Volontaria da 45 anni
Suor Lidia, volontaria in carcere da 45 anni: “Per cambiare la situazione, lasciate stare le carte e ripartite dall’umanità”
Storie - di Rossella Grasso
“Non mi far passare per santa, faccio una cosa normale”. Nella voce di Suor Lidia Schettino, 87 anni, napoletana, c’è tanta dolcezza: da 45 anni, come volontaria, entra ed esce dal carcere, per dare supporto ai detenuti. Qualcuno la chiama ‘L’angelo di Poggioreale’, il carcere dove va ogni giorno a portare ascolto e conforto. E non nega a nessuno un sorriso: “A volte faccio anche cazziate però”, dice. Per lei i detenuti sono come figli che hanno sbagliato ma che possono cambiare. E’ convinta che a volte c’è solo bisogno di ascolto e di quell’attenzione che magari non hanno mai avuto in famiglia per capire e scegliere di cambiare. “Un uomo – dice – non è la cosa sbagliata che ha fatto. Lui è un uomo che ha fatto una cosa sbagliata. Qui deve avvenire il cambiamento”. Suor Lidia conosce bene il dramma del carcere e le sue pesanti ferite ed è certa che bisogna fare qualcosa: “Se non facciamo dei passi verso l’umanità, stanno male quelli di fuori e quelli di dentro”.
La storia di Suor Lidia, una vita per i detenuti
Suor Lidia, fa parte della congrega delle Suore di Carità dell’Immacolata dette di Ivrea. “Da suora ho preso il nome Lidia come la mamma di Nella Puntillo a cui sono molto legata, una ex giornalista de L’Unità, che ha trasmesso anche a me quella spiritualità del giornale”. Oggi ha 87 anni, 40 anni di insegnamento nelle scuole e altrettanti a dare supporto ai detenuti del carcere di Poggioreale, perché “a sinistra c’è la suola e a destra c’è il carcere”. Di storie in carcere ne ha conosciute tante. Per 20 anni è stata volontaria al Cotugno, negli anni in cui in carcere c’era anche il dramma dell’AIDS e “c’erano molti ricoverati che andavano piantonati e io davo una mano”.
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“Suor Lidia è per me come una mamma perché mi sa aiutare e cazziare”
La sua vocazione è arrivata prestissimo, sin da bambina quando amava pregare con la nonna. Racconta di essere entrata da ragazza per la prima volta in carcere. “C’erano tutti quei cancelli, all’inizio fa un po’ impressione: pareti sporche, umide, muffa…ma nessuno mi ha mai mancato di rispetto, neppure con uno sguardo. Una volta uno mi ha detto: ‘lei è per me come una mamma perché mi sa aiutare e cazziare’”. E suor Lidia, minuta nella statura ma grande nell’animo ha sempre avuto a che fare con tutti, anche quelli che qualcuno definirebbe i ‘peggiori’ nell’inferno del carcere. “Si crea a livello emotivo nell’intimo delle persone (i detenuti, ndr), un momento di silenzio con se stessi, dove arriva qualcosa, un ricordo, una sofferenza. Faccio un esempio: ‘non ho ascoltato mamma, Suor Lidia dice le stesse cose’. Sembra una sciocchezza ma non lo è”.
Racconta che all’inizio le suore non potevano entrare in carcere, potevano stare solo nella sala giudici dove uno alla volta incontravano i detenuti su richiesta. “Aspettavamo anche 2 ore prima che arrivassero, e alla fine passavano giornate e avevamo potuto parlare sono con un paio di loro”. Poi le cose negli anni sono cambiate. “Facevamo di tutto – racconta – attività ricreative, fornivamo del necessario quelli che non avevano i colloqui, gruppi di catechesi. E poi cercavamo di far venire gruppi da fuori come corsi di teatro e altro”.
Per Suor Lidia i detenuti sono come figli. Tanto che in passato le è capitato di far ospitare qualcuno a casa sua per le misure alternative. Ha tante storie da raccontare di persone che sono finite nel vortice della droga, che hanno pagato il loro debito con la giustizia e che quando sono usciti hanno provato a rifarsi una vita. Racconta di ragazzi che non ha perso di vista nemmeno quando sono diventati uomini liberi e padri di famiglia. Non importa che reato abbiano fatto, chi siano stati. Per Suor Lidia ogni detenuto è un figlio a cui va data la possibilità di cambiare. Racconta di aver ritrovato in carcere un ragazzo che era uscito tempo prima. Aveva commesso nuovamente un reato ed era tornato in carcere. Un recidivo. “Gli ho detto: quando ti fermi a vedere quanto sei bello, dentro e fuori? Io mi accorgo che sei bello e buono e tu come uno stupido non te ne accorgi. Io non lo mollo, devo aiutarlo”.
“Il sistema carcere non va proprio perché c’è sacrificio da parte di tutti”
Suor Lidia conosce bene il carcere e s cosa non va proprio. “C’è sacrificio da parte di tutti – dice – Ci sono tanti soldi spesi male perché non portano né gioia, serenità,…non producono niente. Spesso non c’è una reale riabilitazione”. Racconta della drammatica situazione che vivono i detenuti in carcere in troppi in spazi troppo piccoli. E fa un esempio: “A Poggioreale dove ci sono i reparti con meno detenuti e entra più luce si sta molto meglio, riescono anche a fare attività tutti i giorni tra cui pittura, teatro e giardinaggio. Sono una 40ina i detenuti. Così è più facile. Stanno sempre a lavorare a pulire,…Ma dove ci sono 300 detenuti è da impazzire”. Suor Lidia racconta che a Poggioreale c’è il detenuto più anziano d’Italia, ha 92 anni. Che senso ha tenerlo in carcere? Per la religiosa nessuno. “Portalo in una casa di riposo, ha la pensione – dice – E se non avesse la pensione ci sarebbe la Chiesa che aiuta economicamente anche chi deve fare visite specialistiche o ha semplicemente bisogno degli occhiali”. E il sacrificio per Suor Lidia lo fanno anche gli agenti della penitenziaria e il personale che lavorano in condizioni difficili.
Suor Lidia racconta anche di progetti che possono portare luce come quello supportato dalle suore per portare in carcere a Poggioreale la poesia. Un’esperienza che libera l’anima e contribuisce al cambiamento interiore. Così come la possibilità di laurearsi in carcere come succede al polo universitario che è già nel carcere di Secondigliano grazie alla Federico II di Napoli. “Non è tanto per la laurea in se ma per il movimento culturale che genera dentro ciascuno”.
“A Nordio direi: non perdere tempo con le carte, parti dalle persone”
“Io non mi sento di poter dare lezioni a nessuno, so solo che qualcosa deve cambiare – dice suor Lidia – ci sono persone che entrano in carcere per pene piccole, non potrebbero scontarle in altro modo?”. E pensa al sovraffollamento, alle violenze e alla terribile scia di suicidi in carcere. Una situazione drammatica e intollerabile. “A Nordio direi di non perdere tempo dietro a tutti questi regolamenti ma di ripartire dalle persone – conclude Suor Lidia – Con o senza Vangelo, con o senza Dio l’uomo deve riprendere il sapore della sua umanità”.