L'ex segretaria della Cgil
Intervista a Susanna Camusso: “Necessario firmare il referendum contro il Jobs Act: ridare dignità e diritti al lavoro”
"Mi spiace per chi non lo ha capito allora e non lo capisce oggi: l’intervento sui licenziamenti, sui contratti a termine, l’aver sposato l’ideologia per cui il mercato del lavoro andava “liberato” dai “troppi diritti” hanno generato quella rottura con il mondo del lavoro, quella sfiducia che ancora alimenta tanta parte dell’astensionismo"
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Pace, lavoro, la valenza del voto europeo, il referendum sul Jobs Act promosso dalla Cgil. L’Unità ne discute con Susanna Camusso, Segretaria generale della Cgil dal 2010 al 2019., oggi senatrice e membro della Direzione nazionale del Partito democratico. Ha scritto Facciamo pace. Una guerra, tante guerre, edito da striscia rossa. Una critica delle guerre da sinistra, di stringente, drammatica attualità.
Dall’Ucraina al Medio Oriente, passando per altri 57 conflitti armati in corso. Il mondo è sempre più dentro una terza guerra mondiale a pezzi, per usare le parole di Papa Francesco. Tra meno di un mese si vota per le europee, ma il dibattito in Italia si concentra su alleanze, candidature, colpi bassi, scandali. Siamo fuori dal mondo?
A me pare che dall’esito di queste elezioni europee dipenda molto anche la possibilità dell’UE di incidere su tutto questo: la possibile saldatura dei conservatori con la destra estrema porterebbe allo scenario peggiore, quello di un’Europa a trazione nazionalista, l’esatto contrario dell’Europa federale. Già, in questo momento, si colgono segnali preoccupanti, a partire dal surreale dibattito sulla difesa comune europea, vista come separata dalla scelta di una politica estera comune. Qui credo ci sia un vero problema di miopia, quella per cui si rincorre la prospettiva dell’armarsi in ogni singolo paese, e si continua ad ignorare che l’Europa non è proiettata a promuovere un modello di pace e convivenza. La si riduce alla difesa armata. È impressionante come in questi due anni, dall’aggressione russa all’Ucraina, ci sia stato un progressivo innalzamento di toni bellici, dalle frasi sul prepararsi alla guerra, all’invio di truppe di terra, alla deterrenza nucleare declinata variamente, mentre scompaiono le parole pace e diplomazia. Anzi chi propone la traiettoria della pace – a partire dal Papa, ma penso anche ai candidati indipendenti nelle liste Pd – viene nella sostanza tacciato di tradimento. Nel dibattito si è passati dall’Europa che fa bilancio comune attraverso gli eurobond per la coesione e lo sviluppo e per affrontare la transizione; dal portiamo ad investimento la sanità per non farla pesare nel deficit, all’idea del debito comune per produrre armi. Indubbiamente una regressione. Di tutto questo nella campagna elettorale per le europee si parla poco, forse anche il desiderio della destra di nascondere di aver dato il suo consenso al nuovo patto di stabilità che regredisce verso l’austerità, la sua assenza di proposte- come dimostra il Def senza previsioni – e le reazioni alle politiche di contrasto al cambiamento climatico finalizzate a sollecitare paure. Proprio per questo è invece importante che le opposizioni qualifichino la loro proposta per l’Europa, giustamente la Direzione del Pd ha approvato il Manifesto, dando priorità alla proposta e non al “totocandidati.”
L’anomalia italiana. L’unico Paese, almeno tra quelli fondatori dell’Ue, in cui il voto delle Europee viene riportato, misurato, sulle beghe interne: chi prende un voto in più tra Pd e 5Stelle o tra Lega e Forza Italia. E l’Europa?
Ogni elezione nel nostro paese diventa un’elezione nazionale, indipendentemente dall’estensione e dal tipo di voto. In questo caso però credo abbia una sua influenza anche il fatto che le europee sono un voto proporzionale, con le preferenze, senza coalizioni ed alleanze. Questo genera nella destra al governo il bisogno di verificare i rapporti di forza interni, ancora più necessario in un’alleanza in cui ogni partito ha la sua “riforma epocale” che cambierà tutto, e l’evidente conflitto che questo genera tra loro va nascosto e nello stesso tempo pesato. Sulle opposizioni ho già detto, aggiungerei che, salvo il Pd, dove la segretaria difende anche all’interno del partito il noi, il senso ed il valore di una comunità, altrettanto non si può dire di altre forze politiche sempre alla ricerca di un’affermazione di una leadership fondata sul personalismo più che sulle politiche. Gioca il suo ruolo però anche il provincialismo di cui parlavo prima, che ha portato anche a paventare la candidatura di Draghi, ignorando l’esistenza ormai consolidata dei candidati a Presidente della Commissione delle grandi famiglie europee, rispetto alla quale non avrebbe senso che l’Italia avesse un suo candidato Presidente, avulso dalla collocazione dei singoli partiti all’interno di un’alleanza, di uno schieramento europeo e non nazionale.
La mattanza di Gaza ha raggiunto dimensioni apocalittiche: 35mila morti, tra cui più di 10mila donne uccise e 15mila bambini morti per i bombardamenti, la fame e le malattie legate alla guerra. E ora Israele ha avviato l’offensiva terrestre a Rafah. Il mondo sta a guardare, e chi osa criticare Israele, in Italia come nei campus universitari di mezzo mondo, viene tacciato di antisemitismo.
