Una candidatura importante, coraggiosa, che fa discutere: quella di Marco Tarquinio, già direttore di Avvenire, candidato da indipendente nella Circoscrizione Centro nella lista del Partito democratico.
Come si sente nei panni del “Tarquinio il pacifista”?
Male, vorrei che non ce ne fosse bisogno. Sto male perché mi metto nei panni delle vittime e mi sento dalla parte della gente semplice che è spaventata, cerca di rimuovere, ma si sveglia con alla radio e in tv veri e propri cupi bollettini di guerra. E si rende conto che in altri Paesi europei sono ricominciati gli arruolamenti della leva militare. È questo il mio campo. E penso che sia il campo naturale del centrosinistra italiano e di una sinistra europea consapevole della propria vocazione e del compito storico che le tocca: lavorare con urgenza e lucidità per fermare i massacri della guerra globale e sempre più vicina e per costruire condizioni di convivenza nella diversità. Gli italiani e gli europei vogliono pace e, in ampia maggioranza, chiedono questo. Bisogna dar loro rappresentanza.
Perché anche in una parte del centrosinistra “pacifista” sembra essere diventato se non un insulto una pecca politica?
Mi verrebbe da dire che c’è un virus pericolosissimo che ammorba anche un pezzo della classe dirigente progressista, purtroppo anche quella che oggi tende a definirsi riformista. Ma riformismo è termine ambiguo, non tutte le riforme sono buone e mettono le persone al centro. Alcune – come il Jobs Act – finiscono per mettere le persone ai margini e le precarizzano, spingendo giovani e meno giovani a far la valigia e ad andarsene dall’Italia… Per questo preferisco un centrosinistra solidale e solidarista! E per questo firmo i referendum Cgil.
Mi sembra incredibile che sulla scena pubblica, anche nel nostro Paese e nell’Unione Europea, anche a sinistra, si continui a capovolgere pesantemente il discorso sulla pace, a non corrispondere alle attese popolari, a far mancare un’informazione coraggiosa e davvero liberata da propagande ideologizzate e pregiudizi etno-bellicisti. Mi ferisce che si finisca per amputare brutalmente l’azione diplomatica, alimentando invece i conflitti con la fornitura di armi, con una rassegnazione alla guerra che in alcuni protagonisti diventa persino baldanzosa proprio mentre nel nostro continente ci si inoltra – come ha detto Josep Borrell, alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza – nel tunnel nero di una “guerra convenzionale ad alta intensità”. Il problema non è solo che si arriva a insultare e comunque si cerca di screditare e tacitare i pacifisti, ma che si insulta l’intelligenza e la sacrosanta preoccupazione della gente. È assai grave che lo si faccia a destra, mi sembra pazzesco che lo si faccia a sinistra.
Dall’Ucraina al Medio Oriente, passando per altre decine e decine di conflitti armati in corso, il mondo è sempre più dentro una terza guerra mondiale a pezzi, per usare le parole di papa Francesco. Tra meno di un mese si vota per le europee, ma il dibattito in Italia si concentra su alleanze, candidature, colpi bassi.
Ho raccontato e commentato la politica italiana, e non solo italiana, per molti anni, e non mi stupisco di nulla, ma riesco ancora a indignarmi. Sia chiaro che non mi indignano i colpi bassi, anche se qualche volta fanno male, così come non mi sconvolge, anche se mi fa pensare, il tentativo di alcuni di fare la caricatura di ciò che ho detto e ho scritto da persona che ama e cerca il dialogo nella chiarezza, da uomo che stima e ascolta le donne e da partigiano della nonviolenza. A indignarmi da molto tempo, e di più oggi, è quell’insieme di atteggiamenti e di “astensioni” che papa Francesco chiama la “cultura dell’indifferenza”. Indifferenza alle disuguaglianze economiche e sociali e allo smantellamento progressivo dello Stato sociale anche in Italia e in Europa. Indifferenza alle persecuzioni etniche, politiche e religiose e alle predazioni delle risorse dei Paesi poveri. Indifferenza ai cambiamenti climatici sempre più forti e impattanti sul nostro presente e sul futuro delle nuove generazioni. Indifferenza alle migrazioni forzate e forzatamente irregolari dai diversi Sud del mondo. Sono, queste, tutte cause di guerra e tutte forme della guerra, radici e strumenti dei 184 conflitti che, con diverso grado di intensità, sono in corso in tutto il pianeta secondo il rapporto-denuncia curato dall’Università svedese di Uppsala.
