Il romanzo e la storia
Gianluca Peciola e Anna Laura Braghetti: storie di famiglia e lotta armata
Gianluca Peciola, militante politico di sinistra ed ex ragazzino della Garbatella, ha scritto un romanzo che in realtà racconta la storia della sua famiglia. Quel tumulto politico ed esistenziale visto con gli occhi di un bambino
Cultura - di Massimiliano Smeriglio
Il romanzo di Gianluca Peciola (“La linea del Silenzio. Storia di famiglia e di lotta armata”, Solferino) è romanzo coraggioso, senza veli e sovrastrutture, scarno, dritto al punto, capace di ridare valore alle parole nascoste, di svelare i non detti. Una scrittura che convince e accompagna dentro una storia importante.
Conosco Gianluca da una vita intera, abbiamo per lunghi anni militato nella medesima area politica. Poi ad un tratto, come succede spesso nella vita ci siamo allontanati, e poi di nuovo riavvicinati per affrontare la vicenda di un padre, Roberto Salis, alle prese con una ingiusta carcerazione della figlia Ilaria.
Riprendendo a parlare, di un padre e di una figlia, ci siamo confessati che entrambi stavamo lavorando a storie che ci riguardavano da vicino, relative ai nostri interni familiari, ai nostri padri fantasma.
Una casualità che sa di rendiconto, di messa a nudo, di storie minute che hanno incrociato la grande storia, dolori intimi e tragedie nazionali. Gianluca, con perizia e intensità, racconta la sua traiettoria personale e politica.
Lo fa utilizzando lo sguardo curioso di un bambino in pieno apprendistato, dentro una gerarchia familiare larga e confusa. Lo fa con ago e filo cercando di ricucire una mappa spendibile, dove regna la confusione circa i ruoli familiari: padre, cugina, sorella. Un lavoro di ricostruzione e decostruzione dello stigma della vergogna.
“Nella mia cerchia parentale stretta qualcuno aveva deciso di sfidare ai massimi livelli lo Stato, rischiandosi a prendere le armi e sparare e uccidere”. Appicciando un fuoco che, tra furori di lotta armata, e piccole tragedie quotidiane, durerà una intera esistenza.
Il contesto è quello di una famiglia popolana romana, insediata in una delle tante periferie della città. Periferie mosse dove tutto si tocca: dall’aristocrazia alla borghesia fino alle case delle classi proletarie.
Una famiglia con codici linguistici che affondano nella dimensione più arcaica del novecento e che, come tante altre, nella seconda metà del secolo breve decide di appartenere ad una grande storia, quella del movimento operaio e comunista italiano.
Come fosse una chiesa capace di dispensare parole, identità, pene e assoluzioni. Siamo direttamente dentro il fuoco degli anni settanta, un incendio che coinvolgerà direttamente i figli di questo mondo, fino a quel momento ordinato, in attesa del sol dell’avvenire.
Un vero e proprio album di famiglia, di famiglia con i ricordi, i racconti addomesticati e le foto in bianco e nero. E di famiglia politica, quella variegata e conflittuale della sinistra rivoluzionaria italiana. Gli occhi del protagonista bambino cercano intorno, e si posano spesso sulle assenze.
Di un padre fantasma morto in condizioni e tempi non ben identificati. Di una strana cugina piuttosto presente che poi nel corso della storia diventerà altro. Le cose normali, una gonna orientale molto colorata e una camicia bianca con richiami a fiori sulla scollatura, e l’indicibile che pian piano si afferma.
Nonostante lo sforzo di mantenere l’attenzione sugli interni, i pranzi, le cene, le perle di saggezza popolare dei parenti, l’attenzione pruriginosa sulle amicizie di Laura. La cugina a tempo determinato.
La linea del silenzio è un viaggio nella omertà più profonda, nei legami ancestrali capaci di mantenere fede a patti e segreti. Ma anche legami affettivi, solidali, forti, governati da un matriarcato di fatto. La storia ci consegna almeno un paio di colpi di scena ben architettati dall’autore e dalla vita.
La identificazione di un volto di padre, inteso come zio per molto tempo, la riconciliazione con una sorella contrassegnata da un altro cognome. La cugina sorella alle prese con la stagione più cruenta della lotta armata in Italia. Rapimento e gestione di Aldo Moro compresa. Compreso il sangue, le vittime, i sommersi, i carnefici, i sopravvissuti.
Una lunga scia di eventi che farà incrociare la storia familiare con la grande storia nazionale. Dalla latitanza, alle azioni delle Brigate rosse, all’arresto di Laura, alla lunga stagione della carcerazione, dal carcere speciale di Voghera passando per Latina fino a Rebibbia come fosse un cammino a ritroso, lento, inesorabile verso la riconciliazione.
Gianluca cresce con questo ingombro, anzi con due, e pian piano per approssimazioni e sportellate trova il suo posto nel mondo. Un posto nella militanza più estrema, distinto, separato e opposto alle scelte della propria famiglia e della sorella ritrovata, eppure così intimamente dentro la storia dei comunismi variamente intesi.
E utilizzerà per contrasto questa nuova appartenenza per misurare vicinanze e distanze dalla condizione familiare di partenza e dai colloqui in carcere con Laura. Vincendo pian piano la consegna al silenzio. Dopo essere venuto a capo anche dell’enigma maggiore, quello relativo al profilo del padre.
“Tuo padre è zio Giorgio” disse
“ti dispiace?”
“no“ le risposi
“Mia madre, l’espressione stanca mi sorrise. Dall’altra parte del marciapiede trovai un padre, un fratello e una sorella. Insieme all’impossibilità di dirli”.
Ad un certo punto le storie si mischiano tutte, quella grande, quella piccola, quella lunga del novecento, quella corta degli anni 70/80, quella familiare e quella nazionale. Un gran caos che ha smosso violentemente l’anima del protagonista.
E c’è anche un’altra storia, quella dei dialoghi dietro le sbarre, omissivi e ruvidi all’inizio, violenti nel mentre si configurava l’idealità militante di Gianluca, fino ai respiri, alle carezze e ai sorrisi di un lungo lunghissimo viaggio verso il ritorno alle relazioni vitali che contano. Un giacimento emotivo riscoperto giorno dopo giorno.
Una storia di classe, un romanzo che appartiene e rivendica la storia dei vinti, disseppellisce e riconsegna la sua straordinaria volontà di cambiare l’ordine delle cose. E persino degli affetti. E Gianluca si mette lì, nel mezzo, dove il personale e il politico si toccano. Osserva, racconta, mette in piedi la sua traiettoria di liberazione e consapevolezza. Prendendosi tutte le pagine e tutto il tempo che serve.