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Intervista a Marcelle Padovani: “Macron è l’unico leader europeista”

Intervista a Marcelle Padovani: “Macron è l’unico leader europeista”

Marcelle Padovani è una delle più autorevoli giornaliste e saggiste francesi, storica corrispondente in Italia del Nouvel Observateur. Tra i suoi libri, ricordiamo Giovanni Falcone. Con Marcelle Padovani. Cose di cosa nostra (Bur Biblioteca Univ. Rizzoli), un libro che ha venduto 1,2 milioni di copie ed è una pietra miliare nella letteratura sulla mafia e chi l’ha combattuta; Mafia, mafie (Gremese Editore); Leonardo Sciascia, la Sicilia come metafora. Intervista di Marcelle Padovani (Arnoldo Mondadori editore) Les Dernières de la Mafia (Folio Actuel Inedit); Vivre avec terrorisme: le modèl italien (Calmann-Lèvy); La lunga marcia del Pci (Mursia).

L’Italia l’ha narrata in libri che hanno lasciato il segno, e lo stesso dicasi per la Francia. E del lascito di Giovanni Falcone, Marcelle Padovani parla con l’Unità a 32 anni dalla strage di Capaci (23 maggio 1992). La nostra conversazione parte dall’Europa e da elezioni che bussano ormai alle porte.

Le elezioni europee bussano alle porte. È tempo di un primo bilancio. Lei da osservatrice attenta sia di cose francesi che di quelle italiane, che idee si è fatta delle campagne elettorali nei due paesi?
Devo dire che poche volte in passato c’è stato uno scarto di percezione e di iniziativa tra Francia e Italia, o per meglio dire tra i rispettivi attori politici, come in questa occasione.

In che senso?
In Francia in questa campagna elettorale si parla di temi europei. In Italia, invece, si parla soltanto o prevalentemente di temi italiani. Non ho sentito parlare di un tema europeo. Questa è la prima cosa che mi ha colpito. L’altra, per molti versi ancora più importante, è che in Francia c’è una leadership politica che crede realmente nell’Europa. Macron è probabilmente l’unico capo di Stato europeo che crede realmente nell’Unione e ne vuole riformare le istituzioni. Chi c’è di altro? Scholz non ce la fa più, non parliamo poi dell’Italia.
Qui c’è una premier che è europeista a giorni alterni. Che si lascia andare ad ostracismi antieuropei quando si lascia andare ad un po’ di propaganda politica come ha fatto con Vox in Spagna. Tra i temi europei di cui si parla in Francia, c’è quello dell’elezione diretta del presidente della Commissione. C’è poi il tema del cambio della governance europea per scelte più rapide così come della revisione dei regolamenti di Dublino. Poi c’è il problema dell’Unione Europea rispetto all’Ucraina. L’idea di mandare soldati europei, creare una deterrenza, è un embrione di difesa europea. Quando l’ha lanciata, non è che Macron volesse impaurire ma far riflettere sul fatto che questa è un’occasione per creare le basi di una difesa europea. Si parla parecchio anche degli eurobond da utilizzare per l’energia e la difesa comune. Per una volta, trovo la campagna elettorale francese molto al di sopra, come contenuti e come scommessa, di quella italiana. Una cosa mi ha colpito particolarmente di questa campagna elettorale in Italia. Colpita in senso negativo.

Vale a dire?
I piccoli, piccolissimi partiti che gareggiano soltanto per esistere. Questo in Francia non c’è.

Per restare sull’Italia, che lei ha raccontato in lungo e in largo, una Italia che non discute di questi grandi temi legati al futuro dell’Europa, in un mondo segnato da guerre come quelle in Ucraina e in Palestina, che Italia è? Una italietta chiusa in sé stessa, ultra-provinciale?
Io ho raccontato per quarant’anni una Italia-laboratorio. Questo è un paese-laboratorio, che ha vissuto in prima persona vicende che l’Europa ha poi sperimentato. L’Italia è il primo paese che ha vissuto il fascismo. È stato il primo e probabilmente l’unico paese in cui c’è stata una resistenza di popolo per cacciare i fascisti. Dal peggio è nata qualcosa di interessante. Non solo. C’è stato un Partito comunista molto forte, radicato, che sembrava chiuso, eterodiretto anche se poi non era così,e poi c’è stata la meraviglia del 1975-’76 di un Berlinguer che guarda alla Nato piuttosto che al patto di Varsavia e che propone il compromesso storico. Anche qui, l’Italia come laboratorio politico e culturale. L’Italia è il paese che fa i conti con il terrorismo di sinistra. È stato il primo paese in Europa a sperimentarlo. E il primo a sconfiggerlo. Nell’82 si può dire che il terrorismo rosso è sconfitto. Senza tribunali speciali, senza rivoluzioni di palazzo. In Francia, invece, dove ci sono stati pochissimi casi di terrorismo rosso, si sono istituiti subito tribunali speciali, varate leggi speciali etc. E poi non dimentichiamo mafia e antimafia.

