I rappresentanti delle studentesse e degli Studenti eletti in Consiglio di Amministrazione dell’Università La Sapienza di Roma sono intervenuti ieri a nome dell’intera comunità studentesca di Ateneo esprimendo indignazione nei confronti delle proteste violente e dagli atti vandalici compiuti da “poche decine di individui che occupano da alcune settimane il pratone della Città universitaria“, si legge in un comunicato dell’Università romana. “Gli orrori che si stanno perpetrando in Palestina, e non solo, meritano attenzione da parte del Governo e da parte di tutte le istituzioni – affermano gli studenti – L’ultimo raid avvenuto a Rafah ha suscitato l’indignazione e lo sconforto del mondo intero. Ora più che mai c’è bisogno di un’azione congiunta per fermare questa catastrofe umanitaria, noi stessi come Sapienza abbiamo chiesto e dobbiamo continuare a urlare con forza di cessare il fuoco e di interrompere il massacro ingiusto di migliaia di civili. Le manifestazioni, in questo momento, sono fondamentali ma non devono essere monopolizzate nelle loro forme“.
I danni a La Sapienza di Roma
“Le pareti della nostra università sono imbrattate di scritte di odio contro tutti, contro i nostri colleghi, contro la Rettrice, contro le istituzioni, persino contro artisti, facendo ironia e perdendo di vista il senso reale della protesta. Stanotte, purtroppo, anche la sede destinata alle rappresentanze democraticamente elette, la nostra unica sede, e persino le bandiere della Pace che abbiamo esposto, sono state imbrattate da insulti nei nostri confronti. Queste azioni danno solo sfogo a chi cerca spazio per danneggiare e per schernirsi di chi, invece, la loro protesta la sta rispettando. È offensivo nei confronti del dramma che sta accadendo, vedere pubblicati video di attività e giochi svolti in leggerezza, gli ultimi proprio la scorsa domenica. L’eccesso di libertà di alcuni, oggi, sta limitando le libertà di tutti gli altri di vivere gli spazi comuni e sta accentrando un tema che appartiene a tutti e di cui dobbiamo farci portavoce. Mentre noi discutiamo in questa sede, migliaia di civili continuano a morire. Vogliamo che tutti gli occhi siano concentrati su Rafah, non su altri atti vandalici e violenti nella nostra Università. Noi che rappresentiamo tutti gli Studenti, oltre 100.000 in tutto l’Ateneo, sappiamo che i nostri colleghi vogliono che si parli di Palestina e di Pace, ma non in questo modo“, hanno concluso gli studenti.
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Firenze, Padova, Torino
Quello della capitale non è l’unico caso. Come riportato da Il Foglio, all’Università di Firenze ci vorranno centinaia di euro per ripulire le scritte con la stella di David comparse sulla porta di un professore nel dipartimento di Giurisprudenza. Al Politecnico di Torino ci vorranno migliaia di euro per riparare porte e infissi divelti dai manifestanti. A Padova, la rettrice Daniela Mapelli, ha dichiarato che il 60% dei manifestanti non sono studenti dell’ateneo ma membri dei centri sociali del Veneto. Qui l’amministrazione dell’ateneo sarebbe pronta a fare causa agli occupanti per un risarcimento di 106mila euro (che non comprende eventuali danni al patrimonio artistico dell’università e i servizi di vigilanza e pulizia extra). Questo lo scempio causato dai teppisti: bagni imbrattati, schotch e adesivi attaccati su colonne, muri e grondaie storiche del palazzo, giovani che hanno dormito all’interno dell’aula studio, appena ristrutturata e affrescata, che ha al suo interno i tavoli e le sedie disegnate da Gio Ponti.
Il manifesto di Milano
A Milano, invece, si sono unite le associazioni Unione dei giovani ebrei d’Italia (Ugei), Studenti per le libertà, Obiettivo Studenti e Università Liberali, hanno redatto un manifesto rivolto agli atenei occupati del capoluogo lombardo e agli studenti occupanti, non solo per rispettare il diritto altrui allo studio, ma per intimarli di abbandonare qualsiasi atteggiamento violento e antisemita. Nel documento gli i giovani ‘dissidenti’ hanno chiesto, in primis di non interrompere i progetti di ricerca con le università israeliane che nulla c’entrano con la guerra in corso e in secondo luogo di discutere in modo liberale e democratico – con tutti gli organi degli atenei – le decisioni da prendere evitando azioni violente e unilaterali.