X

Mario Draghi vuole prendersi l’Europa, l’ex premier si autocandida alla presidenza della Commissione

Mario Draghi vuole prendersi l’Europa, l’ex premier si autocandida alla presidenza della Commissione

Non è solo questione di nobili ideali e di visioni politiche come quelle di Ventotene, una drastica e immediata accelerazione dell’integrazione europea è questione di vita o di morte per l’economia europea, dunque anche di ciascuno dei 27 Stati che compongono l’Unione.

Mario Draghi interviene alla Conferenza europea sui diritti sociali organizzata a La Hilpe, in Belgio, dalla presidenza di turno dell’Unione belga e va giù come un carro armato. “La nostra organizzazione, il processo decisionale e i finanziamanti, sono progettati per il mondo di ieri: abbiamo bisogno di una Ue adatta al mondo di oggi e di domani”. Quella Ue, per essere in grado di misurarsi con i giganti, con la Cina e gli Usa, esige una rifondazione radicale.

L’ex presidente della Bce offre, per la terza volta quasi consecutiva, un’anticipazione dei contenuti del report sulla competitività europea richiestogli dalla presidente della Commissione europea e che presenterà in forma definitiva il 27 giugno, a elezioni europee ormai celebrate.

Competere nelle condizioni date è semplicemente impossibile: l’Europa è il vaso di coccio destinato a finire stritolato dalla Cina, che “mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento delle tecnologie verdi e avanzate”, e dagli Usa, che “stanno utilizzando una politica industriale su larga scala per attrarre capacità manifatturiere nazionali di alto valore nei propri confini, utilizzano il protezionismo per escludere i concorrenti, dispiegano il loro potere geo-politico per riorientare e proteggere catene di approvvigionamento”.

Possono muoversi con rapidità e determinazione in questo modo perché sono Stati unitari: “Ci stanno precedendo perché possono agire come un unico Paese con un’unica strategia”. La Ue deve mettersi in grado di operare allo stesso modo o perire. Per essere competitiva l’Unione deve “agire in un modo mai fatto prima”.

Quindi l’ex premier italiano, voce che gode sempre di vasto ascolto e profonda influenza in Europa, preannuncia che nella relazione di giugno proporrà “un cambiamento radicale, una trasformazione dell’intera economia europea, una ridefinizione della nostra Unione non meno ambiziosa di quella che fecero i Padri fondatori 70 anni fa”.

Dallo sviluppo di sistemi energetici decarbonizzati e indipendenti alla costruzione di un sistema di difesa integrato, dal sistema degli appalti comuni, oggi quasi inesistente, alla fornitura di beni pubblici, che per Draghi dovrà fondarsi in larga misura su investimenti privati, la rivoluzione che l’uomo del “Whatever It Takes” si accinge a proporre è a tutto campo e con una tabella di marcia a rotta di collo perché il tempo stringe e dunque se ci fossero resistenze insuperabili, come quelle che proprio ieri hanno impedito di concludere la Conferenza con una dichiarazione comune per il no di Svezia e Austria, “dovremmo essere pronti a considerare di procedere con un sottoinsieme di Stati membri”.

Sacrificare la compattezza unitaria dei 27 non sarebbe certo auspicabile. Potrebbe essere necessario. I toni di Draghi non sono quelli di chi parla da osservatore. Se le sue indicazioni saranno accolte sostanzialmente e non solo formalmente, come non è affatto detto, l’ex presidente della Bce sarà in campo, inevitabilmente, nella corsa ai due ruoli centrali e presto vacanti nella piramide dell’Unione, la presidenza della Commissione e quella del Consiglio europeo.

Persino Orban fa sapere che “Draghi è una brava persona, mi piace”. Ursula von der Leyen assicura che l’ex presidente della Bce ed Enrico Letta, che presenterà anche lui un report sul mercato comune europeo, “indicano la strada per il futuro”.  Il presidente del Senato La Russa si lancia: “Può ambire a ogni ruolo”.

Una leadership europea draghiana sarebbe appoggiata tanto da FdI quanto dal Pd, contrastata da Lega e M5S. Tre giorni fa la telefonata tra Elly Schlein e Giorgia Meloni ha segnato un passaggio potenzialmente rilevante: i due principali partiti della maggioranza e dell’opposizione, pur confermando differenze inconciliabili su tutto il resto, convergono su un tema non precisamente secondario, specialmente oggi, come la politica estera e quell’asse mette automaticamente all’angolo le forze sia di maggioranza che di opposizione che proprio sulla politica estera hanno posizioni diverse dai partiti maggiori. La tenaglia potrebbe riprodursi, in forme ancora più accentuate, intorno a Mario Draghi se da professore qual è in questo momento tornerà a essere operativo.