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Intervista a Camilla Laureti: “L’Europa tocca la carne viva delle persone”

Intervista a Camilla Laureti: “L’Europa tocca la carne viva delle persone”

Camilla Laureti, europarlamentare dem uscente, candidata nella Circoscrizione Centro per il Pd: dall’Ucraina al Medio Oriente, passando per altri 57 conflitti armati in corso. Il mondo è sempre più dentro una terza guerra mondiale a pezzi, per usare le parole di Papa Francesco. Tra poco più di un mese si vota per le europee, ma il dibattito in Italia si concentra su alleanze, candidature, colpi bassi.
È anche per la critica situazione internazionale che queste elezioni sono un momento cruciale per la storia europea. Non è un caso che siano avvertite come l’appuntamento elettorale più sentito di sempre. Secondo il termometro dell’opinione pubblica, l’Eurobarometro, il 60% della cittadinanza è interessato alle elezioni e il 71% indica che molto probabilmente andrà a votare. Valori molto superiori alle precedenti elezioni. E si capisce il perché. Gli ultimi anni hanno chiarito a tutti l’importanza dell’Europa per la vita di ognuno di noi. Basti pensare a come, tutti assieme, gli Europei hanno affrontato la pandemia, la crisi finanziaria con il debito comune, l’aggressione bellica. In un mondo sempre più complicato è evidente che nessuno Stato può farcela da solo, che l’Europa è l’ombrello di cui abbiamo bisogno. Poi, parlare di liste è in qualche modo fisiologico. Ma i partiti le hanno chiuse in questi giorni ed ora sono convinta il dibattito riguarderà più come stare in Europa, con quale prospettiva, con quali idee. Per quanto riguarda il Pd, abbiamo liste che rappresentano al meglio società e partito: esponenti della società civile, importanti leader come il presidente Bonaccini e l’ex segretario Zingaretti, europarlamentari uscenti, sindaci stimati dalle loro comunità. Insomma, un mix che è espressione di diverse sensibilità politiche e che sarà apprezzato, ne sono sicura. E la partecipazione diretta della segretaria Elly Schlein darà sicuramente una spinta in più.

La mattanza di Gaza ha raggiunto dimensioni apocalittiche: 10mila donne uccise in sei mesi, oltre 13.800 bambini morti per i bombardamenti, la fame e le malattie legate alla guerra. E ora Israele ha avviato l’offensiva terrestre a Rafah. Il mondo sta a guardare, e chi osa criticare Israele, in Italia come nei campus universitari di mezzo mondo, viene tacciato di antisemitismo. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, Josep Borrell, ha annunciato che entro maggio altri Paesi europei riconosceranno lo Stato di Palestina. Tra questi Paesi non c’è l’Italia. Cosa pensa di tutto questo?
L’attacco di Hamas del 7 ottobre è stata una pagina nera, tragica della storia. Per questo Israele ha avuto la solidarietà del mondo. Ma la giusta difesa è diventata una vera e propria catastrofe umanitaria, verso cui dobbiamo avere un unico urgente obiettivo, come richiesto dall’Onu e dalla comunità internazionale: cessate il fuoco immediato, rilascio di tutti gli ostaggi, ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia. L’intervento israeliano a Rafah già si configura, infatti, come una nuova carneficina, di cui il Governo di Netanyahu si sta macchiando e la sconfitta di Hamas non può passare per la punizione di massa della popolazione palestinese. Non è accettabile né sul piano morale né su quello politico né su quello giuridico. E lo diciamo anche per il bene e l’onore di Israele. In questa direzione il Governo italiano deve impegnarsi per il cessate il fuoco e chiedere ad Israele di fermarsi e, alla luce del rapporto Onu e sulla scia di quanto stabilito dall’Ue, sbloccare i finanziamenti all’UNRWA – come già fatto da altri Paesi europei – perché il cibo è diventato una vera e propria arma di guerra nella Striscia. La strada su cui avanzare è chiara ed è quella di due popoli, due Stati, con il riconoscimento dello Stato di Palestina che è, peraltro, anche l’unico strumento per realizzare il diritto di Israele a vivere in sicurezza. L’antisemitismo endemico è un fattore preoccupante e intollerabile e la vigilanza deve essere massima per reprimerne ogni rigurgito nella società. Quanto alle proteste universitarie, va sottolineato che l’Università è per sua natura il luogo del confronto e del dialogo. E per questo deve essere impermeabile ad ogni forma di violenza e di intolleranza. E sul punto va segnalato come proprio in Israele le Università siano in prima fila nell’opposizione al governo di Netanyahu.

