Mentre sul piano diplomatico continua a tenere banco la proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden per un cessate il fuoco, nella Striscia di Gaza continua l’offensiva israeliana, in particolare nel sud del territorio controllato da Hamas.
Israele bombarda Gaza e Siria
Nella notte bombardamenti dell’esercito di Tel Aviv hanno causato almeno 22 morti, secondo quanto riporta Al Jazeera, che cita media locali. In particolare, sarebbero 12 le vittime dei raid dell’Idf su Khan Younis e Rafah, nel centro e nel sud dell’enclave palestinese. Altri 10 morti, invece, nei campi profughi di Nuseirat e Bureij.
A Rafah, come sottolinea l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), sono oltre un milione le persone che sono fuggite dall’inizio dell’operazione israeliana. Nella città al confine con l’Egitto si erano rifugiate 1,4 milioni di persone per sfuggire ai bombardamenti nel nord e nel centro della Striscia, salvo poi esser costretti a scappare nuovamente per l’offensiva dell’IDF.
Israele che nella notte ha aperto anche un secondo fronte, questa volta a nord. Almeno 12 persone sono morte in un raid che ha preso di mira una fabbrica vicino ad Aleppo, nel nord della Siria.
Almeno 12 combattenti filo-iraniani, di nazionalità siriana e straniera, sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano su una postazione nella città di Hayyan, a nord di Aleppo, provocando forti esplosioni in una fabbrica”, ha affermato l’Osservatorio siriano per i diritti umani.
Tensioni in Israele nel governo Netanyahu
Se sul fronte di guerra Israele prosegue su un fronte di “unità nazionale”, è nel governo che si fa sentire sempre più forte uno sfilacciamento. “Colpa” del piano presentato da Biden, per un cessate il fuoco in tre fasi in cui si prevede il ritiro israeliano dalla Striscia in cambio del rilascio degli ostaggi.
L’esecutivo di Benjamin Netanyahu, tenuto in piedi grazie al sostegno dell’estrema destra religiosa che controlla 14 seggi alla Knesset (il Parlamento israeliano, ndr), vede quest’ultima sul piede di guerra e pronta a lasciare la maggioranza qualora si opti per un ritiro militare dalla Striscia. L’avvertimento è arrivato dai due leader dei partiti religiosi, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich (leader di Sionismo religioso) e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir (leader di Potere ebraico). Per evitare lo strappo Netanyahu ha chiesto un incontro a Ben-Gvir, nel tentativo di evitare un addio che risulterebbe fatale per il premier.
Primo ministro che al momento non ha ancora ufficialmente né accettato né rifiutato la proposta: sabato ha spiegato solamente che “le condizioni di Israele per porre fine alla guerra non sono cambiate: la distruzione delle capacità militari e di governo di Hamas, la liberazione di tutti gli ostaggi e la garanzia che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele“.