Il parlamentare dem

Intervista a Roberto Morassut: “Ecco perché serve una patrimoniale”

«La proposta di Oxfam è fortissima: un prelievo dello 0,1 sui patrimoni oltre i 5 milioni e mezzo per un gettito annuale di quasi 16 miliardi finalizzato a un grande programma sociale per la transizione ecologica, la equità fiscale e il sostegno ai redditi»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

28 Maggio 2024 alle 13:00

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Intervista a Roberto Morassut: “Ecco perché serve una patrimoniale”

Roberto Morassut, parlamentare Pd e membro della Direzione nazionale, Vicepresidente della Fondazione Giacomo Matteotti: in una impegnata intervista a l’Unità, Goffredo Bettini ha posto con forza il tema della riforma del Pd.
Sono convinto da tempo, credo si possa darmene atto, che per il Partito Democratico sia giunto da tempo il momento di una nuova storia.
Il cammino dei “Democratici” ha attraversato due cicli decennali: il primo è stato quello dell’Ulivo, poi spentosi mestamente nell’ “Unione”, il secondo ha visto la nascita del Pd, grazie a Veltroni e ha raccolto le tradizioni fondamentali del Patto Costituzionale in un nuovo Partito, che, tuttavia, solo per brevi momenti è apparso quella forza nuova, aperta e popolare che avevamo voluto e immaginato, intuendo che la società italiana esprimeva l’esigenza di nuove partecipative non più compatibili con quelle tradizionali dei “partiti”, di certi loro riti, di certe forme di selezione dei gruppi dirigenti, e che le forme della intermediazione tra le masse e la politica avevano intrapreso strade più mobili. Fu usato impropriamente il termine di “partito liquido” per caratterizzare negativamente la ricerca di un nuovo modello di organizzazione politica, democratica e partecipativa più permeabile con un vasto tessuto civico e associativo, con un arco di valori delle generazioni più giovani che da tempo ha superato i confini e gli argini di una certa idea e prassi del “partito”. L’onda lunga del’68, con la definitiva affermazione di un principio antigerarchico nella vita civile e che non considerava e non considera più i partiti e nemmeno i sindacati storici la guida unica e assoluta della democrazia partecipata era arrivata al suo massimo punto di evoluzione, mescolandosi anche col sorgente populismo organico delle società contemporanee, portando milioni di persone a “militare” fuori i partiti, a trovare soddisfazione e appagamento in forme civiche e associative le quali, tuttavia, senza una infrastruttura comune, sono continuamente esposte al rischio della provvisorietà, se non di un ribellismo antipolitico e antipartitico che confluisce nel qualunquismo. Questo è il nostro problema irrisolto, senza quella “Costituente” che propongo da tempo e che ritualmente viene rispolverata come parola d’ordine, nelle primarie, per poi essere lasciata cadere noi staremo sempre a discutere di questi problemi in modo stanco, rituale, sterile.

Di chi e da quando datare le responsabilità?
Ci sono state cause oggettive e cause soggettive che hanno condotto alla mancata realizzazione del progetto del Pd e sarebbe lungo elencarle qui; l’ho fatto in un mio recente e asciutto libro che si intitola Centopagine che sto presentando con molta soddisfazione in giro per l’Italia, in tanti piccoli eventi. Sintetizzando, direi che tra le cause oggettive vi è la crisi delle fondamenta delle società occidentali sempre più accelerata dopo il 2008 che ha distrutto i ceti medi tradizionali e trasformato il lavoro mettendolo in discussione come dimensione sociale aggregata e persino come valore ed etica, colpendo un crisma irrinunciabile della sinistra occidentale. La rivoluzione tecnologica che sta cambiando e ribaltando il rapporto tra uomo e tecnica fa cadere presupposti millenari della cultura occidentale in base ai quali l’uomo è al centro del mondo e attraverso la tecnica usa la Natura. Questo non è più vero, già oggi. Perché la Natura si ribella e la tecnica ha assunto una centralità che scalza quella dell’uomo. La necessità di un nuovo umanesimo, totalmente diverso, finisce per avere una conseguenza su quella idea aristotelica dell’Uomo come “animale politico” e quindi su tutta la politica. Tra le cause soggettive e più immediate ci metto il fatto che il Pd sia per le leggi elettorali anticostituzionali che vigono in Italia dal 2006, sia per la condizione di essere stato un partito “croce rossa” non ha potuto fare il suo mestiere e si è acconciato a svolgere un “servizio”, perdendo l’anima. Però sul piano interno le conseguenze di questa stagione non sono ancora superate, benché l’immagine esterna stia cambiando in positivo, secondo me. Dobbiamo considerare un fatto, poi…

