Trasferite in 130
La giornata delle detenute evacuate dal carcere di Pozzuoli: non sia infranta la speranza di un futuro migliore
La decisione presa dal Prefetto a causa della violenta scossa di terremoto avvenuta due giorni fa. Il Garante Ciambriello: "Un centinaio di donne resteranno in Campania, l'obiettivo è quello di dare continuità al loro percorso trattamentale e di reinserimento sociale. Ma perché in Italia ci si muove solo quando c'è un'emergenza?"
Giustizia - di Andrea Aversa
Tra le tantissime persone che due notti fa sono scese in strada a causa della forte scossa avvenuta ai Campi Flegrei, c’erano anche 130 detenute. 130 donne che di certo non sono uscite in strada ma sono state costrette a lasciare le loro celle per raggiungere il cortile del carcere femminile di Pozzuoli. Ore molto concitate anche per loro, alle quali era ovviamente impedito di muoversi liberamente. Almeno fino alla decisione del Prefetto di Napoli Michele Di Bari che ha deciso di evacuare le 130 recluse che tra la notte di domenica e la mattina di lunedì scorso sono state trasferite in altri penitenziari.
Evacuato il carcere femminile di Pozzuoli
“Un centinaio di donne sono rimaste in Campania, di cui 43 sono state trasferite presso il carcere di Lauro in provincia di Avellino, circa 25 a Secondigliano e una decina a Salerno – ha spiegato a l’Unità il Garante per i diritti dei detenuti della Regione Campania Samuele Ciambriello – A Lauro vi sono anche cinque mamme detenute con figli. Le recluse restanti sono state invece trasferite in case circondariali fuori regione ma dotate delle strutture e delle risorse adeguate affinché queste donne possano, non solo proseguire la loro detenzione con dignità ma continuare nel loro percorso trattamentale e di reinserimento sociale, così come stavano facendo a Pozzuoli“.
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Oasi e comunità in carcere
Il carcere femminile di Pozzuoli, infatti, nonostante il piccolo sovraffollamento ha rappresentato una sorta di ‘oasi’ all’interno del panorama detentivo nazionale. Oltre alla dimensione di ‘comunità’ che ha permesso di creare un rapporto molto umano, una sorta di ‘asse’ tra la magistratura di sorveglianza, l’amministrazione, le agenti della Polizia Penitenziaria, le educatrici e le detenute, la struttura è stata un esempio per quanto riguarda le attività trattamentali e lavorative dentro il carcere. Basta citare su tutti due esempi: quella della torrefazione delle Lazzarelle che ha permesso a tre detenute di avere un contratto di lavoro e quella della sartoria, progetto nato nel 2021 grazie alla ditta locale Palingem.
L’importanza del lavoro e delle attività trattamentali
“Il nostro augurio e allo stesso tempo la speranza delle detenute – ha affermato Ciambriello – è quello di dare continuità a tutti questi progetti. Di non azzerare tutto ma di implementare il numero di attività che queste donne hanno avuto modo di intraprendere. In Campania, purtroppo, non ci sono strutture adeguate. In altre regioni d’Italia ci sono invece penitenziari più all’avanguardia da questo punto di vista. Sono sempre stato grato al lavoro svolto dalla direttrice di Pozzuoli, Giulia Leone, a tutti gli agenti, alle educatrici e al magistrato di sorveglianza il dott. Gaetano Eboli, sempre disponibili nell’offrire occasioni di riscatto e vivibilità dignitosa alle detenute“.
Sogni e speranze delle donne detenute
A qualcuna delle detenute, in stato di semi libertà, sono stati persino concessi gli arresti domiciliari. L’esempio di come le pene alternative possano essere la miglior cura alle piaghe del carcere. Tra queste c’è proprio una delle lazzarelle, “quando le ho dato la notizia dell’ottenimento della messa in prova – ha raccontato Ciambriello – è scoppiata in lacrime. Tutte hanno giustamente paura che lasciando la struttura di Pozzuoli, le loro speranze in un futuro migliore possano svanire. Lo Stato ha il dovere di non infrangere questi sogni. Tante di queste donne con il loro lavoro, oltre a coltivare la loro possibilità di reinserimento sociale, danno una mano a casa, alle loro famiglie, ai loro figli“.
Le carceri e i detenuti dimenticati
Tuttavia, l’evacuazione del carcere è stata anche l’espressione di una dinamica sbagliata che in Italia si ripete troppo spesso. “Nel nostro paese la maggior parte delle volte di agisce soltanto di fronte alle emergenze – ha dichiarato Ciambriello – I segnali c’erano tutti, ci sono state tante scosse in passato, dopo il delineamento della zona rossa e dei relativi edifici pubblici sensibili, dovevamo aspettarcelo che prima o poi sarebbe scattata l’evacuazione. Stiamo parlando di un edificio secolare, con tanti problemi strutturali che la rendevano, di fatto, insicura. Considerato che i diritti alla vita e alla salute sono prioritari, secondo Costituzione, perché non ci si è organizzati prima?“. Già, perché?