Un giallo irrisolto
Cacciatore ucciso in Trentino, caso verso l’archiviazione: nessun colpevole, il giorno dopo si uccise chi lo trovò morto
Il duplice giallo di Celledizzo, la morte dei cacciatori Massimiliano Lucietti e Maurizio Gionta, trovati senza vita nei boschi sopra la frazione di Pejo, nella Val di Sole in Trentino, a distanza di 24 ore di distanza l’uno dall’altro, resta senza soluzioni.
L’omicidio di Max Luccieti
Dopo 18 mesi di indagini serrate quello di Lucietti in particolare resterà un omicidio senza colpevole, con l’inchiesta che pare essere ormai destinata all’archiviazione: le indagini di Procura e carabinieri non hanno portato all’individuazione di un sospettato per la morte del 24enne cacciatore ucciso il 31 ottobre 2021 da un proiettile di un fucile 270 Winchester alla nuca nei boschi.
Nemmeno i carabinieri del Ris, che hanno depositato l’informativa conclusiva dopo aver analizzato una trentina di fucili sequestrati ad altrettanti cacciatori e procedendo al confronto con il frammento di ogiva ritrovato vicino alla vittima, sono riusciti a risolvere il giallo.
Il pm titolare del fascicolo, Davide Ognibene, potrebbe chiedere l’archiviazione dell’indagine per omicidio colposo a carico di ignoti, con la scelta a carico del gip di decidere se accoglierla o meno. I genitori del ragazzo però non si arrendono e chiedono “giustizia, vogliamo sapere chi ha ucciso nostro figlio“.
Il suicidio di Maurizio Gionta dopo 24 ore
Il corpo di Max Lucietti venne trovato quel mattino da Maurizio Gionta, ex guardia forestale di 59 anni, che tra l’altro conosceva bene il padre del ragazzo: Gionta, che apparteneva allo stesso gruppo venatorio di Lucietti, il giorno dopo si uccise, lasciando un biglietto d’addio sul cruscotto dell’auto poco prima di togliersi la vita. “Non addebitatemi responsabilità non mie”, aveva scritto in quello che appariva come un grido d’innocenza ribadito più volte anche nelle lunghe ore di colloquio con i carabinieri dopo il ritrovamento del corpo di Max.
Gionta fu infatti indicato come possibile responsabile in quanto il suo fucile, in realtà molto comune tra i cacciatori, era risultato “altamente compatibile” con l’arma del delitto.
In realtà, come emerso dall’esame dello Stub, non fu il 59enne ex guardia giurata a sparare: non c’era polvere da sparo sulle sue mani e sui suoi abiti.