La revoca dei domiciliari
Toti resiste ma la maggioranza di destra ha deciso il suo destino: dimissioni dopo le Europee
A difenderlo è solo la Lega, ma il suo destino appare segnato: al di là della sua innocenza, il sistema politico che emerge dall’inchiesta non piace a Meloni. Che dopo le Europee spingerà per le dimissioni
Politica - di David Romoli
Di fronte al Gip, ieri, Toti ha fatto scena muta avvalendosi della facoltà di non rispondere. Contestualmente ha però chiesto di essere interrogato la settimana prossima dal pm, preannunciando la richiesta di revoca degli arresti domiciliari.
È un passaggio decisivo anche dal punto di vista politico: se il pm o, in caso di risposta negativa di quest’ultimo, il Tribunale della Libertà revocassero la misura cautelare il presidente della Liguria potrebbe provare davvero a resistere senza dimettersi.
Ufficialmente, fa sapere il suo avvocato Stefano Savi, il governatore sta considerando l’ipotesi delle dimissioni “ma è una decisione che una persona inserita in un contesto politico non può certo prendere da solo”. Insomma a decidere, o almeno a consigliarlo caldamente, deve essere la maggioranza.
Nel centrodestra l’unico partito che sembra far davvero muro in difesa di Toti è la Lega, sia per l’amicizia personale tra il governatore e il capo del Carroccio sia per l’internità al sistema di potere creato da Toti, anche al netto da rilievi penali.
Salvini, ieri, ha risposto a brutto muso al leader dei Cinque Stelle, lanciatissimo nella denuncia della “nuova Tangentopoli” e nella richiesta di dimissioni immediatissime, e forse il leader leghista parla a Conte anche perché Meloni intenda: “Toti fa bene a non dimettersi. In Italia si è innocenti fino a prova contraria e se ogni indagato dovesse dimettersi il Paese si fermerebbe domani”.
Con una stoccata feroce rivolta ai magistrati: “Se ci fossero microspie negli uffici di qualche magistrato non so per quanto resterebbero magistrati”. Anche dall’interno di FdI, dopo il ministro Crosetto, c’è chi spara a zero sul potere togato.
Musumeci, ministro per la Protezione civile, è anche più duro del collega leghista: “Sono trent’anni che la magistratura avanza acquisendo spazi non suoi. Sono certo che Toti riuscirà a dimostrare la sua estraneità e questo provvedimento a venti giorni dalle elezioni, che qualche dubbio lo lascia”.
In realtà la sorte di Toti come governatore sembra segnata. Non tanto per l’inchiesta: nella maggioranza tutti, anche in privato si dichiarano convinti che il fattaccio non sussista o nella peggiore delle ipotesi si riduca a robetta.
Ma il quadro del sistema di potere costruito da Toti che sta emergendo, al di là del rilievo penale, spinge la premier a premere per le dimissioni e la stessa Forza Italia, ex partito di Toti, considera la dipartita cosa quasi certa.
Insomma la difesa a oltranza di questi giorni ha il doppio significato di respingere le accuse sul piano legale e di arrivare alle europee senza aver annunciato la resa del presidente della Liguria. Le dimissioni, salvo svolte nell’inchiesta a favore dell’indagato, che effettivamente cambierebbero tutto, arriveranno. Ma solo dopo le elezioni.
La Liguria, di conseguenza, tornerà al voto in autunno, in contemporanea con l’Umbria e forse anche con l’Emilia-Romagna, destinata a restare senza presidente con la certissima elezione di Bonaccini al Parlamento europeo.
Nel centro-destra c’è chi vagheggia un election day autunnale con le tre regioni al voto ma è un’ipotesi in realtà poco realistica. Sulla candidatura per la successione a Toti ha messo gli occhi soprattutto FdI, e si spiega anche così la difesa tutto sommato tiepida del presidente ai domiciliari da parte del primo partito della destra.
Il più papabile per la candidatura è il coordinatore regionale Marco Rosso, che a botta caldissima, subito dopo la notifica dei domiciliari si era allargato sino a affermare che “le dimissioni di Toti e il voto anticipato non sono escluse”.
Anche la Lega, però, punta a piazzare un proprio candidato: forse Edoardo Rixi, che nel Carroccio è un nome pesante, ma senza escludere la possibilità di mettere in campo il sindaco di Genova Bucci, indipendente vicino al Carroccio.
Meno di tutti si scalda proprio Forza Italia e il perché lo confessa un dirigente di lungo corso: “Già nelle scorse elezioni avevamo vinto soprattutto perché gli avversari erano divisi. Poi col Covid Toti si era molto rafforzato ma a questo punto direi che la Liguria è persa”. Persa dalla destra per essere vinta da chi? Di nome in ballo nel Pd ce n’è uno solo: l’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando.