L'appello al Guardasigilli
La strage in carcere, per fermare i suicidi in carcere la sfida dei garanti: “Basta omertà”
I garanti territoriali leggono in piazza i nomi e i cognomi dei detenuti che si sono tolti la vita: 32 dall’inizio dell’anno. Anastasia: “Serve coraggio, coerenza e correttezza”
Giustizia - di Angela Stella
Chiedere ai parlamentari e al ministro della Giustizia Carlo Nordio di intervenire al più presto per fermare i suicidi negli istituti penitenziari italiani che, dall’inizio dell’anno, sono 32. A questi si aggiungono quelli di 4 agenti di polizia penitenziaria.
Questo l’appello lanciato ieri da tutta Italia attraverso dei sit-in convocati dai Garanti territoriali dei diritti delle persone private della libertà personale, dinanzi alle carceri e ai tribunali. Insieme a loro avvocati, magistrati, cappellani, terzo settore, volontari, semplici cittadini.
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Due giorni fa l’ennesimo suicidio: un detenuto palestinese di 32 anni si è suicidato, inalando il gas della bomboletta del fornello da campeggio, nel carcere di Como. Durante i flash-mob sono stati letti col megafono tutti i nomi di coloro che si sono tolti la vita mentre erano sotto la custodia dello Stato.
“Trentadue suicidi in tre mesi e più di 61mila detenuti. Nel Lazio abbiamo un sovraffollamento del 142%, 6731 detenuti per 4742 posti: 2000 in eccesso. Va bene la promozione del lavoro per i detenuti di cui si è discusso ieri al CNEL, ma se i numeri non cambiano, il lavoro sarà un premio per pochi. Servono risposte urgenti, ha detto il mese scorso il Presidente della Repubblica, e noi oggi con lui. Contro sovraffollamento e suicidi nell’immediato servirebbero coraggio, coerenza e correttezza: il coraggio di un ceto politico che sappia ricorrere agli istituti costituzionali dell’amnistia e dell’indulto quando – come oggi – se ne ravvisi la necessità, la coerenza di un ministro che molti mesi fa promise di aumentare le telefonate e le possibilità di contatto dei detenuti con i loro familiari, la correttezza di un’amministrazione che deve adempiere a una sentenza della Corte costituzionale che consente ai detenuti colloqui riservati con i propri partner”: così ci ha detto Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Lazio Stefano Anastasia.
Con lui rappresentanti della Camera penale di Roma per denunciare la situazione nelle carceri, divenute “luoghi di soppressione delle dignità, di svilimento dell’umanità e di morte”. Mentre il Garante del Piemonte, Bruno Mellano, ci ha dichiarato: “La sfida dei Garanti è innanzitutto alle istituzioni che ci hanno nominato. Sempre di più ci tocca il compito di richiamo alle singole responsabilità condivise: dal 1975 l’ordinamento penitenziario mette in capo agli enti ed ai territori ruoli e attività che possano rendere l’esecuzione penale davvero utile, quando necessaria. Dalla sanità al lavoro, dalle politiche sociali alla formazione. Il dialogo fra amministrazioni diverse può fare la differenza, ma occorre intendersi su cosa e deve essere un carcere costituzionalmente orientato. Noi facciamo la nostra parte, spesso in modo scomodo”.
“Questa si chiama tortura, è una cattiveria” ha invece detto Don Gino Rigoldi, per oltre 50 anni cappellano del carcere minorile Beccaria, sullo scalone del palazzo di Giustizia di Milano. Ha definito la “terribile circolare” sulle chiusure dei reparti di media sicurezza entrata in vigore da qualche mese secondo la quale, “se non c’è attività, si sta in cella per 22 ore, con il rischio che la gente diventa matta quando è così compressa”.
Presenti anche membri della Camera penale del capoluogo lombardo: “Occorre ricordare – si legge in una nota – che quelle morti non sono un destino ineluttabile (come disse il Guardasigilli, ndr), ma rappresentano la conseguenza di un sistema, quello penitenziario e più in generale della giustizia penale, su cui pesano precise scelte politiche”.
Da Cagliari ha lanciato l’allarme la garante regionale Irene Testa: “È un’urgenza insieme a un’emergenza. L’urgenza è quella da parte della politica e del legislatore di intervenire e l’emergenza è che le carceri non possono essere lasciate in queste condizioni: non serve né ai detenuti e né alla società. Se non vogliamo aspettare altre condanne dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo dobbiamo intervenire sul grave sovraffollamento che affligge i nostri penitenziari”.
“Dall’inizio del 2024 ad oggi sono morti in carcere 55 detenuti e 4 agenti della polizia penitenziaria”. Il report su scala nazionale, comprensivo anche dei suicidi, è stato presentato invece a Brindisi dal presidente della Provincia, Toni Matarrelli, e dal garante delle persone private della libertà personale, Valentina Farina.
“È un’occasione per analizzare e decifrare il drammatico fenomeno del sovraffollamento carcerario ribadendo, ancora una volta, la necessità di interventi urgenti. La maggioranza dei detenuti vive, per oltre 20 ore al giorno, in celle sovraffollate dalle quali esce solo nelle ore d’aria”, ha detto Matarrelli.
In Campania ci sono stati tre sit-in. Samuele Ciambriello, portavoce della Conferenza nazionale dei Garanti territoriali delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, ha ricordato: “Vogliamo abbattere questo muro di omertà e di indifferenza. La politica deve ascoltare questo appello, affinché accanto alla certezza della pena ci sia anche la qualità della pena che passa attraverso lo studio, il lavoro, l’affettività, le relazioni. È necessario un maggior numero di misure alternative alla detenzione rendendo efficiente ed efficace la Giurisdizione di Sorveglianza, anche destinando maggiori risorse”.