Quale?
I partiti sono entità biologiche, sono fatte di persone e di idee in rapporto col mondo. Evolvono e se non lo fanno muoiono. In occidente i partiti nati dopo la Rivoluzione Francese erano espressione della borghesia. Avevano un carattere di classe e censitario. In Italia in modo particolare. All’inizio del XX secolo questo carattere si è ridotto, con il sorgere del movimento operaio. Ma essi erano organizzazioni di dirigenti, di quadri con una limitata partecipazione di massa, dopo la parentesi reazionaria del fascismo, le masse hanno invaso i partiti che, non hanno caso, cambiarono radicalmente nelle loro forme dopo il ’45, diventando la guida esclusiva dell’ascesa di quelle masse alla democrazia. Dal ’68 molti strati popolari si sono affacciati alla politica attraverso movimenti e altre istanze indipendenti dalla politica segnando un’autonomia che però solo raramente ha trovato risposta in una nuova infrastruttura politica che deve essere a rete, per usare un’espressione forse abusata ma chiara. Per questo ritengo che una “Costituente” di un nuovo soggetto politico che segni l’evoluzione del Pd in una stagione nuova in modo visibile debba giungere a costituire un partito-movimento e che faccia a meno della parola “partito” non per una stupida furbizia propagandistica o per un cedimento al populismo ma perché anche le parole hanno un sapore, una vita e quando si bruciano, per la storia, vanno cambiate. Vi ricordate la famosa camicia sporca di Lenin quando, dopo la Prima Guerra Mondiale, mutò il nome del partito russo da socialdemocratico in comunista? Ecco parliamo di questo. Ma non voglio restare solo su un terreno astratto e voglio dire un’ultima cosa sul presente.

Un presente che dire incerto è peccare di ottimismo, quanto poi al futuro…
Dopo le elezioni europee serve una mossa del cavallo su tre temi: le riforme costituzionali, il governo del territorio, il fisco. Sul primo tema credo che noi dobbiamo chiedere uno stop e mettere in campo la disponibilità a discutere di una riforma semipresidenziale alla francese con una legge elettorale uninominale a doppio turno perché la natura parlamentare della Repubblica è, purtroppo, in discussione nei fatti e non credo si possa lasciare alla destra l’uso distorto di questo fatto con il premierato. Elezione diretta sì ma del presidente della Repubblica e con poteri chiari, definiti e invalicabili del Parlamento. La Costituzione non si cambia con un colpo di maggioranza. Ci si è dimenticati tutti della grande lezione del dopoguerra. C’era una crisi politica che a maggio del ‘47 spaccò la coalizione antifascista ma fino a dicembre l’Assemblea Costituente lavorò alle nuove regole per creare un tessuto costituzionale unitario. Senza quella unità di principi il paese sarebbe precipitato nella guerra civile in tante occasioni. Lo stesso vale oggi. Faccia attenzione la destra. Cambiare la Costituzione in questo modo apre una voragine con una parte del Paese e non solo con l’opposizione politica e parlamentare. Sul secondo tema dico questo: tutto nasce dalla terra e finisce nella terra. La nostra vita, il nostro fare è legato alla gravità che ci dà la vita, la gioia ma anche la inevitabile predisposizione ad essere sostituiti da altri nuovi viventi. Usare bene la terra è il primo dovere di una civiltà avanzata: risparmiare il suolo ma anche organizzare lo spazio fisico secondo principi di equità e di salute. E questa è una vera emergenza per l’Italia che non può più sopportare secoli di uso della terra a fini di creazione di gerarchie e ingiustizia, di rendite di classe ormai insostenibili per la natura e per la fragilità dei nostri monti, mari, colline…. Dai Gracchi in poi è stato chiaro al popolo che si comanda o si sta sotto in base a come la terra è usata e gestita. Il governo ha emesso un decreto miserevole cercando di fare un po’ di populismo regalando 5mq di abusi per ogni 100… l’equivalente di uno sgabuzzino, di un gabinetto… Ma qui il problema è dare respiro al suolo, far crescere la città pubblica, rilanciare l’edilizia sociale, rigenerare in primo luogo socialmente le città (perché la rigenerazione urbana non è solo fare bella edilizia ma cambiare il tessuto sociale di certi luoghi), cambiare le forme degli spostamenti e della residenza. Serve un grande provvedimento di strategia, basta con misure puntuali alle quali anche noi abbiamo ceduto. L’Italia ha sempre sofferto le grandi riforme del governo dei suoli per la natura arretrata del suo capitalismo che è nato e cresciuto utilizzando la terra e non il sottosuolo per svilupparsi… abbiamo sfiorato dei golpe per questo…abbiamo un regime proprietario del suolo agricolo che impedisce una forte riconversione ecologica, abbiamo un modello insediativo secolare che ha portato tanto popolo a vivere in luoghi inospitali e a rischio perché il suolo migliore era in mano al latifondo o agli eserciti e tanto altro ancora…

E poi c’è la “questione fiscale” che non investe solo la sfera economica e finanziaria ma, per altri versi, anche quella “culturale”.
Sul fisco occorre usare parole chiare e comprensibili al ceto medio e al popolo, avanzando la proposta di una patrimoniale per i grandi patrimoni e le grandi rendite. La proposta di Oxfam è fortissima: un prelievo dello 0,1 sui patrimoni oltre i 5 milioni e mezzo per un gettito annuale di quasi 16 miliardi finalizzato a un grande programma sociale per la transizione ecologica, la equità fiscale e il sostegno ai redditi (con particolare attenzione ai lavoratori della scuola e della sanità). In questo modo daremmo l’idea di una svolta vera. Di un partito che apre i suoi confini e si spende per una nuova classe dirigente e mette in discussione le rendite interne e di un partito che vuole rinnovare le istituzioni e perseguire con radicalità un programma di maggiore giustizia sociali. Il profilo che, per tanti motivi, ci è mancato in questi dieci anni.

28 Maggio 2024

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