L'annuncio della candidatura
Giorgia Meloni e l’Europa: poche idee e ben confuse
L’evento è intitolato “L’Italia cambia l’Ue”, ma Meloni è spalle al muro: non ha i numeri per un candidato di parte e gli alleati sono antieuropeisti
Politica - di David Romoli
È cominciata ieri, e si concluderà domani con l’annuncio atteso della candidatura di Giorgia Meloni alle europee, capolista in tutte le circoscrizioni, e per politici e commentatori: il senso della convention programmatica di FdI è tutto qui. Il resto sono chiacchiere.
In realtà l’oggetto dell’assise di Pescara apertasi ieri pomeriggio un suo significato specifico ce l’avrebbe, o ce lo dovrebbe avere, anche a prescindere dall’annuncio di cui sopra. Si intitola infatti “L’Italia cambia l’Europa” e non è una novità scoprire che proprio l’Europa, un’idea di Unione europea, un progetto credibile per la sua necessaria rifondazione, sono le grandi assenti di questa eterna campagna elettorale per le elezioni europee.
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Su quel fronte la premier e futura candidata non sta messa bene, la partita, sin qui vincente, corre verso un passaggio stretto e delicato. A “cambiare l’Europa” infatti non potrebbe in nessun caso essere l’Italia da sola. Servirebbe la pressione politica di un gruppo europeo forte e ambizioso, competitivo con le grandi “famiglie” dei Popolari e dei Socialisti, del Ppe e del Pse.
Ma quel gruppo, i Conservatori europei dell’Ecr, esiste solo di nome e non di fatto. Tre giorni fa, nella riunione del gruppo a Strasburgo, gli italiani hanno dovuto alzare bandiera bianca e rinunciare allo Spitzenkandidat, il candidato di bandiera, per palazzo Berlaymont.
È vero che una candidatura di bandiera i Conservatori non la hanno mai presentata. Stavolta però per la premier italiana si sarebbe trattato di una via d’uscita comoda e necessaria. Le avrebbe permesso di non votare subito per Ursula von der Leyen, candidata del Ppe e sua strettissima alleata, al coperto dell’obbligo di votare per il proprio candidato.
Il tentativo di trovare un accordo con il Pis polacco però è fallito, il miraggio di uno Spitzenkandidat è svanito e Meloni dovrà affrontare una scelta difficile. Perché la presidente uscente che vuol succedere a se stessa è alleata della conservatrice italiana, non degli alleati polacchi o spagnoli, quelli di Vox, che di Ursula non vogliono saperne.
Sarebbe un problema comunque ma di dimensioni contenute se non fosse che riflette una divaricazione crescente su temi ben più fondamentali. Meloni ha bocciato il solo candidato di bandiera che i polacchi avrebbero accettato, l’ex ministro Jacek Saryusz-Wolski, proprio perché troppo antieuropeo.
È vero infatti che gli slogan dei conservatori continuano a martellare sulla parola d’ordine “Meno Europa” ma non è chiaro come si possa conciliare una simile linea con l’accoglienza del tutto positiva riservata dal governo italiano ai report di Enrico Letta e soprattutto di Mario Draghi, che sono marcati a fondo dall’orizzonte opposto: “Più integrazione”.
Anzi “Molta più integrazione e subito”. Sui conti, come dire sul rigore e sull’austerità, il discorso non cambia. Il governo di Roma ha accettato, ma in realtà ha dovuto subire con la luger tedesca alla tempia, il nuovo Patto di Stabilità.
Poi, in europarlamento, i gruppi della maggioranza italiana si sono astenuti, segnalando così quanto poco ritengano soddisfacenti quelle regole che in realtà sono un capestro. Molti partiti nazionali aderenti ai Conservatori però hanno invece votato a favore, essendo gli interessi nazionali per definizione “prevalenti” di segno opposto Paese per Paese.
Chiusa in questa contraddizione Meloni dovrà trovare una via d’uscita subito dopo le elezioni. Fino a quel momento potrà cavarsela puntando su una nuova maggioranza di centrodestra a Strasburgo. Che poi ci creda davvero, naturalmente, è un altro discorso.
Ma quando sarà palese che i numeri per quel ribaltone non ci sono sgusciare diventerà difficile. La premier italiana però sa di non potersi permettere lo slittamento sulle posizioni antieuropeiste del passato d’opposizione. Lo sdoganamento a Bruxelles e Washington è il solo vero successo che abbia colto da quando abita palazzo Chigi.
Tornare indietro è fuori discussione. Anche perché in caso di retromarcia scomparirebbe ogni differenza con il gruppo radicale e compiutamente antieuropeo di Identità e Democrazia, quello della Lega.
Almeno in una circoscrizione la leader di FdI dovrà fronteggiare la sfida diretta di chi mira a raccogliere voti proponendosi come più a destra di lei: Salvini e il suo candidato Roberto Vannacci. Per ora la collocazione del graduato autore di Il mondo al contrario è indefinita.
In realtà è quasi certo che sarà presente in tutte le circoscrizioni ma capolista solo al Centro. Un piazzamento eminente e privilegiato nelle due circoscrizioni scatenerebbe subito, nel Carroccio, una notte dei lunghi coltelli che arriverà comunque se il risultato delle europee sarà infausto.
Per sovvertire quell’esito, che oggi pare scontato, a Salvini non resta altro che sperare in un successo clamoroso del suo “indipendente” che incarna l’anima più reazionaria della destra. In una sfida diretta con la Conservatrice ormai di fatto quasi moderata.