Pubblichiamo un estratto della prefazione del libro di Franco Corleone 10 giugno 1924. Il fascismo uccide la democrazia (edizioni Menabò)
Viviamo anni torbidi, aggettivo “gobettiano”, e occorre capacità di capire i rischi che si corrono per la democrazia.
Matteotti denunciava l’abuso dei decreti legge da parte del fascismo, ad esempio. La risposta attuale è adeguata in difesa delle prerogative del Parlamento? Mussolini volle essere Capo del Governo con atto di imperio, ma la proposta in campo dell’elezione diretta del premier senza contrappesi che cosa ha di diverso? E la risposta è adeguata alla sfida? È tollerabile la proposta di una legge elettorale che ricorda quella di Acerbo del 1923 piuttosto che la legge truffa del 1953? Ed è tollerabile che si continui a votare con leggi elettorali dichiarate incostituzionali?
La sete di potere e di vendetta da parte degli eredi del Movimento Sociale di Almirante, Rauti e Romualdi non turba la società, i partiti, le associazioni? La minaccia di occupazione della Corte costituzionale pare non allarmare i partiti maggiori dell’opposizione e questa indifferenza per la sorte della massima istituzione di garanzia è assai preoccupante.
Il Mondo, il settimanale di Mario Pannunzio, nel 1960 organizzò un convegno intitolato “Verso il regime”, con la denuncia di una dittatura morbida attraverso l’uso distorto e di parte dell’informazione e della televisione pubblica: oggi a che punto siamo della notte?
È tollerabile la situazione delle carceri in cui diritti e dignità sono cancellati e addirittura da esponenti del governo è stata presentata una proposta di stravolgimento dell’articolo 27 della Costituzione sul senso della pena?
La previsione di tempi lunghi per la caduta di Mussolini vale anche oggi, ma è indifferibile la scelta dello studio e della costruzione di una classe dirigente immune dai vizi e dagli errori compiuti in buona o cattiva fede.
Certo non è tempo di olio di ricino ma i manganelli contro studenti inermi sono comparsi e l’incattivimento e l’odio si diffondono. La crisi della politica è profonda e si può contrastare solo con la severità e la cultura.
Cento anni fa fu assassinato Giacomo Matteotti. Il 10 giugno 1924, è bene ripeterlo, l’Italia subì una svolta autoritaria che fece scuola in Europa e la dittatura si impose. Iniziò l’avventura totalitaria con le guerre imperialiste, l’aggressione alla Repubblica spagnola, la pagina invereconda delle leggi razziali, o meglio razziste e infine l’ingresso nella catastrofe della seconda guerra mondiale.
Ricordiamo anche che venti anni dopo, il 1944, fu un anno terribile. L’eccidio di 335 partigiani, ebrei, civili per una feroce rappresaglia alle Fosse Ardeatine non fu il solo atto di barbarie. In quell’anno furono uccisi Leone Ginzburg ed Eugenio Colorni. Coltivare la memoria è un compito che richiede delicatezza e responsabilità, senza cedere alle suggestioni di condivisioni opportunistiche. Richiedere agli eredi del neofascismo di dichiararsi antifascisti mi pare non solo ingenuo ma un segno di polemica sterile. Temo che se quella pretesa fosse accolta, non saremmo più nulla.
È indispensabile invece una denuncia forte del boicottaggio della legge che ha istituito un Fondo per il risarcimento dei danni subiti negli anni della guerra da parte delle forze del Terzo Reich con il sostegno e la complicità dei fascisti repubblichini. La Presidenza del Consiglio è responsabile di uno scandalo che vede le vittime trattate come creditori e non come carne viva, negando che sia fatta giustizia per reati contro l’umanità, imprescrittibili.
Ecco un esempio che misura la differenza.
Gobetti e Matteotti furono due emblemi negli anni della Resistenza. La Repubblica si affermò per volontà di popolo nel referendum del 2 giugno 1946 e la Costituzione entrò il vigore all’inizio del 1948. Negli anni successivi si impose una cappa di moderatismo e di clericalismo testimoniata dalla lotta contro il culturame. Resistettero oasi di pensiero laico e presìdi della ragione e si aprì anche una stagione di riforme, di diritti civili e sociali, ma l’ombra di una occasione mancata per creare una comunità fondata su valori di umanità e convivialità è rimasta.
Giacomo Matteotti tra i primi aveva parlato nel 1923 di Stati Uniti d’Europa per superare «la frammentazione nazionalista in infiniti piccoli Stati turbolenti e rivali» e il centenario del suo assassinio sarà celebrato in concomitanza con le elezioni europee in un tempo di guerra.
Carlo Rosselli nel 1935 pubblicava un articolo molto denso sul trionfo nazista in Germania intitolato “Europeismo o fascismo” in cui poneva l’urgenza di trovare «un’altra passione più potente, giusta e lucida» per battere la Germania e darsi un concreto obiettivo politico. Rosselli rispondeva alle probabili accuse di utopismo così: «Le utopie dell’oggi possono essere le realtà del domani. I movimenti rivoluzionari, che ancora si attardano alla politica dell’ieri, debbono osare una politica anticipatrice, la politica del domani». Osservava che all’Europa «le mancano i principii; le manca il principio. Nessuna grande politica fu mai di pura forza. Il più grande realismo è intessuto di idealismo».
E non aveva paura di essere considerato un pazzo. «Ebbene, noi siamo di quei pazzi».
Occorreva indicare alle masse un grande obiettivo positivo: «Fare l’Europa. Ecco il programma. All’infuori di ciò non esiste possibilità di vera pace e disarmo; non si sfugge alla miseria e alla crisi… La sinistra europea dovrebbe impadronirsi di questo tema abbandonato ai diplomatici. Prospettare loro sin d’ora la convocazione di una assemblea europea, composta di delegati eletti dai popoli, che in assoluta parità di diritti e di doveri elabori la prima costituzione federale europea, nomini il primo governo europeo, fissi i principi fondamentali della convivenza europea, svalorizzi frontiere e dogane, organizzi una forza al servizio del nuovo diritto europeo, e dia vita agli Stati Uniti d’Europa».
Riconosceva che «le obiezioni erano infinite. La realizzazione di una idea simile, che ci siamo limitati ad accennare nella forma più sommaria, è lunga e difficile».
La conclusione era lapidaria: «Eppure, in questa tragica vigilia, non esiste altra salvezza. Stati Uniti d’Europa. Assemblea europea. Il resto è flatus vocis. Il resto è la catastrofe».
Il filo rosso non si interrompeva. Nel 1941 in piena guerra gli antifascisti federalisti Altiero Spinelli e Ernesto Rossi al confino scrissero un “Manifesto per una Europa federale”, noto come il “Manifesto di Ventotene”. Un testo che è stato il riferimento per la costruzione dell’Unione Europea e che ancora oggi stimola la battaglia per realizzare gli Stati Uniti d’Europa.
La lezione che si deve ricavare oggi dalle figure di Gobetti e Matteotti è di essere all’altezza delle loro vite. All’altezza dei tempi e all’altezza della storia.