Il caso della filosofa
Donatella Di Cesare assolta, ma così non si normalizzano gli orrori del nazifascismo?
L’uso “leggero” di espressioni come hitleriano, nazista, fascista non rischia di privarle della forza evocativa di tragedie che grondano ancora sangue?
Editoriali - di Astolfo Di Amato
Donatella Di Cesare è stata assolta. È stata una buona notizia. Il ministro Lollobrigida l’aveva querelata per diffamazione per aver detto, riferendosi al ministro che aveva parlato di “sostituzione etnica”: le parole del ministro non possono essere prese per uno scivolone, perché ha parlato da Gauleiter, da governatore neohitleriano.
È una decisione che fa ben sperare anche per Luciano Canfora, querelato da Giorgia Meloni, che è stata qualificata come neonazista nell’anima.
Vi è un aspetto, tuttavia, che suscita perplessità e che si aggiunge al disagio di altre vicende, venute all’onore della cronaca, come ad esempio il saluto fascista durante un funerale fatto da Romano La Russa, fratello del Presidente del Senato, ma soprattutto, per quello che qui interessa, assessore per la sicurezza della regione Lombardia.
Ignazio La Russa ha spiegato la presenza, a casa sua, di una statuetta di Mussolini dicendo che si tratta di un lascito del padre, per lui privo di valore politico.
La sensazione è che certe parole e certi atteggiamenti, forse perché abusati, hanno perso completamente la forza evocativa delle tragedie, che ad essi associa la storia.
È vero che per i millenials quanto accaduto tra le due guerre mondiali fa parte della preistoria ed è anche vero che l’utilizzo di certe espressioni come una clava contro gli avversari politici, senza particolare attenzione al merito, ha finito per farle percepire come un mero armamentario verbale usato da alcune parti nella contesa elettorale.
Tuttavia, le tragedie del nazifascismo sono vere, grondano ancora sangue. E, soprattutto, non vi è alcuna garanzia che non possano ripetersi. Non è banale ricordarle. Il nazismo è responsabile del genocidio di sei milioni di ebrei.
I due terzi, all’epoca, degli ebrei di Europa. Gli ebrei italiani deportati furono 8.564 su circa 35.000. Soprattutto, quelle 8.564 vittime furono il frutto della delazione di cittadini attratti dalla ricompensa offerta o dello zelo di funzionari fascisti.
Del resto, la consegna degli ebrei faceva seguito alla vergogna delle leggi razziali, che tutto il movimento fascista, senza significative prese di distanza, aveva approvato.
Se si tiene presente tutto questo, è utile che espressioni come hitleriano, nazista, fascista perdano la forza evocativa di quelle tragedie e divengano meri insulti da cortile o da salotto?
Non vi è il rischio che l’uso “leggero” di tali espressioni o la accettazione della ripetizione di certi atteggiamenti abbia l’effetto di normalizzarli, di staccarli dagli orrori cui dovrebbero essere indissolubilmente legati e, dunque, di favorire l’oblio di quegli orrori?
È indubbio che utilizzare quelle espressioni per attaccare la destra oggi al Governo del Paese è una tentazione fortissima. Per di più favorita dalla disinvoltura di determinati atteggiamenti, come il saluto fascista, cui si è accennato in precedenza.
Ma, se si guarda quanto accade con un certo distacco, tutto appare essere espressione di un dibattito politico “piccolo”. Su un tema come l’orrore di quanto accaduto tra le due guerre, l’obiettivo dovrebbe essere quello di espandere e mantenere alta la consapevolezza di quell’orrore e non quello di farlo dimenticare togliendo significato ed enfasi alle parole, che lo evocano.
D’altra parte, se Lollobrigida e Meloni si risentono di essere appellati come neohitleriano o come neonazista nell’anima, al punto da presentare querela, non significa che avvertono anch’essi raccapriccio per quelle vicende?
La questione non è giuridica, e perciò non è una questione da affrontare nei tribunali, ma è una questione di sensibilità politica. Di straordinaria importanza per chi intende realmente mantenere vivo quel sentimento di orrore.