Ma la cosa più allarmante è che oggi, a ovest come a est, sono tornati in scena, con arroganza e senza pudore, anche gli “entusiasti della guerra”. Quelli per i quali ogni guerra che può far comodo alla nostra parte, senza contare i nostri errori e stendendo un velo sui nostri calcoli, sarebbe una “nuova Resistenza!”. È una bestemmia laica, umana e laica. È stato ed è così in Iraq, nei Balcani, in Siria, nel Caucaso, in Africa, persino in Sud America, nell’abbandonato Afghanistan, nello Yemen, in Terra Santa e, ovviamente, pure in Europa nelle terre a più forte presenza russofona dell’Ucraina invasa da Putin…
La mattanza di Gaza ha raggiunto dimensioni apocalittiche: oltre 35mila morti, tra cui più di 10mila donne e 15mila bambini. E ora Israele ha avviato l’offensiva terrestre a Rafah. Il mondo sta a guardare…
Anche il mio giudizio è netto e dolente: l’orrore di Gaza pesa sul premier israeliano Netanyahu e sul suo governo di destra estrema tanto quanto su Hamas. E tanti sono corresponsabili in un mondo che guarda, magari protesta, ma non preme ancora in modo efficace, come sarebbe giusto e necessario, su Israele. L’Italia è il terzo rifornitore di armi di questo Paese. Non mi stanco di ripetere che chi fa questo è complice. Nulla giustifica la carneficina in corso e il “domicidio”, ovvero la distruzione sistematica delle case e di tutto ciò che rende una terra abitabile per il popolo che vi risiede, che è in atto a Gaza da più di 7 mesi. Nulla, nemmeno l’immane orrore dell’attacco del 7 ottobre 2023 ai kibbutz israeliani e ai loro abitanti, le violenze assassine, gli stupri, la presa di ostaggi…
Chi osa criticare Israele, in Italia come nei campus universitari di mezzo mondo, viene tacciato di antisemitismo.
L’antisemitismo è problema vero e serio, addirittura lancinante, purtroppo, anche in Europa e nel resto dell’Occidente dove la smemoratezza produce mostri. Per questo non si possono “regalare” agli odiatori e ai violenti antisemiti anche tutti coloro che non accettano la rappresaglia di Netanyahu sui civili di Gaza. Tentare di catalogare in blocco come antisemiti pure le ragazze e i ragazzi che, spesso con i loro insegnanti, invocano il cessate il fuoco è una forma di intimidazione insopportabile e autolesionista. Ho detto e ripeto, con nella memoria e negli occhi, altre atroci azioni dello stesso tipo, che il governo Netanyahu sta perseguendo non solo il regolamento di conti con i miliziani e i terroristi di Hamas e di altri gruppi jihadisti, ma una pulizia etnica che si sviluppa in contemporanea anche in Cisgiordania, con l’intensificazione dell’aggressione realizzata attraverso gli insediamenti illegali di coloni israeliani che strappano case e campi ai palestinesi ricorrendo troppo spesso a violenze omicide. L’orrore è padre di due figlie: la ribellione morale e la protesta politica. Fermiamo l’orrore perché l’una e l’altra non s’incendino.
L’Italia di Meloni si è astenuta su un passaggio importantissimo verso il riconoscimento Onu della membership della Palestina.
L’astensione sembra divenuta la mortificante camicia di forza della politica estera del governo di destracentro ogni volta che c’è, invece, da fare la cosa giusta sulla scena del mondo. Si Continuano a inanellare queste “schede bianche”, e così si sottolinea la mancanza di coraggio e di visione della nostra azione, sprecando e dilapidando ogni volta di più il rispetto e la simpatia di cui il nostro Paese gode fuori dal nostro continente e dai recinti dell’Occidente.
Da direttore di Avvenire, lei ha avuto da subito una posizione molto netta sulla guerra in Ucraina.
