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Primo maggio, l’unità sindacale bene prezioso decisivo per vincere le battaglie dei lavoratori

Primo maggio, l’unità sindacale bene prezioso decisivo per vincere le battaglie dei lavoratori

Il Primo Maggio verrà celebrato unitariamente dai sindacati a Monfalcone, con la presenza dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Landini, Sbarra e Bombardieri.

Si tratta di un bel segnale, nonostante le divisioni registrate nel confronto con il Governo che vedono schierate, da un lato, Cgil e Uil, maggiormente critiche sulle scelte dell’Esecutivo e, dall’altro, la Cisl, che ha assunto un atteggiamento più dialogante.

Un bel segnale di speranza che ci riporta alle parole di Giuseppe Di Vittorio, il primo segretario generale della Cgil del dopoguerra: “Lavorate sodo, dunque, e soprattutto lottate insieme, rimanete uniti. Il sindacato vuol dire unione, compattezza. Uniamoci con tutti gli altri lavoratori: in ciò sta la nostra forza, questo è il nostro credo.”

Queste parole furono pronunciate da Di Vittorio all’inaugurazione della nuova Camera del Lavoro di Lecco, il giorno prima della sua morte avvenuta il 3 novembre del 1957.

È bene ricordare sempre, in particolare in occasione del Primo Maggio, questa idea di unità delle forze del lavoro. Questa affermazione, così semplice e diretta, ci aiuta a tenere la barra del timone nella giusta direzione.

Ce n’è un gran bisogno in una fase storica inquieta e caotica come questa. Ce lo dimostra il discorso tenuto da Mario Draghi, il 17 aprile, alla Conferenza di alto livello sul Pilastro Europeo dei Diritti Sociali.

Draghi, rivolgendosi a una platea di parti sociali, ha fotografato il contesto globale di durissimo confronto tra potenze economiche come Stati Uniti e Cina che nulla risparmiano per conquistare la supremazia economica e, perciò, politica nel mondo.

“I nostri rivali – così ha affermato concludendo la sua dissertazione – ci stanno precedendo perché possono agire come un unico Paese con un’unica strategia e allineare dietro di essa tutti gli strumenti e le politiche necessarie. Se vogliamo eguagliarli, avremo bisogno di un rinnovato partenariato tra gli Stati membri, una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che fecero i Padri Fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio.”

Ebbene, come mantenere la priorità e la nobiltà della funzione del lavoro richiamate da Di Vittorio sessantasette anni fa, in tale contesto? Poche settimane fa Torino ha offerto uno spettacolo impressionante.

Senza distinzioni, operai, impiegati e quadri di Stellantis e dell’automotive comprendente tutto l’indotto, hanno manifestato in difesa della produzione automobilistica nel capoluogo piemontese, insieme ai sindacati, tutti. Con loro c’era l’intera città: le Istituzioni e una quantità di associazioni che rappresentava l’insieme delle forze produttive.

Di fronte all’insidia di un collasso dell’industria automobilistica, non solo a Torino, ma nell’intero Paese, la scintilla dell’unità delle forze produttive è scoccata con forza.

È alla big picture, alla visione d’insieme, che le forze sindacali devono saper guardare raccogliendo anch’esse, così come devono fare le Istituzioni, l’invito di Draghi non meno della lezione di Di Vittorio.

Nella mia attività di sindacalista sono sempre stato un convinto sostenitore dell’unità sindacale ed essa è oggi più necessaria che mai. La vicenda di Stellantis e dell’ILVA, così come la lotta globale per la supremazia nell’innovazione tecnologica e industriale, ci dice che il conflitto si svolge su scala globale.

Ma in questo momento storico è evidente che i sindacati mantengono l’unità in alcuni contesti e non in altri. L’hanno mostrata a Torino. La praticano nei rinnovi contrattuali come è stato, ad esempio, di recente, per il settore bancario, del commercio e di altre categorie.

E, allo stesso modo, si affronteranno unitariamente i rinnovi di altri rilevanti contratti come quello dei metalmeccanici che è ai nastri di partenza.

