Il voto inglese
Intervista a Donald Sassoon: “Elezioni in Inghilterra, Sunak perderà ma il Labour non ha grandi meriti”
«Il flop delle amministrative è storico, in 14 anni i conservatori non hanno fatto nulla di popolare. La Brexit ha diviso i cittadini e pure il partito. L’economia fa acqua da tutte le parti. Ma il Labour non ha grandi meriti. Sadiq Khan ha vinto al di là della sua appartenenza politica»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
La disfatta Tory alle elezioni amministrative in Inghilterra e Galles, la rivolta dei campus. Temi di stringente attualità. L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli storici inglesi e della sinistra europea: il professor Donald Sassoon, allievo di Eric J. Hobsbawm, professore emerito di Storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra, autore di numerosi libri di successo sulla realtà politica, culturale ed economica europea, tradotti in più di dodici lingue.
Professor Sassoon, alle elezioni amministrative il Partito conservatore del premier Rishi Sunak ha subito una pesante sconfitta…
Sconfitta è un eufemismo. Dati alla mano, i Tories hanno subito un flop storico, il peggiore risultato elettorale da quarant’anni.
Fotografia dei dati: il Partito conservatore ha perso quasi 500 consiglieri e il controllo di 12 consigli municipali, nonché un seggio parlamentare a Blackpool South, in una elezione suppletiva necessaria dopo le dimissioni di un deputato conservatore implicato in uno scandalo. Gravi sconfitte anche nelle città in cui si votava per rinnovare il sindaco: Liverpool, Manchester e soprattutto Londra, dove il primo cittadino Sadiq Khan è stato confermato per il terzo mandato…
Beh, se non è una disfatta questa…
Cosa c’è alla base di questo tracollo?
Le cause sono molteplici. In primo luogo, i Tories sono al governo da 14 anni. Giulio Andreotti, che di governi se ne intendeva, ha lasciato alla storia il celebre assunto che il potere logora chi non ce l’ha. Noi dovremmo aggiungere che il potere logora anche quelli che lo detengono troppo a lungo. In questi 14 anni, non ci sono stati cambiamenti popolari. Il più importante è stata l’uscita dall’Unione Europea, una cosa che divide non solo la popolazione ma anche il Partito conservatore, perché c’erano molti conservatori che volevano rimanere nella Ue.
Dopo 14 anni, non c’è molto di cui vantarsi. Poi c’è anche il fatto che in questi anni la Gran Bretagna ha battuto l’Italia in uno “sport” in cui la politica italiana sembrava imbattibile…
Vale a dire?
Il cambio di primi ministri. Guardando alla Gran Bretagna, c’è da dire che alcuni di questi premier erano francamente ridicoli. Mi riferisco soprattutto a Boris Johnson e Liz Truss. L’idea che i conservatori siano efficienti, stabili, al contrario dei laburisti, è stata profondamente intaccata dalla realtà politica di questi 14 anni. A tutto ciò va aggiunto che l’economia britannica fa acqua da tutte le parti. Anche se il Partito conservatore ripete stancamente di essere il partito che vuole diminuire le tasse, in realtà le tasse sono aumentate. Per di più ci sono problemi gravissimi che investono, letteralmente, la vita delle persone. Penso al National Health Service, il servizio sanitario nazionale, che funziona malissimo. Questo è il combinato disposto che spiega il tracollo Tory in queste elezioni. Fattori politici, sociali, economici strutturali che fanno sì di ritenere con pochi margini di dubbio, che i Tories perderanno le prossime elezioni legislative da svolgere prima di dicembre.
Le debolezze del Partito conservatore le ha chiarite perfettamente. Quanto c’è invece di suo merito nel risultato del Labour Party in rapporto alla disfatta dei conservatori?
