è ormai tardi per intervenire .
Con un messaggio informale (“Cari tutti…”) le Capitanerie di porto hanno dunque rinunciato alle prerogative e al ruolo loro assegnato dalla legge, ponendo di fatto le condizioni di episodi come quello di Cutro, in cui nessuno valorizzò la notizia del caicco sovraccarico, soppesò il pericolo, coordinò gli interventi, lasciando sulla scena – come deciso da misteriosi “tavoli tecnici” – soltanto Frontex e Guardia di Finanza a fronteggiare, con la loro livrea di polizia, non il mare, ma l’”evento migratorio”.
Su un edificio lesionato o su un territorio invaso dalle fiamme nessuno sognerebbe di mandare in campo altri che i vigili del fuoco, gli unici in grado di cogliere la portata degli eventi e di affrontarne il pericolo. Non è così per il soccorso il mare. Di più: in spregio del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione, non è così per il soccorso rivolto ai migranti.
È immaginabile lo stato d’animo dell’alto ufficiale che, ricevuto l’ordine di azzoppare la Guardia costiera, ha diffuso un documento che scuoterà l’inchiesta sul naufragio di Cutro. Comprensibile anche l’amarezza del comandante della Capitaneria di Crotone che, poche ore dopo la strage, onestamente affermò: “le nostre motovedette avrebbero potuto navigare anche con mare forza otto” (non uscirono, e ora sappiamo perché).
Sentimenti facilmente intuibili, ma sulla coscienza pesano molto di più le centocinque persone scomparse nel mare di Cutro, una delle quali, un bambino di sei anni, giunto ormai a pochi metri dalla riva, scriveva al padre, che lo aspettava in Germania: «Sono arrivato, papà, sto bene. Sono in Italia, papà».