L'ordinanza dell'Enac

Così Salvini vuole bloccare gli aerei che individuano i naufraghi e salvano vite

Un’ordinanza dell’Enac (che dipende da Salvini) proibisce l’attività dei mezzi che dal cielo individuano le barche in difficoltà e permettono di salvare le vite

Politica - di Luca Casarini - 9 Maggio 2024

CONDIVIDI

Così Salvini vuole bloccare gli aerei che individuano i naufraghi e salvano vite

“Si rende di seguito disponibile l’Ordinanza 02/2024 Sicilia Occidentale Lampedusa del 3 maggio 2024 – Fenomeno migratorio irregolare via mare proveniente dalle coste dell’Africa del nord. Interdizione all’operatività dei velivoli e delle imbarcazioni delle ONG sullo scenario del Mare Mediterraneo centrale” .

Queste frasi “militanti” aprono le nuove ordinanze contro il soccorso civile, questa volta mirando agli aerei. Quella che abbiamo definito “l’infrastruttura dell’illegalismo di Stato”, messa in campo per tentare in ogni modo, e contro la legge, di bloccare le attività di soccorso, nonostante le decine di migliaia di morti affogati nel Mediterraneo, si arricchisce di un nuovo dispositivo amministrativo, emesso dall’ENAC, Ente Nazionale Aviazione Civile, per minacciare di sequestro gli aerei della Civil Fleet che aiutano ad individuare i naufraghi.

Un “Piantedosi volante” insomma, che sulla scia di quanto messo in atto contro le navi, appronta anche la contraerea. Il dirigente che firma questi atti illegali, in aperta violazione non solo della Convenzione di Amburgo sul soccorso in mare, ma anche della stessa sfera dei poteri attribuitigli dal suo ruolo, è un sottoposto di Salvini, Ministro delle infrastrutture e trasporti da cui dipende l’Enac. Risponde a lui, forse magari adesso anche a Vannacci, non certo alla Costituzione italiana, e men che meno al senso di umanità.

Gli aerei della Civil Fleet, Seabird di SeaWatch e Colibrì di Pilote Volontaire, sono stati in questi anni un mezzo fondamentale utilizzato dalla società civile europea nel tentativo di salvare più vite possibili, strappandole alla morte in quella fossa comune, la più grande del mondo, che è diventato il nostro mare.

I piloti e i loro equipaggi, cominciano presto la mattina il loro lavoro di sorvolo e monitoraggio del mare, e per ore continuano ad osservare dall’alto verso il basso, a cercare, in quella enorme distesa blu, un segno, un puntino, sul quale convergere, abbassarsi di quota per accertarsi se siano persone che chiedono aiuto, lì in mezzo al niente. Questi straordinari volontari del soccorso, hanno acquisito negli anni una professionalità altissima.

Grazie a loro migliaia di vite sono state salvate, donne, uomini, bambini. Chiunque abbia una minima conoscenza dei rudimenti del soccorso in mare, o si sia formato con i manuali internazionali IAMSAR ( i capimissione, i comandanti, gli ufficiali e i team di soccorso della Civil Fleet li conoscono bene ) ha ben chiaro che quando si parla di “ricerca e soccorso”, l’appoggio di un assetto aereo ai mezzi che intervengono dal mare, è fondamentale.

Le tecniche di ricerca di una barca alla deriva, siano esse a “spirale” o a “pettine”, con delimitazione dell’area in base al calcolo della deriva, intensità e direzione del vento, non bastano a volte per fare in tempo. Il tempo, nel soccorso in mare di chi è in pericolo, non è neutro. Ogni minuto in più e può accadere l’irreparabile, il disastro, la tragedia.

Hai una posizione, “LKP” Last Know Position”, ma magari sono passate ore. Non ricevi altre informazioni, e ti metti a cercare un ago in un pagliaio. Ma anche tu, con la tua nave, sei al pari di un ago in un pagliaio. Sei infinitamente piccolo, difronte alla maestosità di quello che ti circonda.

Te ne arriva un’altra di posizione, questa volta dalla radio AM, che trasmette sulle lunghe distanze al contrario del VHF in dotazione, ma che hai imparato ad ascoltare perché, il suo rumore caldo e gracchiato, porta delle voci di pescatori, chissà da quali angoli. Parlano di una barca in pericolo, ripetono coordinate. Le segni sulla carta, e il punto risulta da tutt’altra parte rispetto a quello che avevi.

È in queste situazioni, mentre ti senti perso perché non sai dove dirigerti, che l’aiuto viene dal cielo. Sono loro, gli aerei che fanno avanti e indietro secondo precisi schemi di pattugliamento, che ti dicono infine dove andare. Perché vedono.