Per converso, l’unità si è rotta nel confronto con il Governo e tale frammentazione del dialogo sociale non è, evidentemente, un bene per il lavoro né, in generale per il Paese, data, tra l’altro, la dimensione delle sfide da affrontare.

Basti pensare a tutti i temi di natura sociale che devono misurarsi con lo stato disastrato dei conti pubblici, come lavoro, pensioni, sanità, cuneo fiscale.

Abbiamo davanti mesi assai difficili che condurranno alla legge di Bilancio per il 2025, pesantemente condizionata dal fardello debito-deficit che non rischia di pesare, soprattutto, sulle spalle dei lavoratori e di pensionati.

E sul fatto che il Governo ormai si sia abituato a comunicare a cose fatte le sue decisioni, senza un minimo di confronto preventivo, tutti i sindacati sono d’accordo.

Si vedano i Decreti del “Primo Maggio”, varati dal Consiglio dei ministri l’anno scorso e quest’anno che hanno per oggetto i temi del lavoro. Misure che vanno nella direzione di scelte storiche della sinistra, come ad esempio un sostegno fiscale alle imprese quando assumono a tempo indeterminato, ma che hanno il difetto di essere temporanee.

Mentre a fine anno scade l’agevolazione del cuneo fiscale che non è detto che possa essere rinnovata. In cambio: 100 euro (lordi o netti?) una tantum in busta paga per i lavoratori con reddito fino a 28.000 euro (un aumento di 8,3 euro al mese, che mi fanno rimpiangere una delle poche misure buone del Governo Renzi, l’aumento mensile di 80 euro in busta paga).

Dunque, ancora una volta misure spot, mentre sarebbe necessario adottare soluzioni strutturali che diano certezze alle imprese e ai lavoratori.

Ancor più, tornando al tema della contrattazione, si deve puntare un faro sui suoi livelli. Molti, oggi, sostengono che la contrattazione decentrata sia l’unico modo per recuperare spazio ai salari. E la questione salariale è centrale in questo momento nel quale il potere d’acquisto in Italia è tra i più bassi tra quelli dei Paesi sviluppati.

Il contratto di secondo livello è uno strumento effettivo per i settori più ricchi e nelle aziende più innovative, il numero delle quali è davvero ristretto.

Si tratta di imprese come Cucinelli, Luxottica, Italo, Lamborghini, Ferrari, le grandi utility e di una serie di aziende di medio-grande dimensione.

Dunque, sul piano salariale e non solo, è una parte decisamente minoritaria di lavoratori che può giovarsi della contrattazione di secondo livello e del welfare aziendale: secondo i dati dell’INPS, si tratta del 9% della forza lavoro.

Per chi lavora nella stragrande maggioranza delle imprese, che sono piccole o micro, tale opportunità semplicemente non esiste. Lo strumento cardine rimane perciò il contratto nazionale, se si vuole una redistribuzione universale di risorse a favore del potere d’acquisto di tutte le retribuzioni in un momento di ancora alta inflazione.

Così come bisogna considerare l’irruzione di altri contenuti, fondamentali come quello della digitalizzazione dei processi produttivi e della Intelligenza Artificiale.

Voglio chiudere tornando al contesto europeo proprio su un aspetto della digitalizzazione. Recentemente è stata emanata una Direttiva dell’Unione che riguarda i lavoratori delle piattaforme digitali.

Non solo i rider, ma anche autisti Uber, traslocatori, domestici, operatori di servizi professionali, assistenti domiciliari all’infanzia e per la salute e via elencando.

Ebbene, nel 2022, in Europa la manifattura contava 29 milioni di attivi e le piattaforme della Gig Economy ne sommavano 28. Nelle proiezioni dell’Ue, nel 2025 le piattaforme impiegheranno 43 milioni di lavoratori.

Dunque, in base ai diritti del lavoro di 27 Paesi diversi, si dovrà stabilire la condizione di questa enorme platea di lavoratori e inquadrarli, per via contrattuale, rispetto a imprese che non conoscono confini.

Un’altra gigantesca sfida per il sindacato tra le tante di natura globale. “Il sindacato vuol dire unione, compattezza.” Più che mai, oggi, è necessario raccogliere la lezione di Di Vittorio. Buon Primo Maggio!