Seguo la guerra d’Ucraina da più di dieci anni. Avvenire è un quotidiano attentissimo alle vicende di popoli e nazioni, di minoranze religiose e politiche ed è mobilitato contro il ritorno oltraggioso della guerra al ruolo di strumento principe della politica. Nella mia passata responsabilità di direttore di questo giornale e negli ultimi mesi nella mia autonomia di editorialista ho fatto raccontare e ho analizzato le tappe di una vicenda complessa e drammatica che a lungo si è finto di non vedere. In quegli anni un Occidente incline a fare redditizi affari con Mosca e, contemporaneamente, ad “abbaiare ai confini della Russia” sul piano politico e militare, ha fornito soldi, appigli, pretesti e ragioni ai risentimenti e alle manovre, ma prima ancora alla visione neoimperiale e vendicativa, del presidente russo Putin. Sono state gravi anche le scelte, le forzature, le omissioni e le sopraffazioni sulle minoranze etnico-linguistiche (non c’è solo quella russa…) di una parte importante della classe dirigente ucraina. Tutto ciò non giustifica la seconda invasione russa del febbraio 2022, così come non giustifica la prima invasione, quella nel 2014, la presa di forza della Crimea, ma non giustifica neppure il contemporaneo colpo di stato a Kyiv e l’incapacità occidentale di smontare, attraverso l’azione politico-diplomatica, il meccanismo dello scontro bellico che si andava assemblando. Per questo e su questo avrei voluto un ruolo deciso e decisivo dell’Europa. E spero che maturi ora.
Papa Francesco, per aver usato la metafora della “bandiera bianca”, è stato tacciato di “disfattismo” e di resa all’aggressore.
Il Papa, l’uomo di Dio vestito di bianco, non ha avuto paura di dire la verità. E cioè che per trattare bisogna avere un coraggio altrettanto bianco. Quel “coraggio bianco” che è rinuncia alle bandiere di guerra e impedisce di continuare ad accumulare, da una parte e dell’altra, centinaia di migliaia di vite spezzate, ferite e mutilate prima di sedersi al tavolo di negoziato. La bandiera bianca non è solo un segno di resa, ma è anche il simbolo della trattativa offerta, concordata e accettata… Sentir parlare di “disfattismo” davanti all’immane disfatta che ogni guerra produce, mi fa pensare non certo a papa Francesco bensì alle colpe di chi a Mosca come a Washington o a Londra ha preparato questo disastro. Mi fa pensare a Putin che l’ha iniziato nella sua terribile forma attuale. Mi fa pensare a Pechino che non contribuisce a far finire la tragedia della guerra per procura, ma lega sempre più la Russia al proprio carro. Mi fa pensare all’Europa trasformata in intendenza al seguito dei carri armati altrui…
L’anomalia italiana. L’unico Paese, almeno tra quelli fondatori dell’Ue, in cui il voto delle Europee viene riportato, misurato, sulle beghe interne: chi prende un voto in più tra Pd e 5Stelle o tra Lega e Forza Italia. E l’Europa?
Questa anomalia begaiola, il pensare soprattutto a giochi di equilibrio e di potere interni all’Italia, alle coalizioni italiane e ai partiti italiani, rischia di essere la premessa di una disfatta ulteriore, che minaccia di materializzarsi di nuovo – come già in altre consultazioni – nel non-voto di sfiducia di tante e tanti. Invece bisogna partecipare: c’è da fermare la deriva bellicista che sottrae risorse al welfare e istruzione e difesa dell’ambiente, la nostra casa comune, e promette di arruolarci tutti e tutte, specialmente i figli e le figlie che ormai vestono divise e imbracciare armi allo stesso modo, all’insegna di una parità deragliata. Nessuno è giusto quando entra in guerra, e le donne sono state per millenni nemiche delle guerre e, in esse, vittime assolutamente innocenti e ribelli, portatrici di una visione alternativa. Penso che a questo si possa reagire con un voto disarmante, per questo mi sono candidato come indipendente nel Pd. Ieri dialogavo con lettrici e lettori, oggi ho accettato la prova del dialogo diretto e con elettrici ed elettori e dell’azione coerente.