Che senso ha, dunque, cercare di impedire attraverso un abuso di potere, un lavoro così prezioso? Gli aerei salvano vite, ma per questi zelanti servitori del ministro di turno, evidentemente, questo non è importante. In fin dei conti quelle vite, e lo dimostra la carneficina di innocenti che ogni anno viene sacrificata al dio pagano dei confini, per questi funzionari “chiacchere e distintivo”, non valgono proprio niente.

Il loro principale problema è che gli aerei vedono troppo. E registrano immagini, scattano fotografie. Sono testimoni scomodi e raccolgono prove. Prove di respingimenti illegali, di assalti armati alle barche e ai gommoni dei migranti, prove di naufragi provocati da speronamenti. E prove sulle richieste di aiuto inascoltate di esseri umani abbandonati alla peggiore delle sorti.

Gli aerei sono scomodi strumenti di verità, in un sistema che è fondato sulle menzogne. Ecco la ragione prima delle ordinanze. Che è la stessa dell’assegnazione dei porti lontani per le navi del soccorso civile, con il loro contenuto di umanità ferita, disprezzata, violentata, costretta a stare ancora in mare, per giorni, dopo aver provato la paura della morte in mare. Ma così, facendogli fare migliaia di miglia in più, stanno lontani dal Mediterraneo.

L’infrastruttura dell’illegalismo di Stato dunque, arricchisce la sua cartuccera con nuovi proiettili. Perché di caccia si tratta, e la devono fare i libici e i tunisini, deportando i fuggiaschi alle loro prigioni di partenza. Chi soccorre, nell’Hunting Game del Mediterraneo, è un disturbo, un’imprevisto.

E mentre il dirigente Enac firmava le “ordinanze – minaccia”, altri aerei solcavano il cielo del mediterraneo. In particolare il Dassault Falcon 900, numero identificativo CPI 211, in dotazione all’Aise, il servizio segreto estero.

Dal primo gennaio al 30 aprile, l’executive dell’intelligence italiana ha fatto 6 volte Roma-Tunisi, 8 volte Roma-Bengasi, 3 volte è atterrato in Niger e in Mali, 2 volte ad Algeri, 2 volte a Lampedusa, una volta a Misurata e una volta a Tripoli.

Quell’aereo non fa soccorso, ma porta i funzionari che stringono i patti con capi delle milizie, autocrati o pseudo governi comprati a suon di milioni. Sono i patti che poi vengono suggellati dalla premier bersagliera, che ha finanche trovato un nome da dare a questo sistema, inaugurato rozzamente da Minniti e affinato dalla destra sovranista italiana: il Piano Mattei.

Apparentemente che cosa c’è di male a cooperare affinchè paesi bisognosi possano svilupparsi? Cosa c’è di male a far di tutto perché si “democratizzino”? Emerge in questa parte, quella della “strategia geopolitica”, un’altra faccia dell’infrastruttura dell’illegalismo, che aggira la realtà dei fatti, tentando di rappresentarne un’altra capace di sostituirla.

La realtà vera, quella fatta di carne e sangue, di due minuti e mezzo di aria nei polmoni prima che l’acqua ti entri da ogni orifizio mentre vai sempre più giù verso il fondo, è scritta nei nomi e cognomi dei sedici morti ammazzati dalla Guardia Nazionale Tunisina, che ha speronato in mare una barca di persone migranti, con donne incinte e bambini, e i militari ridevano mentre le persone affogavano.

La realtà è la voce dell’autocrate Saied che non solo ammette la deportazione di centinaia di migranti nel deserto, al confine con la Libia, ma la rivendica pure, sorridendo spavaldo. È ammissibile per la Costituzione italiana, fornire mezzi e soldi da destinare a queste pratiche disumane? Basta aggirarla. Basta dire che si sta cooperando per rendere più democratica la situazione.

Come per l’Albania: a fianco dei primi due centri per deportati edificati fuori dai confini europei e a completa gestione italiana, sorgerà anche un carcere, con agenti della polizia penitenziaria sempre italiani. Se qualcuno si ribella nei centri di detenzione, può finire in carcere, sotto la direzione del Ministero della Giustizia italiano, ma sempre in Albania.

E così siamo giunti, dissimulazione dopo dissimulazione, ad avere un sistema legalizzato di lager in Libia, milizie armate che catturano in mare e deportano profughi, guardie nazionali che fanno affondare e uccidono innocenti a poche miglia dalle nostre coste, autocrati razzisti che scatenano la caccia al nero e abbandonano nel deserto donne, uomini e bambini.

Siamo arrivati al primo carcere italiano esternalizzato fuori dai confini. Ma noi vediamo solo il “Piano Mattei”, la faccia buona di un mostro. E ci sono le elezioni anche, e solerti dirigenti si trasformano in agit- prop, firmando ordinanze che sembrano manifesti della peggiore propaganda. Però, difronte alla potenza di fuoco messa in campo da chi fa la guerra contro i migranti, vi sono sempre gli imprevisti. Gli esseri umani, che continueranno a restare umani.

9 Maggio 2024

Condividi l'articolo