Direi molto poco. Potrebbe “vantarsi”, tra virgolette, di essere diventato un partito “ragionevole”, pragmatico, e non più il Labour radicale di Jeremy Corbyn. Ma bisognerebbe anche ricordarsi che Corbyn nelle elezioni del 2017, aveva ottenuto il 40% dei voti, pur non vincendo. E anche nella dura sconfitta del 2019, il Labour con lui alla guida aveva ottenuto il 34%. Secondo gli esperti, se i risultati delle recenti amministrative venissero proiettati sulle prossime politiche, cosa poco probabile perché non molti votano, il Partito laburista rimarrebbe sul 34 massimo 36%. Con un sistema elettorale come quello britannico, il partito che stravince nel numero dei deputati e dei seggi, non è necessariamente un partito che ha la maggioranza assoluta dei voti. Neanche Tony Blair l’aveva, attestandosi sempre sul 34-36%. Il Labour Party non è andato avanti. Sono i Tories ad essere andati indietro. Perdendo voti non solo verso i liberali, ma anche verso i Verdi che in queste ultime elezioni sono diventati il terzo partito, e hanno perso voti anche in direzione del Reform Uk party, un partito sovranista di estrema destra.
Un risultato molto significativo è la conferma a Londra, per il terzo mandato, del sindaco laburista Sadiq Khan.
Ha vinto in modo netto. Lui è stato visto come una figura popolare molto al di là dell’appartenenza partitica. Per la sua politica e non perché esponente del Labour. Quelli che non lo amano, sono coloro che sono contrari alle sue disposizioni contro un uso eccessivo delle automobili, soprattutto quelle inquinanti. Quelli che lo sostengono sono in grandissima parte coloro che pensano, a ragione, che l’aria di Londra è migliorata enormemente e che questo è merito suo. Per il lettore italiano va detto che il sindaco di Londra ha scarsi poteri, inerenti soprattutto sui trasporti e la polizia locale. Non ha alcun potere sulle scuole, la sanità…Non è come il sindaco di Roma, di Milano etc.
Londra, e qui ci inoltriamo in un altro tema di strettissima attualità, è stata la “capitale” delle manifestazioni propalestinesi, che oggi investono i campus universitari non solo degli Stati Uniti ma di mezzo mondo. Da storico e da docente di un prestigioso college, che idea si è fatto di questa rivolta?
Le manifestazioni su Gaza a Londra sono state enormi. Hanno luogo ogni due settimane, con altre iniziative nell’arco di quei 14 giorni di mezzo. Diversamente dagli Stati Uniti, quelle di Londra e anche di altre città britanniche, non sono manifestazioni studentesche, o non solo studentesche, sono molto più variegate, dal punto di vista sociale, culturale, anagrafico. In quelle a cui ho partecipato, ho marciato con Jewish Block, con gli ebrei che si discostano dalla politica d’Israele, con lo slogan “not in our name”. E ci sono anche molti musulmani. In Gran Bretagna, la maggioranza dei musulmani vota per il Partito laburista, ma le posizioni filoisraeliane assunte dal leader del Labour, Keir Starmer, hanno fatto sì che molti musulmani non hanno votato laburista e probabilmente non lo voteranno alle prossime legislative. Questo non vuol dire che il Labour non vincerà ma che non lo farà con una schiacciante maggioranza come avrebbe potuto.
Professor Sassoon che idea si è fatto di quel che sta avvenendo negli Stati Uniti?
Si tratta di una novità importante. Finora, era difficile per la gente prendere una posizione antisraeliana, per il fatto che non volevano essere tacciati di antisemitismo. Qui c’è, a mio avviso, una grande differenza con le manifestazioni di anni fa sul Vietnam. Quando si manifestava sul Vietnam, non c’era una componente, negli stessi Stati Uniti, che difendeva a forte voce l’intervento americano. Il Vietnam non spaccava comunità intere. La Palestina, invece, spacca comunità intere. Mi riferisco non solo e tanto agli studenti ebrei filosionisti, vi sono anche studenti ebrei sul fronte opposto, quanto ai cristiani evangelici che sono la maggioranza dei filosionisti negli USA. Gli studenti, manifestando in modo aperto e accusando Israele di genocidio, in un certo senso affermano di non sentirsi “ostaggi” dell’infamante accusa di antisemitismo. Questo è il calcolo politico, ed elettorale, che Biden non ha saputo fare.
