Primo maggio? Era teatro
Strage di Palermo, tra le cinque vittime un uomo di 71 anni: non è l’età giusta per scendere nei tombini
Sono morti cinque tra operai e tecnici. Uno è in fin di vita. Si erano calati per un lavoro nelle fogne. Soffocati dal gas. Non facciamo in tempo a ricordare una strage sul lavoro che ne arriva una nuova a farci sobbalzare...
Editoriali - di Piero Sansonetti
Epifanio Alsazia aveva 71 anni. Cosa ci faceva a lavorare e a cercare di sistemare le cosiddette acque reflue in fondo a una fogna? Non lo sappiamo, possiamo solo capire che è una follia.
Degli altri quattro operai e tecnici morti soffocati nel sottosuolo di una cittadina a due passi da Palermo sappiamo solo i nomi: Giuseppe Miraglia, Roberto Raneri, Ignazio Giordano e Giuseppe La Barbera. Probabilmente Ranieri era cinquantenne e Giordano aveva 60 anni.
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Non erano ragazzi. Lavoravano per la «Quadrifoglio Group», azienda che opera per conto di Amap, la società di Palermo che gestisce le condotte idriche e fognarie in città. La strage è avvenuta a Casteldaccia.
Si sono calati uno dopo l’altro, per fare il loro lavoro nella rete fognaria. Non si sa per quale ragione ci fosse una perdita di gas, o qualcosa del genere, che prima li ha storditi e poi uccisi. Probabilmente si sono calati nella fogna uno ad uno. E ciascuno di loro è sceso per cercare di salvare i compagni. Non ce l’ha fatta.
Un sesto operaio è stato salvato dai pompieri. Aveva perso i sensi, era quasi soffocato. È stato intubato lì sul posto, perché nel frattempo era arrivata una ambulanza. Non sappiamo se si salverà. Non conosciamo il suo nome. Poi c’era un settimo operaio che si è accorto di quello che stava succedendo e ha dato l’allarme. Sono arrivati i vigili del fuoco con le maschere antigas. E lui almeno si è salvato.
Non facciamo in tempo a ricordare una strage sul lavoro che ne arriva una nuova a farci sobbalzare. Tanto ormai si sa. Di quei due o tre operai che, in media, ci lasciano la pelle tutti i giorni, un po’ ce ne freghiamo. Sono fatti ripetitivi. Non richiamano l’attenzione. Si sa.
È quando sale il numero delle vittime, tutte nello stesso posto, nello stesso incidente, che la stampa si dà una mossa. Neanche noi sfuggiamo a questo meccanismo. Difficile sfuggire. La verità è che le situazioni cristallizzate non interessano mai la stampa. Sono fuori dai meccanismi della notizia e dello scandalo.
Non è uno scandalo, non è una notizia, che quasi 1000 operai, o tecnici, o lavoratori autonomi, paghino ogni anno con la vita il diritto al lavoro. I giornali e le Tv non hanno spazio per loro. Quella cifra fa parte dell’ordinario. È il prezzo fissato dal nostro sistema di produzione. È un pezzo del costo del lavoro.
Il costo del lavoro è formato da tanti elementi: la paga, i costi della pensione, l’accantonamento della liquidazione, le tasse, e poi il rischio. Il rischio varia da lavoro a lavoro. I lavori meno pagati di solito sono i più pericolosi. Diciamo che è più probabile che si faccia male o muoia un operaio alla catena di montaggio piuttosto che un supermanager inciampi nella moquette del suo ufficio.
Una parte dei costi del lavoro non è uguale per tutti. C’è il lavoro mero. Lì non c’è pensione, non c’è liquidazione, non ci sono tasse. Il lavoratore costa meno. E solitamente ha anche meno sicurezze tecniche. Nei cantieri edili succede spessissimo che il lavoratore non sia in regola. E rischia tantissimo in cantiere.
All’imprenditore costa un po’ meno, e lui ha qualche possibilità in più di morire. Il lavoro edile è il più pericoloso di tutti. Da sempre. Adesso state tranquilli. Ci sarà il giusto coretto delle condoglianze. I governanti, i presidenti, le autorità diranno la loro. Contriti. Indignati. Però, vedrete, non si farà molto.
Dalla tragedia della diga in Emilia Romagna è passato neanche un mese. Lì sono morte sette persone. Vedete tracce sui giornali? O sapete di qualche iniziativa legislativa, vi risulta che è stato aumentato il numero degli ispettori del lavoro?
Macché. Non si è mossa una foglia. Non siamo ipocriti: l’opinione pubblica pensa che in fondo mille sia un prezzo giusto. Mille morti e 3 o 400mila feriti. Evitarli costerebbe troppo. Il Pil si ridurrebbe. Voi volete che si riduca il Pil? Che l’Italia sia superata dalla Spagna? Lo so che non lo volete.
Qualcuno morirà, certo, in fondo è la natura. Che possiamo farci? Il capitalismo funziona così. Qualche giorno fa su questo giornale Goffredo Bettini ha sostenuto che il problema della sinistra è affrontare di petto la riforma del capitalismo. Qualcuno gli ha dato retta? Ma va, Bettini è un vecchio, ha letto troppo Marx. Simpatico, per carità. Lasciatelo parlare ma non dategli troppa retta.
Del resto questo è un paese nel quale anche ufficialmente si sostiene che pagare una persona 9 euro per ogni ora di lavoro è un lusso. Che è un impiccio che fa deragliare il sistema. Sette euro non bastano, o sei? Con sei euro ci campi. Certo, con nove euro staresti meglio, ma si ridurrebbero i profitti. Lo sapete che i profitti sono il motore di una grande potenza. Volete che l’Italia resti una potenza? E allora, per favore, silenzio.