Tema a lei particolarmente caro.
L’Italia ha inventato la mafia ma anche l’antimafia. Pietro Grasso lo diceva un po’ scherzando, ma è vero. L’antimafia è stata costruita qui e adesso non c’è una magistratura al mondo che non sogni una legislazione antimafia come quella italiana. Oggi siamo in una situazione difficile da definire, dove ci sono delle destre che non sono totalmente tali, una estrema destra che naviga a zig-zag tra nostalgie del passato e tentativi di affrancarsi da esso, una destra populista. Spero, di più, ne sono convinta, che a un certo punto questo paese inventerà qualcosa. Non sono un oracolo, quindi non saprei dire cosa s’inventerà. Ma l’Italia è un paese ricco, creativo, che non è strangolato da schemi e strutture irremovibili.

A proposito di pagine importanti, spesso drammatiche, e di personaggi importanti nella storia d’Italia: domani (oggi per chi legge) è il 32° anniversario della morte di Giovanni Falcone e della strage di Capaci. Lei ha scritto libri memorabili con lui e su di lui. Trentadue anni dopo, cosa rimane della lezione di Giovanni Falcone?
Rimane moltissimo. Prima di tutto, ci sono le leggi antimafia, che sono uno splendore. La legge sui pentiti, che incoraggia la collaborazione. Ancora oggi ci sono 949 collaboratori di giustizia in Italia, che sono sotto la protezione dello Stato per avere rivelato parecchio delle loro organizzazioni criminali. Questo rimane. La legge sui collaboratori di giustizia, dicevo. E poi quella che permette di inquisire e se accertato di condannare un mafioso anche se non ha commesso un delitto specifico ma in quanto membro di un’organizzazione criminale, mafiosa. Oggi si può dire, a ragione, che Cosa nostra è fuori uso. Non è più riuscita a combinare niente, da nessun punto di vista. C’è la ndrangheta che esiste soprattutto all’estero, a capo del narcotraffico, e poi c’è la camorra che non vive un periodo di espansione. In Italia nel 1981 c’erano più di cento morti per mafia, oggi se ce ne sono due o tre…Questo per dire, che il metodo Falcone, le leggi che ha voluto Falcone, le istituzioni che ha voluto – la Procura nazionale antimafia, la polizia centralizzata etc. – le ha volute lui e sono in atto, funzionano, sono efficaci.
Il vero problema oggi della mafia, che Falcone aveva intuito per primo, è la mafia economica. Che non uccide più e che è entrata sempre più, a “passi felpati”, nell’economia legale, a volte con dei metodi illegali, come la corruzione, il non pagamento dell’Iva, l’evasione fiscale. Il tutto viene a supportare dei comportamenti e attività legali già esistenti. In questo scenario, il punto cruciale è sapere oggi come il governo e il parlamento si attrezzino per sconfiggere questa nuova versione della mafia economica, la mafia del business. Anche questa mafia del business, Falcone l’aveva intuita, indagata. Ho ritrovato sue affermazioni in cui diceva che il problema sono i soldi, la finanza… «Segui i soldi, troverai la mafia», è la frase che è rimasta alla storia. Con la declinazione, condivisa con il suo collega di Milano Giuliano Turone, era il 1982: “Il vero tallone d’Achille delle organizzazioni mafiose è costituito dalle tracce che lasciano dietro di sé i grandi movimenti di denaro connessi alle attività criminali più lucrose. Lo sviluppo di queste tracce, attraverso un’indagine patrimoniale che segua il flusso di denaro proveniente dai traffici illeciti, è quindi la strada maestra nelle investigazioni in materia di mafia”. È così, Il suo tavolo di lavoro, al tribunale di Palermo, era coperto di assegni da controllare. Lui controllava tutto. Il metodo Falcone ha funzionato. Se fosse vivo non potrebbe non essere contento, Giovanni Falcone.

I suoi libri sulla mafia fanno parte della storia di questo Paese. Se lei dovesse in pochissime parole, raccontare a un millenial chi è stato Giovanni Falcone…
Giovanni Falcone è stato un magistrato siciliano, concreto ed efficace, che aveva il senso dello Stato.