Questo calcolo sbagliato può costare la rielezione a Biden?
Questo rischio esiste. Così come sono sicuro che il Labour Party vincerà le prossime elezioni, Gaza o non Gaza, la stessa sicurezza non la si ha per le presidenziali americane di novembre. I sondaggi danno Trump e Biden a uno-due punti di distanza. Ma sulla questione palestinese non ci sono, nei fatti più che nelle dichiarazioni, grandi differenze tra i due. Tutti e due sono dalla parte d’Israele. La cosa che preoccupa Biden è il fatto che Israele, in particolare Netanyahu, non sembra aver minimamente paura che dopotutto sono gli americani che forniscono l’armamentario bellico a Israele e dunque l’incrinatura nelle relazioni potrebbe rimetterlo in discussione. Netanyahu va sul sicuro. Sta a Biden dimostrare il contrario.
Professor Sassoon, la rivolta nelle università, molte delle quali, non solo negli Stati Uniti, sono quelle in cui si formano le future classi dirigenti, non è il segno di qualcosa che va oltre la Palestina?
Può esserlo negli Stati Uniti e anche in Francia, dove le manifestazioni propalestinesi sono state soprattutto se non totalmente studentesche. Altra cosa è la Gran Bretagna, manifestazioni che vedono la partecipazione di persone di generazioni ed estrazione sociali diverse. Bisogna vedere se negli Stati Uniti ciò che sta avvenendo nelle università si sposterà al di fuori coinvolgendo, come sta avvenendo in Gran Bretagna, altri settori della popolazione.
Tornando in ultimo al voto inglese. C’è in esso anche il segno della crisi di una idea sovranista che fu alla base della Brexit?
Su questo ultimo assunto mi permetta di dissentire. La Brexit è accettata anche dal Labour Party. I laburisti non hanno neanche chiesto l’ingresso del Regno Unito nel mercato unico dell’Unione europea. Ormai la Brexit è fatta, con le conseguenze negative che molti di noi si aspettavano. Il problema che dovrà affrontare il governo laburista dopo le prossime elezioni è cercare di riparare i danni economici che 14 anni di governi conservatori hanno provocato. Questo non sarà facile, soprattutto perché il Labour e chi lo dirige è terrorizzato dall’idea di essere visto come un partito di sinistra, non capendo che la gente è stufa della solita politica ed è per questo, e la cosa non riguarda soltanto la Gran Bretagna ma anche altri paesi europei, tra cui l’Italia, la gente s’indirizza verso partiti tutt’altro che di centro o tradizionali. Essere un po’ “radical” non è una bestemmia politica. Ma prendere a volte decisioni coraggiose.
Ad esempio?
Resto sulla Gran Bretagna. Uno dei motivi d’insoddisfazione più diffuso riguarda le privatizzazioni portate avanti, soprattutto quelle delle ferrovie e delle acque. Perfino il Labour Party su questo sta cercando di fare marcia indietro, e se non di rinazionalizzare il tutto, almeno di trovare una via intermedia. Si comincia a capire che ci sono settori dell’economia che è meglio che rimangano o diventino parte del sistema pubblico, statale. L’acqua, la sanità, i trasporti, devono essere visti e trattati come beni pubblici, comuni. Che, come tale, rispondano agli interessi della collettività e non degli azionisti. Questo non significa essere prigionieri del passato e di vecchi armamentari ideologici. Significa investire sul futuro. Liberandosi, come ho scritto in un mio libro, di uno dei “sintomi morbosi” che hanno segnato gli ultimi decenni: l’idolatria del mercato iperliberista.