L'idea per le europee
Perché non ci sarà il nome di Schlein nel simbolo del Pd, la segretaria fa retromarcia
La segretaria fa retromarcia: “Non serve, grazie a chi lo ha proposto”. Ma era una sua idea nata per alzare la posta contro la minoranza
Politica - di David Romoli
Indietro tutta. Ieri pomeriggio, nella lunga diretta su Instagram, Elly Schlein ha ingranato la retromarcia sull’idea, contestatissima nel partito, di inserire il suo nome nel simbolo della lista per le europee: “Non abbiamo bisogno del nome nella lista. Ringrazio comunque chi lo ha proposto”.
Lo aveva proposto, domenica in Direzione, Bonaccini, come presidente del Pd, ma l’idea era di Elly e del gruppo ristretto che la affianca al vertice. “Spirito di servizio”: così la segretaria del Pd aveva spiegato quella proposta.
Giustificazione nobile ma claudicante per una decisione che, se la Direzione avesse votato, sarebbe stata quasi certamente bocciata, che era stata assunta senza avvertire nessuno salvo Bonaccini ed stata subito bersagliata non solo dalle opposizioni interne ma anche da molti dei principali sostenitori di Elly.
Senza contare il fuoco ad alzo zero di Romano Prodi che aveva già accusato tutti i leader che si candidano senza poi avere alcuna intenzione di andare davvero a Strasburgo, Elly inclusa, di infliggere “una ferita alla democrazia”.
Le ragioni di una simile forzatura erano in tutta evidenza altre. Vanno rintracciate nell’esito del lungo braccio di ferro intorno alle candidature del 9 giugno che è proseguito per settimane, pur se col minor clamore possibile, nel partito. Quella sfida Elly l’ha in buona misura persa.
Nel tentativo di trasformare radicalmente il Pd rendendolo “il suo partito”, il passaggio delle liste era determinante perché è su quel fronte che le correnti e i capibastone locale sfoderano le proprie armi (e ne hanno parecchie). Elly ha dovuto trattare con chi diceva di voler eliminare: con le correnti, incluse quelle che l’hanno appoggiata, e con i cacicchi.
La sua idea di presentarsi capolista in tutte le circoscrizioni è stata affossata dalla nomenklatura e dalle donne: la segretaria si è accontentata del Centro e delle Isole. L’ipotesi di mettere in testa alle liste solo figure esterne, rappresentanti della “società civile” preferibilmente femmine, ha sbattuto contro l’indisponibilità dei pezzi da novanta.
Lucia Annunziata e Cecilia Strada sono capolista nel Sud e nel Nord-Ovest ma il Nord-Est è andato al leader dell’opposizione Bonaccini e nelle postazioni eminenti dietro la segretaria ci sono Zingaretti al Centro e Nicita al Sud.
La segretaria anticacicchi ha dovuto fare i conti anche con il nemico più acerrimo, De Luca. È arrivata a un accordo con il governatore campano De Luca sulla candidatura di un esponente a lui molto vicino, Lello Topo, anche a costo di mettere a rischio l’elezione di un fedelissimo come Sandro Ruotolo.
Ma soprattutto la minoranza ha ottenuto una quantità di candidature in posizione favorevole: probabilmente il gruppo al Parlamento europeo sarà segnato più dall’opposizione che dalla stessa segretaria.
Nella “schleinizzazione” del Pd le liste presentate domenica, e che probabilmente verranno ulteriormente limate prima della presentazione ufficiale il primo maggio, segnano una battuta d’arresto. Rivelano la forza di aree interne per nulla domate o disposte a farsi domare.
Elly ha provato a reagire forzando sul nome in lista ma è stata respinta da una rivolta interna che avrebbe presentato agli elettori l’immagine disastrosa di un partito sull’orlo della guerra. È stato un passo giusto e necessario: a volte sapersi arrendere è una prova di forza e di maturità politica e la trasformazione di un partito non si può fare a colpi di blitz.