Nel mondo democratico i giovani e le giovani sono nelle piazze, vedono l’orrore e chiedono il cessate il fuoco: puntano alla richiesta essenziale. E troppo spesso gli si risponde con una repressione forsennata, indegna di qualunque paese democratico, nelle piazze, nelle università, nei festival. Si censurano parole e musica con l’argomento dell’antisemitismo, ma se si critica la politica di uno Stato si critica una politica, non un’etnia o una religione. Che l’Occidente – anche proprio perché alleato di Israele – non abbia e non faccia la scelta di condannare l’offensiva a Gaza, e non abbia neanche fatto valere i principi umanitari, il diritto al cibo, all’acqua, all’assistenza sanitaria, non solo scava un solco con tanta parte del mondo, ma dimostra una doppia morale sui diritti umani.
Si è forse persa l’idea che, proprio perché siamo democrazie, dovremmo pretendere il rispetto del diritto internazionale, ed essere rigorosi. Questo non toglie nulla alla richiesta della liberazione degli ostaggi, anzi la rafforza. All’orrore del terrorismo oppone la ragione della democrazia. Sono inguaribilmente convinta che la strategia deve essere quella dei due stati, e che ogni bomba sulla striscia di Gaza, ogni nuovo insediamento in Cisgiordania negano esattamente quella prospettiva.
Altro tema caldo, e a lei molto caro, è quello dei diritti dei lavoratori. Fuori e dentro il Pd fa discutere la scelta di Elly Schlein di firmare il referendum della Cgil contro il Jobs Act. In una intervista a l’Unità, Enrico Morando parla di grave errore politico.
Firmare i referendum della Cgil, rilanciare la proposta del salario minimo come legge di iniziativa popolare, continuare ad indicare nella precarietà e nel lavoro povero le ragioni della sostanziale stagnazione del paese e dell’emigrazione di tanti giovani, sono una giusta e necessaria scelta di campo. Non ho mai condiviso il Jobs Act, pensavo allora e penso oggi che fosse una risposta sbagliata ed ingiusta, ma anche se allora si aveva un’altra opinione, se ne deve fare un fatto identitario, siccome lo abbiamo fatto noi va bene a prescindere, o esiste la possibilità e la capacità di valutarne l’efficacia, di considerare se oggi il nostro mercato del lavoro è meglio o peggio? Mi spiace per chi non lo ha capito allora e non lo capisce oggi: l’approccio del Jobs Act, l’intervento sui licenziamenti, sui contratti a termine, l’aver sposato l’ideologia per cui il mercato del lavoro andava “liberato” dai “troppi diritti” hanno generato quella rottura con il mondo del lavoro, quella sfiducia nel voto e nella partecipazione che ancora alimenta tanta parte dell’astensionismo. Credo che, invece di farne un feticcio, sia meglio pensare a cosa serve oggi.
Vale a dire?
Come non manca mai di ricordare la Presidente del consiglio abbiamo un tasso di occupazione più alto. Vero, ma quale occupazione? Un’occupazione più povera: nonostante la maggiore occupazione non cresce la massa salariale, non crescono le ore lavorate, crescono invece i lavori poveri e negli appalti il tempo indeterminato non garantisce continuità né condizioni dignitose. Si può essere a tempo indeterminato ma a part time involontario o in somministrazione. Nel mondo del lavoro c’è chi lavora troppe ore e chi lavora troppo poche ore. C’è chi vorrebbe utilizzare il lavoro agile ma non può perché sottratto alla contrattazione collettiva, e la discussione sulla riduzione dell’orario di lavoro che ha sempre accompagnato le grandi rivoluzioni industriali è viziata da queste diseguaglianze. La destra di governo pensa di avere risolto tutto con l’invenzione dell’occupabilità, definita per categorie: l’età e la composizione familiare. Invece di rispondere alle trasformazioni, colpevolizza chi è marginalizzato. I referendum della Cgil riaprono la discussione, indicando alcuni temi – certo non tutti – e tra di essi propongono di abrogare uno dei decreti legislativi del Jobs Act. Chi in questo vede l’identità offesa, l’errore politico, guarda il dito e non la luna. La luna è che oggi il mondo del lavoro è in difficoltà – basta guardare come non si danno risposte vere, nuove, impegnative al tema della sicurezza sul lavoro – che i salari sono bassi, che i giovani emigrano, e che le regole sugli appalti sono una vergogna. Su tutto questo dovrebbe concentrarsi il Partito democratico, anche reimparando a parlare del lavoro e delle sue condizioni.
Pace, lavoro, inclusione. Una sinistra che non parte da qui può ancora definirsi tale?
Penso sempre che la forza della sinistra, del progresso, sia quella di offrire un orizzonte, un’idea di società che rimuova le diseguaglianze, che offra una vita migliore. La guerra è il contrario di tutto questo, l’emarginazione erode qualunque società, un lavoro inadeguato prelude al disagio, alla povertà, quando non allo sfruttamento. Una politica di sinistra deve avere un’ambizione di pace, proporre diritti universali, contrastare le diseguaglianze. Da qui bisogna partire per definirsi.