Il M5s al minimo storico
Che fine farà Giuseppe Conte: l’ex avvocato del popolo che ha affondato il M5S
Dopo l’avvento di Draghi, l’avvocato del popolo non ne ha azzeccata una. Non solo ha affondato il M5s, ma ha ostacolato anche il Pd (vedi Bari)
Politica - di David Romoli
Ammettendo la cocente sconfitta Conte ha riconosciuto che il risultato delle europee è “deludente, molto deludente”. E come avrebbe potuto non farlo, d’altra parte? In realtà il quadro è anche più fosco. Non solo il M5s ha toccato il peggior risultato da quando, nel 2013, iniziò la sua folgorante ascesa. Ha collezionato sconfitte anche nelle comunali, e peggio che mai dove non si è presentato in coalizione con il Pd. Quello è un campanello d’allarme particolarmente grave per l’ “avvocato del popolo”. In questi casi, infatti, non può essere adottata l’abituale spiegazione dei rovesci: l’indisponibilità di una parte del suo elettorato a ritrovarsi a braccetto con il nemico delle origini. I 5S di Conte scivolano dove si vota con il proporzionale, tutti contro tutti. Incespicano quando aderiscono al campo largo. Non riescono a decollare quando vanno da soli anche contro il Pd.
Il caso bruciante è quello di Bari, piazza dove Michele Laforgia, il candidato appoggiato dai 5S, ha sì raccolto il 20% dei consensi imponendo a Leccese, il candidato Pd, il ballottaggio. Ma non è riuscito a scalzarlo, come si augurava Conte, sull’onda degli scandali che il Movimento aveva provato a cavalcare. Fallimento su tutta la linea. Il leader sconfitto promette “una riflessione interna per cercare di approfondire le ragioni di un risultato che non ci aspettavamo”. Forse il M5s dovrebbe avviare una riflessione sull’adeguatezza del suo capo. Tre anni fa un Movimento allo sbando si affidò a un leader che sino a quel momento era stato un tecnico esterno, mai iscritto al Movimento. In quel momento la popolarità di Conte era altissima.
Si era trovato a fronteggiare una crisi enorme e inattesa, il Covid: se l’era cavata bene, anche se molto meno di quanto non apparisse in pubblico, aveva saputo offrire un’immagine estremamente rassicurante, sia nella sua incarnazione di capo del governo con la Lega che in quella di premier con il Pd aveva varato provvedimenti di grande popolarità. Il Pd lo aveva individuato come possibile candidato premier vincente, in buona parte anche grazie al suo carattere. Se si fosse votato in quel momento, Conte ce l’avrebbe fatta senza sforzo, alla guida di una coalizione di centrosinistra. Non ebbe il coraggio di imporre il voto anticipato negando la fiducia a Draghi e affrontando la scomunica del capo dello Stato, con la conseguenza di doversi mettere alla prova come capopartito.
Dopo 3 anni il bilancio è totalmente in rosso, non solo per il tracollo elettorale ma per l’incapacità di restituire al Movimento una sua ragione di essere. Conte non se la è sentita di connotare il Movimento come ala sinistra della coalizione, e non gli sarebbe del resto stato facile sia perché non è quella la sua identità sia perché ancor meno lo è quella del Movimento. Si è ritagliato un ruolo corsaro e di disturbo che ha finito per scontentare sia l’elettorato favorevole a una compiuta alleanza con il Pd, anche solo in funzione di contrasto alla destra, sia quello che invece vorrebbe mantenere l’identità anti-sistema delle origini. In più, il Conte oppositore e leader di partito sconta un problema grosso d’immagine, dunque proprio sul terreno che gli aveva fruttato una messe ubertosa di consensi ai tempi di palazzo Chigi.
All’avvocato manca la verve comiziante e istrionica di guerra: non è e non può essere uomo del vaffa. Era perfetto nella parte del presidente del Consiglio moderato e rassicurante, a maggior ragione in una fase di massimo panico come gli anni del Covid e della successiva crisi. Non lo è nella parte del pacifista irruento: non gli si addice. Ciò non significa che nelle prossime politiche il Movimento, che alle europee non ha mai brillato, non possa recuperare qualcosa. Ma senza alcuna possibilità di tornare protagonista e, con i risultati di ieri alle spalle, senza più neppure carte vincenti per contestare a Elly Schlein la candidatura a premier. Per ora l’unico a dire forte e chiaro che il problema è (anche) nel manico, cioè nella leadership è Toninelli secondo cui Conte è “una brava persona” ma privo della capacità di appassionare ed entusiasmare. Il ricambio sarebbe difficile, non impossibile: c’è Chiara Appendino, che ha dimostrato ottime capacità di leadership autonoma, o Fico, che sarebbe perfetto per una forza compiutamente coalizzata con il Pd e Avs, pur difendendo tutta la sua specificità come è giusto. Altre figure potrebbero emergere in un vero percorso politico congressuale: quello che il M5s ha sempre rifiutato di percorrere. Però ormai è questione di vita o di morte, magari lenta ma inesorabile.