Fdi non cresce più
Giorgia Meloni frena nei sondaggi: tra flop redditometro e slogan vuoti così si è incartata
Le continue rimostranze di Salvini e Tajani, l’austerity risorta, gli slogan vuoti, le promesse infrante: i sondaggi segnalano per la premier uno stallo allarmante
Politica - di David Romoli
Proprio alla vigilia di una prova attesa da troppo tempo, perché una campagna elettorale eterna, lunga un anno, come quella per le prossime europee non si era mai vista, Giorgia Meloni perde colpi.
Non sul palcoscenico europeo, dove tutto è in forse ma i segnali sono per lei confortanti, bensì su quello interno. La situazione si presenta come opposta a quella del governo gialloverde, che macinava consensi all’interno ma si era aggiudicato in tempi record la palma di bestia nera per eccellenza a Bruxelles.
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A palazzo Berlaymont la premier italiana va forte: ha conquistato la fiducia di cui difettava al momento della vittoria nelle elezioni, con la nomina del prossimo presidente della Commissione conta di entrare a pieno titolo nella cabina di regia europea ed è probabile che ci riesca.
In Italia invece la marcia per calamitare consensi segna il passo. Lo dicono i sondaggi, che vanno sempre presi con le pinze, ma lo dice anche una sensazione diffusa, comune a tutti quelli che bazzicano la politica, a vario titolo, per professione.
Non significa che il partito della premier non si confermerà primo fra tutti. Però al momento e salvo possibili sorprese combatte per restare al livello delle elezioni politiche, tra il 26 e il 27%.
Molto in generale, poco in questo caso particolare. Nel loro aspetto di sondaggione interno, le europee premiano di solito chi governa: Renzi fece il pienissimo, Salvini si inebriò al punto di sognare “i pieni poteri”.
Politicamente, restare ancorata alla quota del 2022 per la premier sarebbe una sconfitta e non sembra che sia destinata a scostarsi molto da quella quota.
Nonostante la presenza acchiappavoti in testa alle liste, elemento che renderebbe il galleggiamento a quota 26 ancor più deludente. Nonostante appena pochi mesi fa la tendenza sembrasse diametralmente opposta.
Sono però intervenuti due elementi che rischiano forte di rovinare a Giorgia la festa elettorale. Il primo è che questo governo si trova per la prima volta da parecchi anni a dover fare i conti con le tasche vuote.
I gialloverdi avevano tentato l’azzardo di ignorare le regole europee. In Italia ciò li aveva resi popolarissimi. In Europa li aveva inscritti in una lista nera e Salvini ha pagato a caro prezzo quella lettera scarlatta.
Poi è arrivato il Covid e per un bel pezzo il rigore è finito nel cassetto. Dal quale è rispuntato fuori e per il governo significa dover deludere di brutto il proprio elettorato, come si è puntualmente verificato e sempre più si verificherà.
La maggioranza, poi, tutto è sembrata tranne che compatta. È vero, come rivendica sempre la presidente, che al momento del voto tutti rispondono disciplinatamente all’appello.
Ma l’immagine di un governo e di una maggioranza non si forma al momento del voto ma nella telenovela quotidiana, e qui le incursioni di Salvini, i distinguo di Tajani, gli scivoloni quotidiani di questo o quel ministro hanno restituito un’immagine per nulla rassicurante. Per gli alleati è questione di vita o di morte, e infatti i sondaggi premiano entrambi, sia la Lega che Fi. Per la padrona di casa l’effetto è opposto.
È probabile che con lo scabroso caso Redditometro piova sul bagnato. La premier non poteva uscirne peggio: ha dato l’impressione di non controllare la sua squadra, di non essere neppure messa al corrente di un passo di quella portata, un colpo allo stomaco per un elettorato cresciuto a pane e campagne antifisco di Silvio Berlusconi.
La retromarcia è stata un ulteriore ferita, perché la presidente decisionista è sembrata essere costretta alla retromarcia dall’insurrezione dei suoi alleati.
Infine il solo fatto che di redditometro si sia parlato, che fosse anzi già stato varato salvo poi essere “sospeso”, che può anche essere inteso come classico congelamento pre-elettorale fa fischiare le sirene d’allarme alle orecchie degli elettori della destra.
Una cosa è non poter mantenere le promesse, e già non è di quelle che facciano piacere né agli elettori né agli eletti. Ben altra muoversi in direzione opposta, ma anche questo è uno scotto alle condizioni europee che la governante dovrà pagare non nei prossimi mesi ma nei prossimi anni.
La frenata della premier, sempre che sia confermata dai fatti anzi dai voti, premia una Elly Schlein che ha fatto pochissimo, non è mai andata oltre l’elenco di slogan e potrebbe trovarsi a poca distanza dalla rivale inseguita. Del resto è una pargola di Prodi: nella strategia del semaforo ci si ritrova come a casa di uno zio.