Diciamocela tutta: sull’immigrazione si sta consumando una silenziosa e inarrestabile campagna che punta ad aggiungere odio e a far crescere l’idea della cultura dell’emergenza come unica strada effettivamente percorribile.
Altrimenti non si spiegherebbero le scelte di questi anni e di questi mesi. Ciò si è materializzato in modo straordinariamente esplicito attraverso l’operazione Cutro. Lo abbiamo dichiarato sul luogo di quella strage – terribilmente rimossa – con Elly Schlein alcune settimane fa, e lo ribadiamo ora: da quel momento è avvenuto tutto quel che non doveva accadere dal punto di vista delle scelte operate e delle parole espresse.
Del resto, se intitoli, con ancora negli occhi le immagini delle piccole bare bianche, ad una strage di stato avvenuta per omesso soccorso, misure per ostacolare il salvataggio in mare e l’accoglienza di qualità stai dando volutamente un messaggio. Stai dicendo “l’immigrazione è e sarà sempre una questione di invasione da cui proteggersi, al di là della vita vera”, nient’altro.
Ovviamente ciò non è accaduto in questi mesi per la prima volta, la destra, quella peggiore, da tempo usa il tema migratorio per fomentare la sensazione di insicurezza. La strada, bisogna dirselo, se l’è pure spesso trovata spianata, in ragione di una discreta ambiguità dei “progressisti” in Italia e in Europa, sulla questione sociale e la sua centralità.
Ciò, nei decenni passati, ha favorito il discorso della destra nazionalista e ha visto il saldarsi di “razzisti” e parte degli “impauriti socialmente”. L’insicurezza sociale ha inevitabilmente arricchito il fiume della paura. E la destra ha cavalcato con sapienza tutto ciò.
Anche per questo oltre che in “sé” è indispensabile rilanciare, come il PD sta provando a fare, un discorso di promozione e riscatto delle persone (peraltro se il PD non lo fa è in crisi la sua stessa funzione “storica”). Ma c’è dell’altro.
Si deve anche chiamare con il loro nome quel che le destre nazionaliste producono in termini di linguaggio e pratica dell’intolleranza istituzionale. Dalla condizione dei minori non accompagnati alla totale deresponsabilizzazione del soccorso in mare (pratica purtroppo accettata in alcuni casi perfino dal centrosinistra), dalla limitazione delle azioni riguardanti l’accoglienza alla totale assenza di canali d’accesso sicure per favorire l’arrivo regolare dei migranti gli esempi sono molti.
E raccontano di una pratica istituzionale che mira scientemente a non “risolvere” in modo razionale la pratica della gestione migratoria. Colpisce che questo pensiero abbia finito per drogare totalmente il dibattito pubblico sull’immigrazione, diventando, dobbiamo dircelo, spesso assolutamente “egemone”.
Di fronte a un contesto simile l’unica cosa che la sinistra non deve fare è giocare in difesa. Per queste ragioni non solo stiamo ribadendo alcune convinzioni con nettezza (ad esempio il fatto che non imboccheremo mai più strade come quelle che hanno portato all’istituzione dei campi libici) ma riteniamo che si debba fare un bel salto di qualità sul piano delle regole e dell’impianto legislativo.
In tal senso ha lavorato un gruppo di parlamentari democratici e in particolare il Senatore Delrio, al fine di presentare modifiche di legge che ci permettano di superare la “Bossi-Fini”, una legge che ha alimentato gli arrivi irregolari.
E in fondo per le stesse ragioni al Parlamento europeo i nostri eurodeputati non hanno accettato la filosofia del “Patto Immigrazione Asilo”, quello che si configura come una straordinaria occasione persa e che non investe in alcun modo sul potenziamento e lo sviluppo dei canali d’accesso legali.
Di fronte all’odio istituzionalizzato e alla cultura dell’eterna emergenza è infatti il potenziamento delle vie d’accesso legali l’unica risposta possibile. Ciò in nome della necessità di gestire, anche, perché no, “regolare e controllare” i flussi, e poi in nome di un bisogno totalmente rimosso dalla stessa opinione pubblica che è quello di operare per favorire processi di inclusione, integrazione, formazione e avviamento professionale.
Quel che intendo dire è che i progressisti devono coniugare il valore del rispetto dei diritti umani, irrinunciabile e da riaffermare, con scelte che permettano un’azione di concreta gestione diversa dei flussi e con un nuovo progetto sull’accoglienza diffusa e di qualità.
Sono tutte battaglie complicate ma vanno assolutamente portate avanti altrimenti l’unico discorso pubblico capace di restare in campo sarà quello di chi – perfino a prescindere dalla realtà dei numeri ad esempio sul tema demografico o in relazione alle necessità del mondo produttivo – racconterà la storia dell’eterna invasione da cui proteggersi, magari moltiplicando i CPR e certamente non ostacolando, nel cuore del Mar Mediterraneo, nuove stragi senza nome.
*Responsabile immigrazione del Pd