L’anomalia italiana. L’unico Paese, almeno tra quelli fondatori dell’Ue, in cui il voto delle Europee viene riportato, misurato, sulle beghe interne: chi prende un voto in più tra Pd e 5Stelle o tra Lega e Forza Italia. E l’Europa?
Non credo sia un’anomalia italiana. Penso che alla fine in tutti gli Stati membri ci siano logiche simili, anche perché dall’elezione dei singoli Paesi dipenderà la maggioranza politica che eleggerà la nuova Commissione. Per quanto riguarda il mio partito la campagna elettorale è concentrata sulla necessità di discutere di quale posta sia in gioco l’8 e il 9 giugno, di far conoscere la nostra idea di Europa. Per noi non è un derby individuale o un referendum su una persona, come vorrebbe la premier Giorgia Meloni. Per noi è un esercizio democratico fondamentale per il futuro dell’Unione, delle sue cittadine e dei suoi cittadini. In questo senso siamo impegnati in una campagna per un’Europa più giusta, efficace, più attenta alla tutela dell’ambiente patrimonio di tutti. Uno dei nostri temi-chiave è la promozione del salario minimo, rispetto a cui esiste già una Direttiva europea e che dobbiamo introdurre in Italia. Penso anche all’accelerazione sulle produzioni sostenibili e al rafforzamento del Fondo per la transizione, per aiutare imprese e persone più esposte a “stare” nella conversione verde. Penso alla difesa e al rilancio della sanità pubblica in quell’esempio di coordinamento europeo che si è sviluppato durante la pandemia. E, ancora, al rafforzamento dell’Unione come forza di pace, con una politica estera effettivamente comune e una politica di difesa comune, che è cosa ben diversa dalla corsa al riarmo dei singoli paesi. Il punto è comprendere e far comprendere – e mi sforzo di ribadirlo a ogni iniziativa elettorale a cui partecipo – che l’Unione tocca oggi più che mai la carne viva delle persone, con scelte che impattano sulle nostre vite in modo molto concreto: nei diritti, come nel caso della Direttiva sul salario minimo, o nei finanziamenti e nelle opportunità, come avviene con le politiche di coesione, per superare i divari e le diseguaglianze con infrastrutture o più occupazione.

Si dice: il Parlamento europeo conta poco, ha pochi poteri, tutte le partite che contano si giocano al Consiglio. Partendo dalla sua esperienza personale, cosa ha da dire in merito?
Questo lo si poteva sostenere anni fa. Oggi non è più così. Ed anzi nella mia esperienza il Parlamento ha un ruolo essenziale di stimolo. Poi, certamente, tra gli obiettivi che abbiamo di fronte c’è quello di rafforzarne ancora di più il peso istituzionale: perché è nell’aula parlamentare che risiede la sovranità popolare e perché dobbiamo lavorare ad una rete di parlamenti, da quello regionale a quello europeo. Penso, però, che sul piano istituzionale le priorità siano anche altre. Su tutte il superamento del diritto di veto e del meccanismo dell’unanimità nel Consiglio Ue, che rende inefficace e tardiva la risposta europea. Pensiamo al comportamento dell’Ungheria di Orban, paese sovranista, che li ha usati come arma di ricatto in politica estera e nella politica economica.

Che destra è stata, in particolare quella italiana, vista da Bruxelles?
È chiaro che è una destra animata da una retorica sovranista, con un passato – molto vicino – di contrarietà all’Euro, per dirne una, ed è vista con una certa preoccupazione. E questo ha portato ad un isolamento che ha reso l’Italia più debole. In pochi anni siamo passati dall’essere l’Italia del Next Generation a perdere battaglie importanti. Penso da ultimo al Patto su migrazione e diritto d’asilo. È stata approvata un’intesa, rispetto a cui noi abbiamo votato contro, che è distante dal superamento del Regolamento di Dublino, che impone accoglienza e integrazione ai paesi di primo approdo come il nostro, oltre ad essere una ferita sul piano del rispetto dei diritti delle persone migranti: cito solo, ad esempio, l’obbligo dei dati biometrici a partire dai sei anni oppure il rischio di prolungata detenzione alle frontiere delle famiglie con minori. Se vogliamo parlare il linguaggio dei sovranisti, potremmo dire che certo non è un accordo favorevole all’Italia.

La butto giù seccamente. Le elezioni europee sono le uniche in cui c’è il voto di preferenza. Non c’è il rischio che invece di conquistare il voto del popolo dell’astensione, si consumi tra i candidati in lizza una “guerra delle preferenze”?
Le rispondo partendo dal mio slogan elettorale: “Coi piedi per terra”. L’ho scelto perché rappresenta la concretezza che contraddistingue il mio modo di essere e perché rappresenta l’Europa che ho in mente, che abbiamo in mente: vicina ai territori, radicata nelle comunità e tra le persone, che risponde concretamente ai loro bisogni, alla loro esigenza di protezione sociale. E c’è anche il riferimento ai problemi della Terra, come l’agricoltura e il clima. Con i piedi per terra significa anche parlare con le persone e chiedere il loro voto. Altri Paesi hanno altri sistemi elettorali, noi abbiamo questo: con le preferenze di voto date a persone concrete, con le loro facce e i loro programmi. Ci sono, ovviamente, pro e contro, ma penso sia una spinta importante al dialogo con le cittadine e i cittadini. E sono convinta siano loro i migliori giudici della qualità di chi vogliono rappresenti l’Italia in Europa in questo momento che segna la storia.