A questo siamo: che il prossimo confronto televisivo tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein sarà un evento, tale è la sua rarità. Ed in effetti a guardare indietro si tratta di casi isolati. I più ricorderanno i duelli televisivi tra Berlusconi e Occhetto del 1994 e tra Berlusconi e Prodi del 1996 e del 2006. Poi basta.
Anche perché il leader politico in vantaggio nei sondaggi (come fu per Berlusconi nel 2001 e nel 2008) si sottrae volutamente a tali confronti perché sa di aver molto da perdere e poco da guadagnare, al contrario del suo avversario.
Certo, ci sarebbe molto da discutere circa la legittimità di un simile confronto a due in una competizione interamente proporzionale, come quella europea, dove i partiti si presentano divisi anziché in coalizione e hanno diritto ad avere un’effettiva parità di trattamento (la c.d. par condicio) per quanto riguarda l’accesso agli spazi televisivi.
È vero che, come recita la delibera della Commissione di vigilanza Rai, “il principio delle pari opportunità può essere realizzato, oltre che nell’ambito della medesima trasmissione, anche nell’ambito di un ciclo di più trasmissioni dello stesso programma, organizzata secondo le stesse modalità e con le stesse opportunità d’ascolto”, per cui, per rimediare, si sta pensando di organizzare un confronto tra Conte e Salvini.
Ma a parte la sensazione di un derby di serie B, è evidente che non si darebbero quelle stesse opportunità d’ascolto richieste e su cui di recente il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha posto l’accento ai fini di una effettiva parità di chance affinché negli spazi televisivi dedicati alla campagna elettorale si tenga conto non solo dei minuti accordati ma anche degli indici delle fasce d’ascolto.
Ma il punto principale non è questo. È che la nostra democrazia considera ormai eccezionale ciò che invece dovrebbe esserne il fondamento, e cioè il confronto politico diretto e permanente tra i leader delle forze politiche e che permette agli elettori di crearsi una libera e argomentata opinione.
Confronto tanto più urgente e necessario da quando i leader di partito preferiscono parlare direttamente tramite social ai rispettivi elettorati tramite post e tweet che spesso i giornalisti, specie del servizio pubblico, si limitano a rilanciare, senza alcuna intermediazione critica.
Gli elettori potrebbero meglio farsi un’idea se i leader politici potessero confrontarsi, incalzando e confutando (magari dati alla mano) le tesi degli avversari, anziché rifugiarsi come ormai spesso avviene in parole d’ordine.
E non mi pare di esagerare se ricordo che le Tribune politiche un tempo erano occasioni imperdibili che calamitavano milioni di telespettatori perché sottoponevano gli esponenti politici al fuoco di fila di giornalisti preparati e polemici (quando Craxi, non sapendo indicare gli articoli della Costituzione che voleva cambiare, disse sprezzantemente a Luca Giurato de La Stampa di andarseli a cercare, questi lo infilzò ricordandogli che la riforma la voleva fare lui…).
Lo sanno bene gli elettori inglesi che assistono in televisione agli scontri al vetriolo che puntualmente avvengono nella Camera dei Comuni tra il Premier e il Capo dell’Opposizione, i quali si confrontano sull’intera agenda politica. Ne scaturiscono scontri talora epici, grazie anche all’abilità oratoria dei duellanti, che permettono all’opinione pubblica, complice il sistema bipolare, di valutare i rispettivi programmi politici.
Quest’ultimo riferimento ci induce ad un’ulteriore riflessione. La sede naturale e primaria del confronto politico non dovrebbe essere questo o quel salotto televisivo, cui come detto ci si può volontariamente sottrarre, ma le Camere, che sono la sede della rappresentanza politica nazionale e che tra le proprie essenziali funzioni annoverano quella ispettiva e di controllo.
E da lì non si può scappare, se non a prezzo di subire una pubblica reprimenda, come quella che si meritò più volte Berlusconi che tra il 2001 e il 2006 non trovava mai il tempo per presentarsi al c.d. Premier Question Time che, sul modello inglese, era stato introdotto proprio per permettere al leader dell’Opposizione di confrontarsi con il presidente del Consiglio.
Sotto questo profilo, il Parlamento dovrebbe rivitalizzare questa sua essenziale dimensione di sede del confronto politico sulle grandi questioni politiche nazionali, ripensando in modo innovativo le sue procedure al riguardo. Ciò partendo dal presupposto che il Parlamento non è un organo che, come tale, si contrappone al Governo.
Chi ancora ragiona di separazione dei poteri tra Legislativo e Esecutivo è prigioniero di una concezione ottocentesca della dinamica politico-istituzionale quando tali due organi si contrapponevano perché espressione di due classi sociali: il Parlamento della borghesia, il Governo nominato dal Re, e quindi dall’aristocrazia. Oggi la vera separazione dei poteri non è tra Parlamento e Governo ma tra Governo e maggioranza parlamentare da un lato, e forze politiche d’opposizione dall’altro.
Chi non parte da tale presupposto è costretto ad accettare esiti paradossali, come quando il parlamentare della maggioranza presenta una interrogazione o una interpellanza al Governo non per metterlo in difficoltà di fronte all’opinione pubblica ma, all’opposto, per offrirgli un assist così da fargli fare bella figura, dichiarandosi in sede di replica sempre e comunque entusiasticamente soddisfatto della risposta del Governo e tessendo le lodi del suo operato.
Sono queste le conseguenze, che rasentano il ridicolo, di una concezione della separazione dei poteri che non trova riscontro nei regimi parlamentari che si fondano proprio sul rapporto di fiducia tra (la maggioranza del) Parlamento e il Governo.
In conclusione, quel confronto franco e diretto che avviene sporadicamente e volontariamente in televisione, dovrebbe trovare la propria sede naturale nelle sedi parlamentari a beneficio di una opinione pubblica più informata e consapevole, come testimoniano gli ottimi dati di ascolto dell’unico question time parlamentare in cui mesi fa Meloni e Schlein hanno avuto modo confrontarsi.
Si esca dunque da procedure parlamentari ispettive spesso stanche e rituali e si abbia il coraggio di inventarne di nuove che permettano agli elettori di giudicare le varie proposte politiche e la stessa credibilità personale dei leader, in tempi in cui la dimensione comunicativa non è fattore secondario. La democrazia se ne gioverebbe, e in tempi di crescente astensionismo, non sarebbe poco.