Il decreto criminogeno

Sui lavoratori migranti va fatto il contrario di quello che dice Meloni

La premier vuol consentire l’ingresso nel nostro paese solo a chi è già titolare di un contratto di lavoro: proprio l’impostazione che genera irregolarità e sfruttamento. Bisogna invece creare canali legali di ingresso per ricerca di lavoro

Editoriali - di Gianfranco Schiavone - 5 Giugno 2024

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Sui lavoratori migranti va fatto il contrario di quello che dice Meloni

Le affermazioni della premier Meloni in relazione alle gravi storture e carenze generate dal decreto flussi ben evidenziate nei giorni scorsi dalla Campagna “Ero Straniero sono curiosamente contraddittorie; la Meloni afferma che il Governo intende mettere mano alla normativa in modo da “consentire l’ingresso in Italia solo a chi è titolare di un contratto di lavoro”.

Nell’affermare ciò Meloni non vede (o finge di non vedere) che a generare un sistema malato è proprio l’impostazione del decreto flussi che sta difendendo e che prevede, fin dalla sua originaria impostazione, che possa entrare in Italia solo il lavoratore straniero che già dispone di un contratto di lavoro.

Le distorsioni del sistema sono infatti generate da un impianto irrazionale che prevede un incontro a distanza tra domanda ed offerta di lavoro, ovvero tra un’offerta di assunzione da parte di un datore di lavoro che intende assumere una persona che si trova all’estero e che non ha mai incontrato prima, ovvero non l’ha mai messa alla prova nella propria ditta, non le ha fatto assistere la sua anziana madre, non l’ha testata come cameriere e così avanti.

Chiunque, anche la premier Meloni, sarebbe in grado di comprendere però che nessuno che agisca onestamente assumerà mai una persona che non conosce, salvo si tratti di casi del tutto particolari, come l’assunzione di persone con qualifiche specialistiche (campo non oggetto della programmazione del decreto flussi) che possono essere assunte sulla base del solo loro curriculum, o, all’opposto, persone che si trovano in effetti all’estero e non sono mai venute in Italia, ma sono legate al datore di lavoro da vincoli famigliari o parentali o amicali.

Affermare perentoriamente che la soluzione è dunque consentire l’ingresso per lavoro solo a chi ha già un contratto è un palese non senso che si limita a fotografare il problema che c’è senza offrire alcuna soluzione.

Ciò che accade in Italia da anni è noto a tutti, anche se ognuno finge di non vedere la realtà: nella radicale assenza di canali di ingresso regolari per lavoro i lavoratori stranieri vengono costretti ad entrare irregolarmente in Italia (o a restarvi irregolarmente dopo la fine del loro periodo di soggiorno breve se provenienti da un paese esente da visto) e trovarvi un lavoro in nero, quasi sempre in condizioni di assoluta marginalità e sfruttamento, confidando che il loro datore di lavoro (che spesso, anche se non sempre, è anche il loro sfruttatore, italiano o straniero) al prossimo decreto flussi decida pietosamente (o per tenersi il fedele lavoratore) di fare per lui la domanda di assunzione fingendo che egli si trovi all’estero.

Nel caso la quota venga assegnata il novello lavoratore tornerà nel suo paese di origine per prendere, presso la nostra rappresentanza diplomatica, il suo visto di ingresso in quanto titolare in pectore di un contratto di lavoro da perfezionare in Italia, e una volta giunto nel nostro bizzarro Paese fatto di imbrogli e sotterfugi istituzionalmente predisposti, incontri il suo datore di lavoro che aveva mai aveva visto prima e concluda la sottoscrizione del contratto.

Va da se che tale “servizio” verrà adeguatamente ripagato dal lavoratore, oltre che da sempiterna riconoscenza, in vari altri modi (ad esempio accettare un contratto part-time ma lavorare full-time, rinunciare a ferie ed altre integrazioni).

Una razionale riforma degli ingressi regolari per lavoro deve modificare alla radice questo sistema malato nella direzione opposta a quella indicata dalla signora Meloni ovvero prevedendo che l’ingresso regolare avvenga per ricerca di lavoro, come avviene nella realtà, in Italia e in qualunque altro Paese.

La normativa può ovviamente porre delle condizioni a tali accessi, prevedendo che il lavoratore debba disporre di garanzie economiche (fornite da lui stesso o da terzi sponsor) che ne garantiscano il mantenimento, può prevedere che sia considerato prioritario l’ingresso di coloro che hanno determinate qualifiche o di coloro che hanno frequentato con successo corsi di formazione all’estero riconosciuti dall’Italia, o ancora che possa fare ingresso regolare per lavoro anche colui che era già stato in Italia in precedenza ed era rientrato nel suo paese aderendo a programmi di rientro volontari (di fatto oggi inesistenti).

Una futura normativa razionale si baserebbe dunque sull’esatto opposto di quanto ora avviene ovvero prevedendo un reale incontro tra domanda ed offerta di lavoro e non già presupponendone uno virtuale e immaginario a distanza.

Si tratta di proposte di riforma che sono state da tempo avanzate nel dibattito culturale e giuridico da studiosi ed associazioni. Va detto che purtroppo esse purtroppo in passato non sempre sono state comprese neppure dalle forze politiche del centro-sinistra, ma che sono sempre state rigettate con durezza, anche di recente, proprio dalle forze politiche oggi al Governo.

5 Giugno 2024

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