Il caso Liguria
Lega e Forza Italia scaricano Toti: a destra sentenza emessa sul governatore ligure
“Dimettersi è prematuro”, dice Tajani. “La questione va chiarita”, gli fa eco il padano Rixi. Chiari segnali che a destra la sentenza è stata emessa
Politica - di David Romoli
Non è più questione del “se” ma del “quando”. La sorte della presidenza di Regione Toti è segnata. La Liguria tornerà al voto in autunno è sarà quasi certamente Andrea Orlando il candidato di un centrosinistra che a questo punto parte in nettissimo vantaggio, tanto che dall’interno di Forza Italia già danno la partita per persa.
Ma sulla tempistica delle dimissioni invece non c’è ancora certezza. Da questo punto di vista sono per una volta esplicite le parole di Antonio Tajani: “Dimettersi o no è una scelta sua ma credo che sia prematuro. Finché non ci sono interrogatorio e Tribunale del riesame bisogna aspettare”.
Certo, subito dopo il vicepremier e leader azzurro si produce nella classica professione di fede garantista, “Per me fino al terzo grado è innocente”, ma l’allusione all’interrogatorio e al Tribunale del Riesame è troppo puntuale per essere casuale, e in politica quando si dice che la scelta è del diretto interessato s’intende sempre che il partito è pronto a mollarlo.
Anche la Lega del resto prende le distanze. Lo fa il viceministro Edoardo Rixi, ras del Carroccio in Liguria: “Deciderà Toti ma io penso che o si chiariscono le questioni durante il riesame oppure diventa difficile governare due anni senza governatore”.
Nel merito, poi, Rixi è a dir poco cauto: “Non vedo un tema di grandi tangenti ma vedo un tema di grandi pressioni”. Insomma, per provare a resistere Toti avrebbe bisogno non solo della revoca dei domiciliari da parte del Pm, dopo l’interrogatorio che dovrebbe svolgersi questa settimana ma anche della decisione di non disporre la sospensione dall’incarico, altrimenti il problema della presidenza vacante resterebbe immutato.
Ma neppure questa improbabile ipotesi basterebbe a garantire la permanenza del governatore indagato. Rixi, con quell’allusione alle “grandi pressioni”, da voce a un sentire comune nella maggioranza, la convinzione che, anche indipendentemente dal versante strettamente penale della vicenda, il quadro che sta emergendo sia comunque indifendibile.
Da questo punto di vista saranno fondamentali le risposte dei due Spinelli, padre e figlio, che ieri, nei rispettivi interrogatori hanno risposto a tutte le domande. Anzi, per dirla con papà Aldo, all’uscita dalla procura, “Ho detto tutto…tutto… Penso di meritarmi la revoca del provvedimento di arresti disciplinari”.
Se il precedente di tangentopoli, quella vera, ha un senso, gli industriali non ci pensano su due volte prima di mollare e scaricare i politici con i quali avevano rapporti e non a caso da quell’inchiesta uscì smantellato il castello della politica ma quello dell’imprenditoria rimase intonso.
Il cerchio intorno a Giovanni Toti è dunque ormai strettissimo. L’inchiesta si è allargata sino a coinvolgere l’esplosione del Covid ed è un passaggio particolarmente preoccupante perché proprio l’emergenza Covid e come la regione la aveva affrontata avevano rafforzato di molto le posizioni inizialmente fragili del governatore.
Nel 2015 Toti aveva vinto, con una maggioranza relativa molto scarsa, meno del 35%, solo grazie alle divisioni degli avversari. In compenso nel settembre 2020, proprio grazie al successo nel fronteggiare la pandemia, aveva vinto facile, con 18 punti percentuali di vantaggio sullo sfidante Ferruccio Sansa. Il solo fatto che l’ombra della corruzione arrivi a toccare anche quel capitolo glorioso rende la posizione del governatore ancora più pericolante e già lo era moltissimo.
Che FdI non intendesse esporsi più di tanto, fatti salvi alcuni ministri come Crosetto e Musumeci ma più in polemica con la magistratura che perché determinati a blindare Toti, era già chiaro. Ma stanno franando anche i bastioni di Forza Italia e della Lega anche se Salvini insiste: “No alle dimissioni. La giustizia faccia in fretta”.
Ma in Liguria, per la Lega, non è solo questione di rapporti con Toti. Il Carroccio è parte integrante del sistema costruito da Toti, più di ogni altra forza politica della destra probabilmente. Salvini e Rixi, ciascuno a modo suo si preoccupano di salvare il salvabile: va forse letta così anche la dichiarazione con la quale il leader leghista “scarica” il governatore del Veneto Zaia: “Ho già in mente una dozzina di nomi”.
Di certo il capo della Lega non palpita troppo per la sorte del potentissimo veneto. Ma in questo caso si fa sentire soprattutto la consapevolezza di non avere alcuna possibilità di strappare a Giorgia Meloni il terzo mandato. Meglio provare a strappare una candidatura leghista al posto di quella di Zaia, impresa quasi proibitiva essendo la premier decisa a piazzare in Veneto un Fratello d’Italia.
Ma queste sono storie di domani. La pena di oggi è cosa fare con Zaia: la destra è ancora decisa a evitare le sue dimissioni prima delle europee. Ma se la situazione dovesse degenerare ulteriormente neppure quella è più una certezza.