La proposta del ministro
Calcio sull’orlo di un abisso, l’authority prova a salvarlo
La proposta del ministro dello Sport Abodi va guardata con favore: un ente indipendente che faccia rispettare i vincoli finanziari sarà utile
Sport - di Astolfo Di Amato
Il ministro per lo Sport e per i giovani, Andrea Abodi, ha comunicato l’intenzione di portare in Consiglio dei ministri una proposta, destinata a divenire decreto-legge, volta a trasferire ad un soggetto pubblico il compito di controllare i bilanci delle società sportive professionistiche.
In un primo momento ha parlato di un’agenzia pubblica, facente capo al Governo. Successivamente, dopo la levata di scudi da parte di molti rappresentanti del mondo dello sport, che hanno denunciato che in tal modo sarebbe stata compromessa l’autonomia dello sport, ha fatto riferimento alla istituzione di una authority indipendente.
La proposta riguarda, in via generale, tutto lo sport professionistico, ma l’attenzione corre subito al mondo del calcio professionistico. I cui dati sono ormai da tempo drammaticamente noti: il sistema calcio perde stabilmente quasi un miliardo e mezzo di euro all’anno; il novero delle società con un bilancio in attivo è limitatissimo, mentre si allunga sempre di più quello delle società non solo in perdita, ma con un indebitamento insostenibile.
Si tratta di una situazione che avrebbe da tempo provocato, in qualsiasi altro sistema produttivo, una radicale trasformazione per non colare a picco. Di fronte a un crac che appare irreversibile, solo una vera e propria rivoluzione può coltivare l’ambizione del salvataggio. Invece, il calcio continua a danzare sull’orlo dell’abisso, che rischia di distruggerlo, perpetuando le beghe e i riti di sempre, senza alcun reale desiderio di adeguarsi alle necessità dell’oggi.
Già questa prima considerazione induce a guardare alla proposta di Abodi con curiosità e con animo aperto: se la crisi del calcio è, oggi, così grave diventa difficile non avere dubbi sulla bontà del lavoro sinora svolto dalla Covisoc, l’organo che nell’ambito della Figc è deputato a controllare i bilanci delle società professionistiche di calcio e a verificare l’esistenza delle condizioni per la iscrizione ai campionati.
Senza, poi, considerare il tema scottante della affidabilità delle poste in bilancio, su cui la vicenda “plusvalenze” ha sollevato molti dubbi. Vale la pena, dunque, cercare di guardare più da vicino la proposta di Abodi, mettendo subito in chiaro che oggetto di considerazione può solo essere l’idea di massima, mancando un testo su cui confrontarsi.
Merita di essere subito spazzata via l’obiezione che una istituzione del genere metterebbe in discussione l’autonomia dello sport. Nel momento in cui il nuovo organismo non è legittimato a determinare le regole di carattere finanziario ed economico, che devono essere rispettate dalle società professionistiche, avendo solo il compito di controllarne il rispetto, davvero non si comprende quale sarebbe la lesione portata all’autonomia dello sport.
Se tali regole continuano ad essere elaborate dalle federazioni, e la proposta non prevede diversamente, la determinazione dei criteri legittimi di gestione è del tutto estranea ai compiti del nuovo ente.
Il punto, evidentemente, è un altro. Se le regole, astrattamente intese, suonano bene e la realtà non solo è difforme, ma è addirittura drammaticamente difforme, significa che il sistema di controlli non funziona.
Un chiaro punto di debolezza sta nella circostanza che, essendo l’organo di controllo interno al sistema, finisce con l’essere, consapevolmente o inconsapevolmente, troppo condizionato da quest’ultimo e, quindi, ha un funzionamento imperfetto.
Di qui la necessità di un organismo esterno che controlli che le regole che si dà ogni Federazione siano, poi, effettivamente rispettate. Del resto, la questione della scarsa efficacia dei controllori interni ad un sistema è problema di portata amplissima.
Basti pensare che una questione del genere esiste persino rispetto ai poteri disciplinari del Consiglio Superiore della magistratura, la cui scarsa efficacia è appunto in genere spiegata con l’appartenenza alla stessa categoria sia dei controllori e sia dei controllati.
L’altra critica che si muove alla proposta di Abodi è che essa aprirebbe le porte ad una invasione del mondo dello sport da parte della politica. Si tratta di una critica che appariva fondata quando l’ipotesi era quella della costituzione di una agenzia governativa.
In quel caso, la dipendenza, quanto meno strutturale, dall’esecutivo avrebbe potuto consentire ingerenze, da parte di chi è al potere, sulla imparzialità dei controlli e della applicazione delle regole per la iscrizione ai campionati.
Nel momento, tuttavia, in cui l’idea di una agenzia è stata sostituita con quella di una autorità indipendente, la critica indicata perde ogni consistenza. L’ordinamento italiano conosce, ormai da molto tempo, la categoria delle authority indipendenti: la Consob, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, l’Ivass, etc.
Si tratta di uno strumento giuridico sempre più largamente impiegato e che, dunque, ha dato buona prova di sé. Del resto, è significativo osservare che nessuna delle authority, che sono presenti in Italia, è mai stata oggetto dell’accusa di essere uno strumento della politica.
La chiave sta, evidentemente, nella circostanza che la qualificazione “indipendente” non è meramente formale e che i criteri di nomina sono tali da garantire una qualità delle persone investite della funzione, che favorisce il puntuale rispetto delle regole.
Il mondo dello sport, in via generale, e del calcio, in particolare, si vanta spesso, per ottenere alcuni privilegi, del ruolo che gioca nell’economia nazionale e del ruolo sociale cui adempie, coinvolgendo milioni di persone. È tutto vero.
Ma proprio per questo non si comprende la pervicacia con cui reagisce alla ipotesi, del tutto ragionevole, di un controllo esterno e indipendente sulla correttezza dei bilanci di chi, operando nel mondo del professionismo, da un lato coinvolge l’interesse di intere collettività e, dall’altro, gestisce delle vere e proprie grandi imprese di spettacolo, quali sono le società professionistiche.