Uno dopo l’altro i Paesi Nato si spostano sulla linea che appena tre giorni fa sembrava, ma evidentemente non poteva essere, un vaneggiamento solitario del segretario della Nato Stoltenberg.
La Francia è apertamente favorevole a eliminare il caveat che vieta all’Ucraina di usare le sue armi per colpire le basi missilistiche da cui partono gli attacchi in territorio russo e si accinge a inviare i suoi istruttori a Kiev.
La Germania è passata in meno di 24 ore da un fermo no a un sì appena temperato dalla scelta di trattare con Kiev i limiti sull’uso delle sue armi in segreto.
Canada, Finlandia e Polonia hanno già dato il via libera ma la Polonia, Paese di prima linea, annuncia anche la creazione di una zona cuscinetto con la Bielorussia, misura ai confini della belligeranza.
Il presidente Biden “sta riflettendo”. L’amministrazione sarebbe divisa ma tutto indica che entro luglio, quando si svolgerà il Consiglio Nato a Washington, la decisione di permettere a Kiev di colpire in territorio russo, sia pur prendendo di mira solo le batterie sul confine, sarà stata presa e forse anche da un pezzo, perché Biden non vuole arrivare a quell’assemblea con Kiev in troppo cattive acque.
La premier italiana tace e continuerà a tacere. Non vede motivo di prendere posizione su un terreno così scivoloso, fanno sapere i suoi. Inoltre l’escalation mette nei guai il Pd, perché rendere i tormenti di Elly meno feroci dimostrando che a Chigi la situazione è anche più difficile? I guai del Pd ci sono davvero.
È un partito in cui c’è tutto e il contrario di tutto, con l’ex direttore di Avvenire, il candidato Tarquinio, che vorrebbe lo scioglimento della Nato e una corposa area del partito che è invece ancora sulla posizione iperatlantista dell’ex segretario Letta.
Elly se la cava assicurando che quello del direttore cattolico è “un parere personale che non rispecchia la posizione del partito” (e come potrebbe, dato che quella posizione non c’è?) ma almeno sull’uso delle armi contro il territorio russo si dice contraria senza troppi dubbi.
Peccato che nell’assemblea dei parlamentari Nato di Sofia l’emendamento canadese favorevole a colpire le basi da cui partono i missili in Russia sia passato (con soli 9 voti contrari su 200) anche con il sì dei parlamentari del Pd.
Anche la posizione del governo, almeno su questo punto e con sensibili differenze di tono tra FI e la Lega, sembrerebbe determinato. Salvini sbraita, ma è campagna elettorale: “Macron e Scholz pretendono di decidere per tutti: stanno spalancando le porte a una guerra planetaria”.
Crosetto, in aula, è più pacato e prudente: “Non ci siamo spostati di un millimetro dal solco di regole tracciato dal governo precedente”. Lui però aggiunge che sta pensando di eliminare in parte (“Come fanno tutti gli altri”) il segreto sulle forniture militari all’Ucraina.
Tajani si è già fatto sentire nei giorni scorsi, molto più sfumato e diplomatico del collega vicepremier leghista ma altrettanto fermo nel bocciare l’eliminazione del caveat sul colpire il territorio russo.
Ma lo stesso il silenzio della premier pesa e appare difficilmente giustificabile, nonostante i calcoli da campagna elettorale che impugnano i suoi per spiegare il silenzio.
L’Italia è il terzo Paese per importanza dell’Unione, i primi due, Francia e Germania, si stanno facendo sentire anche troppo. Il silenzio del capo del governo italiano è quasi imbarazzante.
L’imbarazzo di Giorgia Meloni è sin troppo chiaro. Deve alla posizione ipertalantista sin qui seguita buona parte della credibilità internazionale che, a sorpresa, ha conquistato, sia nell’Unione europea che nel rapporto con Washington.
Spostarsi adesso sulle posizioni delle colombe potrebbe non restare senza conseguenze proprio in termini di riconoscimento politico e garanzie di affidabilità.
La presidente italiana, inoltre, mirava e mira a giocare un ruolo di primo piano nella regia della politica europea e non le sarà facile se Nato e principali Paesi dell’Unione assumeranno apertamente una posizione dalla quale l’Italia dovrà scostarsi.
Ma, almeno per ora, la determinazione del governo resta quella di non permettere l’uso offensivo delle armi. Un appiglio lo offre la Costituzione, con pieno placet di Mattarella: la Carta permette solo azioni difensive e attaccare il territorio di un altro Paese sarebbe gesto di natura opposta. Lo scudo c’è ma è fragile, il diritto internazionale alla difesa consente di colpire chi ti aggredisce.
I veri problemi sono la divisione della maggioranza e il consenso. Nonostante Salvini abbia sin qui, tra un ringhio e l’altro, ingoiato tutto probabilmente non reggerebbe alla cancellazione del caveat sugli attacchi al territorio russo.
La maggioranza degli italiani, inoltre, è sempre più contraria all’escalation: scegliere la strada della Francia e della Germania significherebbe travasare voti alla Lega.
Per ora l’Italia pensa quindi di cavarsela “all’italiana”, offrendo cioè alla Nato contropartite: maggior impegno nel Mediterraneo, probabilmente quell’aumento delle spese militari che la Nato esige e che comunque data la situazione grama delle casse italiane sarebbe già di per sé un bel problema. Ma la situazione è in movimento ed è possibile che di qui all’assemblea Nato di luglio l’equilibrismo muto di Giorgia non basti più.