Non è un fuoco di paglia. È una protesta che si allarga sempre più. Nelle Università, almeno 55 – tra le quali la New York University, Yale, la Columbia University, Berkley, il Mit di Boston, la Tufts, l’University of North Carolina, la California Polytechnic State University – e anche fuori.
Sono almeno 200 gli studenti asserragliati all’ingresso della Hamilton Hall, l’edificio del prestigioso campus newyorkese dove continua la tensione dopo che gli studenti hanno rifiutato l’ultimatum dato dalla presidente della Columbia Nemat Minouche Shafik che intimava di sgombrare entro le otto di sera di ieri l’accampamento pro-Gaza.
Secondo quanto ha riferito alla Cnn John Towfighi, uno studente, non ci sono segni visibili al momento di presenza delle forze dell’ordine. L’Hamilton Hall è uno dei principali edifici per i corsi undergraduates e dove si trova l’ufficio del preside, ed ha un valore fortemente simbolico dal momento che fu occupato durante le proteste del 1968 contro la guerra del Vietnam.
Poi fu occupato di nuovo nel 1980 durante il movimento di protesta per tagliare i legami con il Sudafrica dell’apartheid. Dalle immagini diffuse da Freedom News Tv nel corso della notte scorsa, quando gli studenti si sono spostati dall’accampamento sul prato centrale del campus alla Hamilton Hall si vede che oltre alle diverse decine di persone asserragliate all’ingresso, vi sono anche decine di studenti all’interno dell’edificio dove una bandiera palestinese è stata issata su una finestra.
Intanto, l’università ha reso noto di aver sospeso gli studenti che non hanno rispettato l’invito a sgomberare. “Molte persone che vedete qui oggi sono ebree”, ha detto a Cbs News un manifestante della Columbia “l’antisionismo e l’antisemitismo sono due cose molto diverse”.
Manifestazioni simili si sono verificate in tutti gli Stati Uniti da quando la polizia ha sgomberato un altro campo alla Columbia questo mese.
L’Onu ha espresso preoccupazione per le misure adottate per disperdere e smantellare le proteste filopalestinesi nei campus universitari degli Stati Uniti.
«Sono preoccupato che alcune delle azioni delle forze dell’ordine in una serie di università appaiano sproporzionate nel loro impatto», ha affermato Volker Turk, capo dei diritti umani delle Nazioni Unite.
«La libertà di espressione e il diritto di riunione pacifica sono fondamentali per la società, in particolare quando c’è un forte disaccordo su questioni importanti, come in relazione al conflitto nei Territori palestinesi occupati e in Israele», ha aggiunto.
A fianco degli studenti si è schierata Naomi Klein, che ha partecipato al Sader in the Street tenutosi a Brooklyn lo scorso 23 aprile: “Non abbiamo bisogno né vogliamo il falso idolo del sionismo. Vogliamo svincolarci dal progetto che commette un genocidio in nostro nome”.
È un passaggio dell’articolo pubblicato su The Guardian: “[…]Il sionismo è un falso idolo che ha tradito ogni valore ebraico, compreso il valore che attribuiamo alla messa in discussione (una pratica incorporata nel Seder con le sue quattro domande poste dal bambino più piccolo), compreso l’amore che abbiamo come popolo per il testo e per l’istruzione.
Oggi questo falso idolo giustifica il bombardamento di ogni università di Gaza; la distruzione di innumerevoli scuole, archivi e tipografie; l’uccisione di centinaia di accademici, giornalisti e poeti – questo è ciò che i palestinesi chiamano “scolasticidio”, l’uccisione dei mezzi di istruzione.
Nel frattempo, in questa città, le università chiamano in causa la polizia di New York e si barricano contro la grave minaccia rappresentata dai propri studenti che osano porre loro domande basilari, del tipo: come potete affermare di credere davvero in qualcosa, men che meno in noi, mentre permettete, investite e collaborate con questo genocidio?
Per troppo tempo si è permesso che il falso idolo del sionismo crescesse incontrollato. Allora stasera diciamo: finisce qui. Il nostro giudaismo non può essere contenuto in uno stato etnico, poiché il nostro giudaismo è internazionalista per natura.
Il nostro giudaismo non può essere protetto dall’esercito infuriato di quello stato, perché tutto ciò che fa l’esercito è seminare dolore e raccogliere odio – anche contro di noi come ebrei.
Il nostro ebraismo non è minacciato da persone che alzano la voce in solidarietà della Palestina al di là di razze, etnie, abilità fisiche, identità di genere e generazioni.
Il nostro ebraismo è una di quelle voci e sa che in quel coro risiedono sia la nostra sicurezza che la nostra liberazione collettiva. Quindi guardatevi intorno. Questo qui è il nostro giudaismo. Mentre le acque si alzano e le foreste bruciano e nulla è certo, preghiamo sull’altare della solidarietà e dell’aiuto reciproco, qualunque sia il costo[…]
Non abbiamo bisogno né vogliamo il falso idolo del sionismo. Vogliamo svincolarci dal progetto che commette un genocidio in nostro nome. Svincolarci da un’ideologia che non ha alcun piano per la pace, se non accordi con i petro-stati teocratici e assassini della porta accanto, per vendere le tecnologie degli omicidi robotici al mondo”.